Elusione del pedaggio in autostrada: truffa o insolvenza fraudolenta?

Elusione del pedaggio in autostrada: truffa o insolvenza fraudolenta?

Il fenomeno dell’evasione dei pedaggi autostradali solleva questioni giuridiche significative riguardo alla distinzione tra il reato di truffa e quello di insolvenza fraudolenta. La condotta di chi deliberatamente elude il pagamento dei pedaggi, sfida il tradizionale confine tra queste due figure delittuose. Il recente caso analizzato dalla Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 15164 del 17 gennaio 2024, offre un’esemplificazione rilevante di come la giurisprudenza italiana stia affrontando e interpretando tali condotte penalmente rilevanti.

La vicenda processuale. In caso di elusione del pagamento dei pedaggi autostradali, occorre valutare se l’azione configurabile come reato di insolvenza o di truffa in base al comportamento dell’imputato. La condotta specifica, di chi sfrutta la vicinanza a un veicolo munito di Telepass per attraversare una corsia riservata e passare il casello appena dietro un altro autoveicolo, uscendo prima che la barriera si abbassi, manifesta chiaramente gli elementi di artifizi e raggiri tipici del reato di truffa. Tale comportamento comporta un vantaggio patrimoniale ingiusto, ovvero la mancata corresponsione del pedaggio.

La sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 15164 del 17 gennaio 2024 ha identificato specifici elementi che definiscono la natura penalmente rilevante in caso di elusione del pagamento autostradale. In particolare, è stata esaminata l’azione dell’imputato che ha attraversato di passare barriera autostradale approfittando della presenza immediata di un altro veicolo dotato di Telepass.

Nel caso di specie, l’imputato, inserendosi in una corsia destinata agli utenti di Telepass e ponendosi sulla scia dell’autovettura che lo precedeva, riusciva a superare il casello prima che la sbarra si chiudesse. Durante il procedimento in appello, l’analisi delle immagini catturate dal sistema fotografico automatico installato nella rete autostradale ha rivelato che la stessa autovettura aveva già effettuato passaggi precedenti sulle corsie Telepass senza effettuare alcun pagamento. La Corte di Appello ha concluso che fossero presenti gli elementi costitutivi di un reato di truffa, ritenuto di maggiore gravità rispetto all’insolvenza fraudolenta prospettata dal giudice di prime cure.

Occorre evidenziare che esiste una distinzione tra il reato di truffa e quello di insolvenza fraudolenta: nel primo caso, la frode si realizza attraverso la falsa rappresentazione di condizioni inesistenti, creando o fingendo circostanze per ingannare altre persone. Invece, l’insolvenza fraudolenta consiste nel nascondere una realtà esistente, ovvero l’incapacità finanziaria effettiva dell’agente (Cass. sent. n. 3499 del 2022).

La Corte di Cassazione ha, nel corso degli anni, valutato la presenza del reato di truffa o di insolvenza basandosi sulle azioni specifiche dell’agente. Ad esempio, si configura il caso previsto dall’art. 641 c.p. quando il guidatore, dopo aver preso il biglietto all’ingresso dell’autostrada, afferma all’uscita di non poter pagare il pedaggio. In questa situazione, il fatto di non avere dichiarato la propria situazione finanziaria al momento dell’ingresso, accettando così l’offerta del gestore del servizio, suggerisce una capacità di pagamento e costituisce una dissimulazione dello stato di insolvenza, elemento essenziale per l’attribuzione di tale reato (Cass. sent. n. 11686 del 2016,). Nel caso de quo, il conducente ha adottato strategie ingannevoli per eludere il pagamento del pedaggio. Queste manovre includevano il posizionarsi dietro un veicolo equipaggiato con Telepass, ottenendo così un vantaggio patrimoniale ingiusto derivante dalla mancata corresponsione del pedaggio (Cass. sent. n. 33299 del 2018). Tale circostanza è stata specificamente analizzata dalla Corte di Napoli, che ha stabilito che l’omesso pagamento del pedaggio stradale era chiaramente connesso agli inganni e artifizi precedentemente menzionati.

In questo contesto, il giudice d’appello ha configurato la condotta dell’agente come reato di truffa, sottolineando che tale configurazione non viola il principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza, come stabilito dall’art. 521 c.p.p., poiché la natura della condotta rimane inalterata. Questa interpretazione si fonda su un principio maggioritario stabilito dalla Suprema Corte, secondo il quale il giudice può riconsiderare e valutare l’azione di un individuo che deliberatamente non adempie a un obbligo contrattuale, classificandola come truffa piuttosto che come insolvenza fraudolenta. Tale decisione si basa sul riconoscimento che, in entrambi i casi, l’azione dell’agente comporta un inganno tale da indurre in errore la parte lesa (Cass. sent. n. 429 del 1964).

Per quanto riguarda la correlazione tra l’accusa e la sentenza, una violazione si verificherebbe solo nel caso di un fatto completamente nuovo o diverso; dunque, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, la prima situazione si verifica quando l’evento si discosta completamente per le modalità essenziali dell’azione o per l’evento stesso, mentre la seconda si presenta quando il fatto ha caratteristiche materiali diverse da quelle delineate nell’accusa originale. Di conseguenza, per la Corte di Appello di Napoli, non sussisterebbe una violazione dell’art. 521 c.p.p. quando le modifiche apportate rispetto all’accusa originale non compromettono la capacità dell’imputato di difendersi (Cass. sent. n. 45096 del 2009). Alla luce di questi argomenti giuridici, la Corte di Appello di Napoli ha quindi modificato la sentenza del giudice di primo grado, qualificando il fatto ma mantenendo la pena stabilita dal giudice di primo grado.


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