Eccezione di prescrizione ed allegazione della natura solutoria delle rimesse
Torna a far discutere l’eccezione di prescrizione formulata dall’istituto di credito nei giudizi in cui il correntista richiede la restituzione di somme indebitamente addebitate. La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 27680 del 30 ottobre 2018, ha evidenziato il contrasto che attanaglia la giurisprudenza: l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca deve contenere l’indicazione specifica delle singole rimesse aventi natura solutoria o può limitarsi ad allegare la circostanza?
La vicenda
La correntista, in primo grado, chiedeva ed otteneva la rideterminazione del saldo contabile di due conti correnti beneficiati da apertura di credito, con condanna dell’istituto di credito alla ripetizione dell’indebito.
Avverso la sentenza di condanna, l’istituto di credito proponeva appello e la Corte di Torino, accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca, riformava la sentenza del giudice di prime cure e dichiarava prescritta parte della pretesa della correntista.
La correntista ricorreva in Cassazione denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2938, 2697 e 2727 c.c..
La ricorrente censurava l’eccezione di prescrizione formulata dall’istituto di credito in quanto genericamente sollevata, mancando la specifica individuazione dei pagamenti aventi natura solutoria, con l’effetto che il giudice, sostituendosi alla parte nella loro individuazione, avrebbe violato il principio dispositivo di cui all’art. 2697 c.c..
La posizione della Cassazione
All’indomani della sentenza n. 24418, resa dalla Cassazione Sezioni Unite in data 02.12.2010, si è posta la problematica dell’individuazione delle modalità con cui l’eccezione di prescrizione dovesse essere formulata.
Quest’ultima enunciava il principio, ormai consolidato, secondo il quale l’azione di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista fosse soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale decorrente, a seconda delle ipotesi, dal momento della chiusura del rapporto di conto corrente nel caso di versamenti a carattere ripristinatorio della provvista ovvero dal singolo versamento in ipotesi di versamenti di natura solutoria.
Di talché, qualora il correntista, in costanza di rapporto, avesse effettuato non solo pagamenti ma anche versamenti, sarebbe stato necessario precisare la natura degli stessi al fine della decorrenza del termine prescrizionale.
Tuttavia non veniva chiarito il regime probatorio della natura delle rimesse; ben presto, dottrina e giurisprudenza si sono interrogate circa l’allocazione dell’onere probatorio in capo alle parti ed il grado di specificità dell’eccezione.
L’ordinanza della Cassazione qui in commento ha il merito di evidenziare lucidamente il contrasto giurisprudenziale che interessa la questione, percorrendo i due orientamenti antitetici oggi prevalenti.
Secondo un primo orientamento, un’eccezione formulata senza l’adeguata indicazione delle rimesse di natura solutoria, quindi prescritte, sarebbe da considerare inammissibile.
Si ritiene, infatti, che “I versamenti eseguiti sul conto corrente in costanza di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens e, poiché tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto, una diversa finalizzazione dei singoli versamenti, o di alcuni di essi, deve essere in concreto provata da parte di chi intende far percorrere la prescrizione dalle singole annotazioni delle poste illegittimamente addebitate”[1].
In assenza di detta indicazione, “a fronte della formulazione generica dell’eccezione, indistintamente riferita a tutti i versamenti intervenuti sul conto in data anteriore al decennio decorrente a ritroso dalla data di proposizione della domanda, il giudice non può supplire all’omesso assolvimento di tali oneri, individuando d’ufficio i versamenti solutori”[2].
Alla luce di tale orientamento, “grava sulla banca l’onere di provare, ai fini dell’ammissibilità dell’eccezione di prescrizione – non solo il mero decorso del tempo, ma anche l’ulteriore circostanza dell’avvenuto superamento, ad opera del cliente, del limite dell’affidamento”[3].
Al predetto orientamento se ne contrappone un altro, opposto, il quale assume che “non compete alla banca convenuta fornire specifica indicazione delle rimesse solutorie cui è applicabile la prescrizione. Un tale incombente è estraneo alla disciplina positiva dell’eccezione in esame. Una volta che la parte convenuta abbia formulato la propria eccezione, compete al giudice verificare quali rimesse”[4] siano da considerare oramai prescritte.
Perciò, essendo il correntista parte attrice del giudizio, egli è onerato della produzione del contratto di conto corrente e delle aperture di credito accordategli; ragion per cui, “la prova degli elementi utili ai fini dell’applicazione dell’eccepita prescrizione è, dunque, nella disponibilità del giudice che deve decidere la questione: perlomeno lo è ove il correntista assolva al proprio onere probatorio; se ciò non accada il problema non dovrebbe nemmeno porsi, visto che mancherebbe la prova del fatto costitutivo del diritto azionato, onde la domanda attrice andrebbe respinta senza necessità di prendere in esame l’eccezione di prescrizione”.
Dunque, in conclusione, se, da un lato, il primo orientamento sopra descritto appare più aderente al principio dell’onere della prova di cui all’articolo 2697, comma secondo, c.c. in virtù del quale, allorché il convenuto non si limiti a contestare apoditticamente la posizione attorea ma contrapponga una difesa articolata, egli è tenuto a fornire la dimostrare di tali circostanze, il secondo orientamento sembra essere più aderente all’impianto tradizionale tracciato dalla giurisprudenza in tema di eccezione di prescrizione la quale ricorda che i presupposti dell’eccezione sono l’inerzia del titolare e la manifestazione della volontà di profittare di tale effetto prescrittivo rimettendo al giudice l’esame dell’eccezione e l’individuazione del termine iniziale[5].
Atteso il contrasto che insiste la questione, non resta che attendere l’intervento delle Sezioni Unite.
[1] Così ha motivato la Cassazione n. 4518, 26.02.2014
[2] Cassazione n. 20933, 07.09.2017
[3] Cassazione n. 12977, 24.05.2018
[4] Cassazione n. 4372, 22.02.2018. Conformi, ex plurimis, Cassazione n. 15790, 29.07.2016, Cassazione n. 15631, 27.07.2016 e Cassazione n. 9993, 16.05.2016
[5] Cassazione n. 19837, 05.10.2015, Cassazione n. 15965, 28.07.2015, Cassazione n. 15965, 28.07.2015, Cassazione n. 11843, 22.05.2007.
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