È responsabile la banca che paga un assegno ad un falso prenditore? Il punto delle Sezioni Unite
Sommario: 1. Il quadro normativo – 2. Il caso in esame – 3. Il contrasto giurisprudenziale – 4. Chiave di volta: l’intervento delle Sezioni Unite – 4.1 La responsabilità contrattuale della banca – 5. Principi a cui si sono ispirate le Sezioni Unite – 5.1 Il principio di diritto
1. Il quadro normativo
La questione di diritto sulla quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n.12477 del 21 maggio 2018, sono state chiamate a pronunciarsi attiene all’interpretazione dell’art. 43, II comma Legge Assegni.
Il citato articolo stabilisce che “colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento”.
Questa previsione, a cui inoltre espressamente rinviano anche gli artt. 86, I comma e 100 Legge Assegni, va inoltre estesa alle ipotesi in cui siano pagati a persona diversa dal prenditore un assegno circolare o un assegno bancario libero della Banca d’Italia non trasferibili, nonché un assegno di traenza[1].
2. Il caso in esame
Un soggetto, munitosi di carta di identità e tesserino e codice fiscale falsi, fingendosi il legittimo destinatario, incassava un assegno non trasferibile emesso dalla banca.
L’effettivo e reale beneficiario conveniva in giudizio la banca eccependo che quest’ultima, in violazione dell’art. 43, II comma cit., non aveva adempiuto al dovere di identificare con diligenza colui che aveva presentato l’assegno non trasferibile, chiedendo di conseguenza la condanna al risarcimento del danno subito.
3. Il contrasto giurisprudenziale
A partire dalla fine degli anni ’60 si affermò un orientamento[2], al quale successivamente si uniformarono altre sentenze per quasi altri 30 anni[3], secondo cui chi esegue il pagamento di un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore, ma che si legittima cartolarmente come tale, ne risponde verso l’effettivo prenditore soltanto se non ha usato la dovuta diligenza nell’identificazione del presentatore del titolo.
E ciò partendo dal presupposto che la norma di cui all’art. 43, II comma Legge Assegni si riferisce, per l’appunto, alla legittimazione cartolare e quindi non comporta deroga ai principi generali in tema di identificazione del presentatore dei titoli a legittimazione nominale.
Secondo questo indirizzo della Corte di legittimità, lo scopo della clausola di intrasferibilità sarebbe quello di impedire la circolazione del titolo, e tanto troverebbe conferma nell’art. 73 Legge Assegni che, proprio perché l’assegno non trasferibile non può essere azionato da un portatore di buona fede, ne esclude l’ammortamento, conferendo nel contempo al prenditore la maggior sicurezza di poterne ottenere un duplicato denunciandone lo smarrimento, la distruzione o la sottrazione al trattario o al traente.
Intorno alla fine anni ’90, le ragioni addotte fino a tal momento dalla Cassazione furono ritenute non appaganti tanto che con un vero e proprio revirement, si tornò a confermare una risalente sentenza del 1958 nel suo nucleo essenziale[4].
La Cassazione tornò dunque a sostenere che l’art. 43 Legge Assegni regola in modo autonomo l’adempimento dell’assegno non trasferibile ed impone alla banca di pagarlo unicamente al soggetto indicato come prenditore; con la conseguenza che la banca che abbia effettuato il pagamento a chi non era legittimato non è liberata dalla propria obbligazione finché non paghi il prenditore esattamente individuato (o il banchiere giratario per l’incasso), e ciò a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione dello stesso prenditore.[5]
4. Chiave di volta: l’intervento delle Sezioni Unite
Il punto decisivo sul quale la Cassazione ha fatto luce per risolvere la questione è stato domandarsi quale fosse l’effettiva natura (contrattuale, extracontrattuale o ex lege) della responsabilità derivante dal pagamento dell’assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore.
La Corte di legittimità è giunta a riconoscere natura contrattuale alla responsabilità cui si espone il banchiere che abbia negoziato un assegno munito della clausola di non trasferibilità in favore di persona non legittimata.
4.1 La responsabilità contrattuale della banca
Una volta ricondotta la responsabilità della banca negoziatrice nell’alveo di quella contrattuale derivante da contatto qualificato inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale derivano i doveri di correttezza e buona fede enucleati dagli artt. 1175 e 1375 c.c. – alla Corte Suprema non è apparsa più sostenibile la tesi secondo cui detta banca risponde del pagamento dell’assegno non trasferibile effettuato in favore di chi non è legittimato “a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione del prenditore”.
