Efficacia dell’azione revocatoria in caso di immobile ritornato nella disponibilità del debitore

Efficacia dell’azione revocatoria in caso di immobile ritornato nella disponibilità del debitore

Cass. civ., Sez. III, Ord. 16 novembre 2020, n. 25862– Pres. Sestini– Rel. Cirillo

L’Ordinanza in commento attiene all’istituto della revocatoria ex art. 2901 c.c., in particolare, all’interesse del creditore ad agire nel caso in cui il bene sia rientrato nella disponibilità del debitore, nonché gli effetti della trascrizione della domanda ai sensi dell’art. 2652, I co., n. 5) c.c..

Com’è noto, l’actio revocatoria è uno strumento processuale predisposto dal legislatore affinché un atto, o più in generale, la condotta fraudolenta dell’obbligato – volta al depauperamento del proprio patrimonio – non pregiudichi le ragioni creditizie1.

Si tratta di uno speciale mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale il cui scopo, infatti, è quello di pervenire alla dichiarazione di inefficacia relativa dell’atto di disposizione revocato, con conseguente assoggettamento del bene al diritto del revocante (e solo di questi) di procedere ad esecuzione forzata sul medesimo e soddisfare così la propria pretesa (cfr. Cass. Sent. del 13 agosto 2015, n. 16793).

Quanto ai presupposti, occorre la sussistenza di due elementi: il consilium fraudis, ovvero la consapevolezza della pregiudizialità della condotta e l’eventus damni, cioè la lesione degli interessi del creditore.

Nella specie, l’attore ha ottenuto davanti al Giudice di prime cure l’accoglimento della domanda revocatoria proposta avverso un atto di compravendita avente ad oggetto alcuni beni immobili di proprietà del debitore, ceduti in favore della propria moglie. Tuttavia, la Corte Territoriale di Milano ha successivamente accolto l’appello proposto dal solo obbligato, in parziale riforma della decisione impugnata, rigettando l’azione pauliana per sopravvenuta cessazione della materia del contendere.

In particolare, le motivazioni del Collegio si fondano sulla circostanza che nelle more del giudizio, i due coniugi, in esecuzione del procedimento per la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra loro esistente, avevano consensualmente risolto l’atto di cessione oggetto della domanda revocatoria e, per l’effetto, il debitore era tornato nella piena disponibilità dell’immobile.

Ciò posto, dunque, è stata dichiarata cessata la materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse, ritenendo che l’atto oggetto della domanda «non esiste più giuridicamente, essendo stato travolto da un successivo atto di retrocessione dell’immobile all’originario proprietario».

Quanto alle successive vicende, tra le quali si evidenzia l’accertata iscrizione di ipoteca giudiziale sul bene medesimo in favore della ex moglie dell’obbligato, intervenuta successivamente alla proposizione dell’actio revocatoria, non potevano, secondo la sentenza impugnata, essere valutate in quella sede, in cui si doveva solo «decidere su un’azione in ordine alla quale l’originario attore ha perso l’interesse ad agire».

Il caso in esame attiene perciò all’ulteriore ipotesi in cui il bene trasferito con l’atto oggetto di revocatoria sia ipotecato; circostanza che non esclude, di per sé, un pregiudizio per il creditore chirografario (e, dunque, il suo interesse ad esperire tale azione), posto che le iscrizioni ipotecarie possono subire vicende modificative o estintive ad opera sia del debitore sia di terzi.

Nella loro granitica giurisprudenza, gli Ermellini hanno sempre affermato che l’esistenza di un’ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo, ancorché di entità tale da assorbirne, se fatta valere, l’intero valore, non esclude la connotazione di quell’atto come eventus damni. La valutazione, tanto dell’idoneità dell’atto dispositivo a costituire un pregiudizio quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa all’ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell’atto, ma con un giudizio prognostico proiettato verso il futuro, al fine di verificare l’eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria (cfr. Cass. Ord. dell’8 agosto 2018, n. 20671, e, da ultimo, Cass. Ord. del 26 novembre 2019, n. 30736).

In egual modo, seppure in una fattispecie differente, la Corte osserva che il creditore mantiene interesse al vittorioso espletamento dell’azione revocatoria anche quando ha già proceduto al pignoramento del suddetto bene e la procedura esecutiva sia stata opposta. Argomentando dal presupposto che, in caso di accoglimento dell’opposizione, il creditore avrebbe visto venire meno gli effetti del proprio atto, «senza certezza di procedere utilmente a nuovo pignoramento sul medesimo bene in difetto della dichiarazione di inefficacia del trasferimento ai sensi dell’art. 2901 c. c.». Ciò in quanto il pignoramento è stato compiuto con atto successivo alla compravendita, trascritto però anteriormente alla trascrizione di quest’ultima (cfr. sul punto, Cass. Sent. del 18 febbraio 2016, n. 3179).

