È ripetibile l’assegno di mantenimento in ambito familiare?
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32914 del 08/11/2022 hanno risolto una delle questioni più controverse in materia di separazione e divorzio, ovvero se l’assegno di mantenimento per il coniuge, originariamente ritenuto dovuto, sia recuperabile nel caso in cui l’originario provvedimento venga modificato, disconoscendosene l’obbligo.
In particolare le Sezioni Unite hanno statuito il seguente principio di diritto: “«In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere: a) opera la «condictio indebiti» ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione «del richiedente o avente diritto», ove si accerti l’insussistenza «ab origine» dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile; b) non opera la «condictio indebiti» e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, «delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)», sia se viene effettuata (sotto il profilo del quantum) una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica; c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità».
Osserva la Corte come nel nostro ordinamento non sussiste una disposizione che, sul piano sostanziale, sancisce l’irripetibilità dell’assegno propriamente alimentare provvisoriamente disposto a favore dell’alimentando: l’art. 447 c.c. si occupa di disciplinare la cessione del credito alimentare e la sua compensazione con un controcredito dell’obbligato, ma non ne sancisce l’irripetibilità; gli artt. 545 e 671 c.p.c. contemplano l’impignorabilità (non assoluta, essendo pignorabili i crediti a loro volta alimentari, a condizione dell’autorizzazione del giudice) e l’insequestrabilità dei crediti alimentari. Le stesse disposizioni specifiche degli artt.440 e 446 c.c. non escludono la possibilità del ricorso al generale rimedio dell’azione di ripetizione di indebito, nelle ipotesi di riduzione dell’assegno alimentare fissato in via cautelare e provvisoria dal Presidente del Tribunale o di esclusione del diritto con il provvedimento definitivo.
Sul piano prettamente normativo pertanto non può negarsi l’efficacia caducatoria e ripristinatoria dello status quo ante e dunque sostitutiva della sentenza impugnata propria della sentenza emessa in esito al successivo grado di giudizio, sulla base del semplice riferimento alla disciplina dettata per gli alimenti in senso proprio.
Tuttavia occorre “operare un necessario bilanciamento tra l’esigenza – di legalità e prevedibilità delle decisioni e l’esigenza, di stampo solidaristico, di tutela del soggetto che sia stato riconosciuto parte debole nel rapporto”. Nella peculiare comunità sociale rappresentata dalla famiglia – prosegue la Corte -” è necessario dare il giusto rilievo alle esigenze equitative-solidaristiche, in un’ottica di temperamento della generale operatività della regola civilistica della ripetizione di indebito (art.2033 c.c.), nel quadro di un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della stessa”.
Alla luce di tali principi, l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite ai sensi dell’art. 2033 c.c. sorge nel caso in cui si accerti «ab origine» (non per fatti sopravvenuti) l’insussistenza del presupposto del diritto al mantenimento, separativo o divorzile, per la mancanza di uno «stato di bisogno» del soggetto richiedente (inteso, nell’accezione più propria dell’assegno di mantenimento o di divorzio, come mancanza di redditi adeguati), ovvero si addebiti la separazione al coniuge che, nelle more, abbia goduto di un assegno con funzione non meramente alimentare. Non sorge invece a favore del coniuge separato o dell’ex coniuge, obbligato o richiesto, il diritto di ripetere le maggiori somme provvisoriamente versate sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione) sia nel caso in cui l’assegno stabilito in sede presidenziale venga rimodulato «al ribasso». Ciò si giustifica in “considerazione della tutela di quella solidarietà postfamiliare, sottesa in tutta la disciplina relativa alla crisi della famiglia, e del fatto che non è in discussione, in tali ipotesi, l’esistenza e la permanenza, in giudizio, di un soggetto in condizioni di debolezza economica”. Si deve infatti ragionevolmente presumere, “in rapporto all’entità della somma di denaro litigiosa, che le maggiori somme (attribuite in via provvisoria o in via definitiva con la sentenza di primo grado), versate medio tempore dal richiesto al richiedente, siano state comunque (in atto o in potenza) consumate, proprio per fini di sostentamento, dal coniuge debole”. Si tratta, oltretutto- secondo la Suprema Corte- di una regola anche di esperienza pratica, in quanto il denaro, nell’ambito di cifre di modesta entità, percepito in funzione del necessario sostentamento del coniuge, è da presumere che sia stato speso a quel fine, con conseguente esclusione di ogni, inutile, azione di ripetizione. L’entità, necessariamente, modesta di tale somma di denaro “non può essere determinata in maniera fissa ed astratta, considerato che il legislatore non ha fissato in maniera rigida la misura ed il contenuto neppure della prestazione alimentare in senso proprio, essendosi ritenuta necessaria una valutazione personalizzata e in concreto, la cui determinazione è riservata al giudice di merito, valutate tutte le variabili del caso concreto: la situazione personale e sociale del coniuge debole, le ragionevoli aspettative di tenore di vita ingenerate dal rapporto matrimoniale ovvero di non autosufficienza economica, nonché il contesto socio-economico e territoriale in cui i coniugi o gli ex coniugi sono inseriti”.
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Iolanda Spagnolo
Sono un avvocato del foro di Reggio Emilia. Mi occupo di diritto civile e de lavoro.
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