Una responsabilità oggettiva può infatti concepirsi solo laddove difetti un rapporto in senso lato “contrattuale” fra danneggiante e danneggiato, ed il primo sia chiamato a rispondere del fatto dannoso nei confronti del secondo non per essere con questi entrato in contatto, ma in ragione della particolare posizione rivestita o della relazione che lo lega alla res causativa del danno.
Non a caso, dottrina e giurisprudenza hanno individuato ipotesi di responsabilità oggettiva nelle fattispecie tipiche delineate dagli artt. 2048/2053 c.c., tutte annoverabili nel più ampio genus dell’illecito extracontrattuale.
La conclusione trova fondamento nella c.d. teoria del contatto sociale qualificato, ravvisabile ogni qualvolta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l’affidamento riposto da altri soggetti sul corretto espletamento da parte sua di preesistenti, specifici doveri di protezione che egli abbia volontariamente assunto.
Secondo un principio consolidato nella giurisprudenza della Cassazione, il criterio che presiede alla valutazione della responsabilità da contatto sociale qualificato è quello delineato dagli artt. 1176 c.c. ( diligenza nell’adempimento) nonché dall’art. 2118 c.c.
La Corte Suprema spiega dunque che, nell’azione promossa dal danneggiato, la banca negoziatrice che ha pagato l’assegno non trasferibile a persona diversa dall’effettivo prenditore è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi del 2° comma dell’art. 1176 c.c., dalla sua qualità di operatore professionale.
5. Principi a cui si sono ispirate le Sezioni Unite
La finalità della norma, secondo tale decisione, andrebbe ravvisata non già nell’intento di sanzionare la violazione del divieto di circolazione dell’assegno, ma di porre il prenditore al riparo degli effetti dello spossessamento, impedendo a chi si sia indebitamente appropriato del titolo di riscuoterlo, dopo averlo necessariamente contraffatto.
Del resto le regole di circolazione e di pagamento dell’assegno munito di clausola di non trasferibilità, pur svolgendo indirettamente una funzione di rafforzamento dell’interesse generale alla corretta circolazione dei titoli di credito, risultano essenzialmente volte a tutelare i diritti di coloro che alla circolazione di quello specifico titolo sono interessati: ciascuno dei quali ha ragione di confidare sul fatto che l’assegno verrà pagato solo con le modalità e nei termini che la legge prevede e la cui concreta esecuzione è rimessa ad un soggetto, il banchiere, dotato di specifica professionalità al riguardo.
La professionalità del banchiere si riflette necessariamente su tutta la gamma delle attività da lui svolte nell’esercizio dell’impresa bancaria, e quindi sui rapporti che in quelle attività sono radicati, per la cui corretta attuazione egli dispone di strumenti e di competenze che normalmente gli altri soggetti interessati non hanno: dal che, appunto, dipende, per un verso, l’affidamento di tutti gli interessati nel puntuale espletamento dei compiti inerenti al servizio bancario, e per altro verso, la specifica responsabilità in cui il banchiere incorre nei confronti di coloro che con lui entrano in contatto per avvalersi di quel servizio, ove, viceversa, non osservi le regole al riguardo prescritte dalla legge.
5.1 Il principio di diritto
Alla luce di quanto rilevato, le Sezioni Unite hanno pertanto affermato il seguente principio di diritto:
“Ai sensi dell’art. 43, comma 2, del r.d. n. 1736 del 1933 (c.d. legge assegni), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c.”.
[1] Cass. SS.UU. n.14712/2007
[2] Cass. n. 2360/1968
[3] Cass. n.3317/78; Cass n.5118/79; Cass.n.686/83; Cass. n.4187/87,
4087/92 Cass.n.10460/94 Cass.n.9888/97
[4] Cass. n.3133/1958
[5] Cass. n. 1098 del 1999
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Laura Usanza
Laureata in Giurisprudenza con Lode presso l'Università "Insubria Varese-Como" con tesi in diritto processuale civile su "La e-discovery e gli strumenti di prova dell'ordinamento italiano: un confronto".
Attualmente tirocinante ex art.73 presso la Corte d’Appello di Milano.