Ebbene, proprio per evitare epiloghi di questo tipo, la tutela accordata dal Codice civile, ai sensi dell’art. 2652, I co., n. 5, consente (ed è qui che si produce uno degli effetti più importanti) di “rendere pubbliche”, ovvero assoggettare a trascrizione, le domande di revoca degli atti soggetti a registrazione. Si tratta del c.d. effetto prenotativo dell’efficacia della successiva sentenza di accoglimento, che determina l’inidoneità degli atti trascritti posteriormente ad arrecare pregiudizio ai diritti dovuti in forza della sentenza stessa, già trascritta, al riparo quindi da eventuali vicende traslative relative al medesimo bene immobile2.

La Corte d’Appello ha di fatto errato nel considerare dirimente la retrocessione del bene nel patrimonio del debitore alienante e, per l’effetto, la carenza di interesse del creditore all’espletamento dell’azione pauliana. Si tratta di una conclusione che non tiene conto dell’importanza della trascrizione della domanda giudiziale di revoca, che di per sé dimostra la permanenza dell’interesse ad agire – come sostenuto dalla difesa attorea – non costituito soltanto dall’eventualità di assoggettare ad esecuzione forzata l’immobile, ma anche dalla possibilità di rendere insensibile tale bene rispetto ad eventuali vicende pregiudizievoli che risultino successive alla trascrizione della domanda stessa.

Il timore paventato dai Giudici di Cassazione è che il meccanismo accordato aprirebbe le porte ad evidenti condotte abusive; il debitore potrebbe, infatti, con eventuali alienazioni e retrocessioni successive, aggirare le finalità dell’azione revocatoria, esponendo il creditore alla possibilità di essere postergato rispetto ad altri creditori o, comunque, rendendo più difficile la soddisfazione del credito.

Nella vicenda de qua, l’interesse dell’attore emerge altresì dal fatto che l’evento potenzialmente pregiudicante nei suoi confronti, ovvero l’iscrizione di ipoteca giudiziale dell’ex coniuge, si sia perfezionato nel corso dello svolgimento del processo. A maggior ragione se consideriamo che la retrocessione del bene nel patrimonio del debitore non ha efficacia retroattiva, non ripristina cioè lo status quo ante al momento in cui l’atto di disposizione ha avuto luogo e non determina la nullità delle eventuali iscrizioni e trascrizioni frattanto intervenute.

È evidente che tale ipoteca andrebbe a vanificare l’effetto di prenotazione insito nella trascrizione della domanda giudiziale, poiché, in caso di esecuzione su quel bene, la creditrice ipotecaria verrebbe soddisfatta per prima.

Per questi motivi la Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata ed affermando il seguente principio di diritto: “L’interesse del creditore ad agire in revocatoria non viene meno per il fatto che il bene oggetto dell’atto dispositivo sia rientrato nel patrimonio del debitore, perché altrimenti potrebbe essere pregiudicata l’efficacia di prenotazione costituita dalla trascrizione della domanda giudiziale di revoca, ai sensi dell’art. 2652, n. 5), del codice civile”.

Infine, la pronuncia qui commentata, attraverso il richiamo a precedenti conformi, offre ulteriori spunti di riflessione involgenti la materia del fallimento e del divieto di promozione di azioni esecutive individuali previsto dall’art. 51 della legge fallimentare.

Invero, partendo dall’assunto che il divieto posto dalla norma non osta alla procedibilità della revocatoria ordinaria già promossa dal creditore dell’alienante, nel caso in cui la domanda – trascritta anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell’acquirente – sia accolta, il creditore viene a trovarsi, rispetto all’immobile ormai acquisito all’attivo fallimentare, in posizione analoga a quella del titolare di diritto di prelazione su bene compreso nel fallimento.

Con la conseguenza che l’attore vittorioso, che non è creditore diretto del fallito e non partecipa quindi al concorso formale, può tuttavia ottenere, in sede di distribuzione del ricavato della vendita fallimentare dell’immobile, la separazione della somma corrispondente al suo credito verso l’alienante, per esserne soddisfatto in via prioritaria rispetto ai creditori concorsuali”3.

 

 

 

 


1Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740, I co., c.c..).
2 In tema di efficacia prenotativa della trascrizione della domanda ex art. 2652, n. 5) c.c., merita menzione la Sentenza del 4 agosto 2016, n. 16293, nella quale la Corte di Cassazione ha statuito che “nel caso di due alienazioni successive del medesimo immobile, l’accoglimento dell’azione revocatoria proposta con riferimento alla prima alienazione è opponibile al secondo acquirente, non importa se di buona o mala fede, ove la trascrizione della domanda di revoca sia precedente a quella del secondo acquisto, mentre quando la trascrizione della domanda di revoca segua quella del secondo acquirente questi non è pregiudicato se di buona fede e a titolo oneroso”.
3Sul punto, Cass. Sent. del 2 dicembre 2011, n. 25850 e da ultimo Cass. Sent. del 31 maggio 2019, n. 14892.

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Giuseppe Angiulli

Ho conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Bari con il voto di 110L e sono abilitato all'esercizio della professione di Avvocato. La mia formazione comprende i principali istituti di diritto civile, processuale e commerciale e durante il praticantato mi sono occupato di diritto bancario e finanziario. Adesso mi occupo principalmente di Corporate, M&A ed operazioni straordinarie.

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