È risarcibile il danno da perdita della vita?

È risarcibile il danno da perdita della vita?

Con l’espressione “danno da morte” o “danno tanatologico” si fa riferimento ai danni che cagionano la morte di un soggetto a causa dell’altrui fatto illecito, quando il decesso sia stretta conseguenza delle lesioni subite. Il danno tanatologico consiste nella perdita del bene vita, autonomo e diverso dal bene salute. È un tipo di danno non patrimoniale la cui configurabilità e trasmissibilità agli eredi è stata particolarmente discussa. L’evento morte può cagionare danno alla sfera giuridica di due tipologie di soggetti: la vittima e i suoi parenti. In quest’ultimo caso si tratta di danno patrimoniale riflesso ed occorre distinguere tra danni risarcibili iure proprio e quelli iure hereditatis agli eredi. I primi derivano dalla violazione dell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci (in altri termini, il bene dell’integrità familiare), i secondi, invece, consistono nel danno subito dalla vittima  dell’illecito . I parenti della vittima, dunque, possono agire in giudizio non solo per i danni sofferti direttamente (iure proprio), ma anche per quelli patiti dal defunto (iure hereditatis). Proprio in riferimento ai danni iure hereditatis, la giurisprudenza sostiene che il danno biologico ricorra solamente qualora tra la data dell’evento dannoso e quella del decesso sia trascorso un “lasso di tempo sufficiente a permettere un consolidamento di tale danno”. In altre parole è necessario che la vittima subisca “una compromissione dell’integrità psico-fisica che si protrae fino alla morte, la quale è riconosciuta come danno biologico trasmissibile agli eredi in tal caso il danneggiato ha diritto al risarcimento del danno biologico e si trasmette in favore degli eredi”. Ciò posto, ci si domanda ora se il danno tanatologico (danno da morte) possa essere risarcibile ai congiunti della vittima. Il danno tanatologico consiste nella perdita del bene vita, autonomo e diverso dal bene salute.

Il bene vita, sebbene non espressamente menzionato nella Costituzione, va tuttavia considerato bene giuridico inviolabile ex art. 2 Cost. Il “diritto alla vita”, invece, è espressamente riconosciuto in ambito europeo e internazionale dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, dalla CEDU, dai Patti internazionali sui diritti civili e politici.

La giurisprudenza nazionale ha escluso la risarcibilità del danno tanatologico sull’assunto che il bene vita sia fruibile solo dal titolare ed essendo esso insuscettibile di essere liquidato per equivalente.

La risarcibilità del danno tanatologico è stata negata dapprima dalla Corte Costituzionale, la quale  ha specificato che oggetto di risarcimento può̀ essere solo la perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva, laddove la morte immediata non è invero una perdita  a carico della persona offesa in quanto la stessa è non più in vita.

In seguito anche le Sezioni Unite (Cass. civ., sent. 22 luglio 2015 n. 15350) hanno affermato che il presupposto per il risarcimento del danno da perdita della vita sarebbe la “capacità giuridica riconoscibile soltanto ad un soggetto esistente” (ex art. 2, comma 1, c.c.). Per tale via, il danno da morte sarebbe entità in sé non risarcibile: “In materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché́, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità̀iure hereditatis di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità̀ di uno spazio di vita brevissimo”

È stato rilevato in dottrina che risulta contraddittorio concedere onerosi risarcimenti dei danni derivanti da lesioni gravissime e negarli del tutto nel caso di illecita privazione della vita, con ciò contraddicendo sia il principio della necessaria integralità del risarcimento che la funzione deterrente che dovrebbe essere riconosciuta al sistema della responsabilità civile e che dovrebbe portare a introdurre anche nel nostro ordinamento la categoria dei danni punitivi.

Tuttavia si è recentemente e nuovamente espressa a riguardo la Suprema corte (sentenza n. 13261/2020) la quale, conformatasi al principio sancito dalla sopra citata sent. n. 15350 del 2015, ha statuito che nel nostro ordinamento la morte di una persona può costituire danno risarcibile per chi le sopravvive e non per la vittima stessa: il soggetto che muore istantaneamente non percepisce la morte e quindi non rientra nel suo patrimonio il relativo credito risarcitorio che, quindi, non può essere trasmesso agli eredi.


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Avv. Luigi Iazzetta

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