EDILIZIA: rimesse alla Consulta le questioni sulla s.c.i.a. in Toscana
Il T.A.R. Toscana rimette alla Corte Costituzionale la possibilità riconosciuta dalla legge toscana sul controllo del territorio di sottoporre a controllo le s.c.i.a. oltre il termine di 30 giorni e senza la tutela dell’affidamento, in casi più ampi di quelli previsti dall’art. 19, L. n. 241 del 1990. L’interesse della questione sta però soprattutto nella lettura della norma statale secondo la quale il termine di 30 giorni si applica anche al controllo delle asseverazioni tecniche ed in particolare alla qualificazione giuridica dell’intervento, elevando così un argine nei confronti della c.d. “dottrina dell’amministrazione”, cioè la possibilità di dare interpretazioni diverse nel tempo della normativa urbanistica in vigore. L’ordinanza assume quindi una portata che va oltre le singole norme impugnate e si estende a tutto il territorio nazionale.
Questi i principi affermati dal T.A.R. Toscana – Firenze, Sezione Terza con l’ordinanza n. 469 del 25 marzo 2015.
PER APPROFONDIMENTI:
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La legge Toscana sul governo del territorio (L.R. n. 1 del 2005) è rimessa dal Tar Toscana alla Corte costituzionale nella parte in cui disciplina, all’art. 84-bis, comma 2, lett. b), nel testo precedente quello attualmente in vigore, i controlli sulla s.c.i.a.
Secondo la predetta norma “Nei casi di SCIA relativa ad interventi di cui all’articolo 79, comma 1, lettere b), d), e) ed f) e di cui all’articolo 79, comma 2, lettere a), b), c) ed e), decorso il termine di trenta giorni di cui all’articolo 84, comma 6, possono essere adottati provvedimenti inibitori e sanzionatori qualora ricorra uno dei seguenti casi: b) in caso di difformità dell’intervento dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi“.
Come evidenziato nell’ordinanza “la norma consente alla amministrazione comunale di adottare provvedimenti inibitori e sanzionatori anche dopo la scadenza del trentesimo giorno dalla presentazione della s.c.i.a. sulla base del solo presupposto della riscontrata difformità dell’intervento che ne è oggetto dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi“.
Tale possibilità si pone in contrasto con l’art. 19, L. n. 241 del 1990 (Per approfondimenti acquista: Guida alla legge n. 241/1990. Con commento sistematico, formulario, giurisprudenza, raccolta normativa e tavola di confronto) che, nel dettare la disciplina di principio sui controlli sulla s.c.i.a. (Per approfondimenti acquista: SCIA, DIA e permesso di costruire), al comma 3 prevede che l’amministrazione debba accertare l’eventuale “carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1” entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione della s.c.i.a. (ridotto a trenta nel caso di s.c.i.a. edilizia).
A questo termine la legge statale fa eccezione solo quando le “dichiarazioni sostitutive” attestanti i fatti, le qualità e gli stati personali posti alla base della s.c.i.a. si rivelino, successivamente, essere “false o mendaci“, oppure nel caso in cui l’attività intrapresa in assenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge metta in pericolo il patrimonio artistico e culturale, l’ambiente, la salute, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale. Al di fiori di questi casi si applicano i principi dell’autotutela, per cui è tutelato l’affidamento del privato nei limiti stabiliti dall’art. 21-nonies, L. n. 241 del 1990.
La norma regionale sembra quindi riconoscere un potere di intervento dell’amministrazione senza termine più ampio di quello statale.
A detta del Tar dall’art. 19, L. n. 241 del 1990 si desume il principio secondo il quale il termine di 30 giorni per il controllo della s.c.i.a. vale in particolare per le asseverazioni ed attestazioni dei tecnici abilitati le quali, invece, non possono essere sic et simpliciter essere prese per buone, ma devono essere verificate entro il termine all’uopo previsto.
Ciò si evincerebbe sia dal comma 3 dell’art. 19, nella parte in cui riconnette l’inoperatività del termine per disporre la cessazione della attività e della rimozione dei suoi effetti alla sola scoperta della falsità o mendacità delle dichiarazioni sostitutive e non anche delle attestazioni e delle asseverazioni tecniche (che il comma 2 della norma ha cura di distinguere), sia dal comma 2 del medesimo articolo laddove viene prescritto che le attestazioni e le asseverazioni debbano essere corredate dagli elaborati tecnici “per consentire le verifiche di competenza dell’amministrazione“.
Tali giudizi e tali qualificazioni devono, quindi, essere verificate dall’ amministrazione entro il termine previsto dalla legge la cui scadenza fa, pertanto, insorgere in capo al privato il ragionevole affidamento sulla conformità della attività intrapresa ai requisiti ed i presupposti che la legittimano; affidamento che, a quel punto, l’amministrazione può disattendere solo nel caso di messa in pericolo degli interessi sensibili di cui al comma 4 dell’art. 19 della L. 241/90 o esercitando le prerogative proprie dell’autotutela.
Del resto se fosse consentito alle amministrazioni fare appello alla inesattezza o alla erroneità deigiudizi espressi nelle asseverazioni tecniche per intervenire anche dopo la scadenza del termine, qualora ritenga insussistenti i requisiti per l’esercizio della attività, sia la previsione di cui al comma 4 dell’art. 19 sia quella relativa all’esercizio del potere di autotutela (contenuta nel comma 2)sarebbero private di ogni senso e pratica utilità.
E’ il problema della tutela dell’affidamento del privato contro “la dottrina dell’amministrazione”, cioè l’interpretazione delle norme e la qualificazione giuridica degli atti, che nella materia urbanistica è fonte di ampio contenzioso.