Emergenza carceraria e “nuova” detenzione domiciliare: disciplina giuridica e criticità
Sommario: Premessa – 1. Sintesi dei principali provvedimenti attuati dal Governo – 1.1 Procedimento applicativo e ratio dell’istituto della “nuova” detenzione domiciliare – 2. Criticità rilevate in ordine alla nuova disciplina – 2.1 Una concreta applicazione dell’art. 123, co. 3 della l n.18/2020? – 2.2 Profili di diritto intertemporale e legge “Spazzacorrotti” – 2.3 Brevi riflessioni sulle altre misure emergenziali – 2.4 Il parere del Csm e le segnalazioni dei Tribunali di Sorveglianza di Milano e Brescia – 3. Considerazioni conclusive
Premessa
L’attuale emergenza sanitaria ha sovraccaricato ulteriormente la condizione di detenzione nelle carceri italiane, già in precedenza gravata da problemi di sovraffollamento e da scarse condizioni igienico-sanitarie. Invero, ora più che mai sembra opportuno rammentare la sentenza pilota “Torreggiani”, adottata all’unanimità dalla Corte di Strasburgo l’8 gennaio 2013, che ha condannato l’Italia per trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti, in violazione dell’art. 3 della Convenzione dei diritto dell’Uomo. Si tratta, nella specifico, di situazioni derivanti dalla grave mancanza, di spazio all’interno della cella detentiva, di acqua calda, di locali areati e pressoché privi di illuminazione, di condizioni climatiche sostenibili e di servizi igienici riservati decenti.
Appare dunque facilmente intuibile come, la situazione odierna, che impone, tra l’altro, una distanza sicurezza di almeno 1 metro l’uno dall’altro, in base All. 1 del d.P.C.M dello scorso 8 marzo, possa essere davvero drammatica all’interno degli istituti penitenziari e censurabile soprattutto in relazione alla salvaguardia del principio fondamentale di cui al co. 3 dell’art. 27 Cost., secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Le misure necessarie volte ad assicurare la protezione individuale, la sanificazione dell’ambiente, le condizioni igienico-sanitarie adeguate e il dovuto distanziamento fra i soggetti, risultano oggi più che mai insufficienti, e investono non solo i detenuti ma anche il personale civile e le forze dell’ordine che quotidianamente transitano all’interno degli istituti penitenziari.
1. Sintesi dei principali provvedimenti attuati dal Governo in tema di emergenza carceraria
Al fine di evitare il propagarsi all’interno delle carceri del Covid-19, il Governo ha attuato una serie di provvedimenti, che posso essere così sintetizzati:
-gli artt. 123 e 124, d.l n.18/ 2020, dispongono che, salvo determinate categorie di reati o di condannati ai sensi della l. 199/2010 e fino al 30 giugno 2020 (in deroga all’art. 52, l. n 354/1975 ord. Pen.), la pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche se parte residua di maggior pena, possa essere eseguita presso il proprio domicilio;
-l’art. 123 co. 3, d.l. n.18/2020, statuisce che ad eccezione dei minorenni o dei condannati che devono eseguire una pena non superiore a sei mesi, è applicabile la procedura di controllo tramite braccialetti elettronici o altra strumentazione tecnica resa disponibile agli istituti penitenziari.
-l’art. 2, co. 8 e co. 9, d.l. dell’8 marzo n. 11 del 2020 impone che i colloqui con i detenuti avvengano solo da remoto mediante, laddove possibile, apparecchi telefonici; inoltre la magistratura di sorveglianza può sospendere fino al 31 maggio del 2020 la concessione dei permessi premio e della semi-libertà.
1.1 Procedimento applicativo e ratio dell’istituto della nuova detenzione carceraria
Nell’analizzare le summenzionate risposte governative all’emergenza carceraria, occorre primariamente occorre soffermarsi sull’istituto della “nuova” detenzione domiciliare, di cui all’art. 123, d.l. n.18/2020 con specifico riguardo al relativo procedimento applicativo nonché alla ratio che sottende la disciplina in esame.
Il legislatore, ha voluto utilizzare come paradigma normativo dell’art. 123 in esame, l’art. 1 della l. n.199/2010 che nello specifico prevede la possibilità di eseguire le pene detentive di durata non superiore a 18 mesi, anche se costituente parte residua della maggior pena, al di fuori della struttura penitenziaria, ed in particolare presso la propria abitazione o altro luogo pubblico o privato di cura o di accoglienza, e in deroga a quest’ultimo, al comma 8 la nuova disposizione prevede altresì la possibilità del suo espletamento in ulteriori luoghi , se considerati compatibili.
Per quanto concerne la procedura applicativa, è stata scelta una soluzione più agile e derogatoria rispetto all’art. 1 l. n.199/2010: il magistrato, a seguito dell’ istanza di parte, così come disposto dal co. 1 dell’art. 123, dell’interessato, del direttore della struttura penitenziaria o del pubblico ministero, salvo che vi siano gravi motivi ostativi alla concessione della misura, adotta il provvedimento che dispone l’esecuzione della pena presso il domicilio, senza previa relazione da parte dell’istituto sul comportamento tenuto dal medesimo.
Il comma 1 del summenzionato art. 123 d.l. n.18/2020 esclude l’applicazione della misura per quattro diverse tipologie di soggetti: lettera a) ai condannati di cui all’art 4 bis l .n. 374 del 1975 per c.d. reati ostativi e nel caso di maltrattamenti contro familiari o conviventi (art. 572 c.p.) e di atti persecutori (art. 612 bis c.p.); lettera b) ai delinquenti abituali, professionali o tendenti a delinquere (artt. 102, 108 e 105 c.p.); lettere c), d) ed e) ai detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare previsto dall’art. 14 bis legge n.354/1975, che siano stati puniti nell’ultimo anno perle infrazioni disciplinari di cui all’art. 77 d.P.R. n.230/2000, o a seguito di un rapporto disciplinare ai sensi dell’art. 81 del medesimo d.P.R. se coinvolti in disordini a partire dal 7 marzo del 2020; lettera f) nei confronti dei detenuti che non hanno un domicilio effettivo ed idoneo anche in relazione alle esigenze di tutela delle vittime offese dal reato.
Con specifico riguardo alla procedura esecutiva, il magistrato di sorveglianza, ai sensi dell’art 69 bis l. ord. pen., adotta il provvedimento con ordinanza, secondo lo schema del contraddittorio differito, entro giorni in camera di consiglio ed in assenza delle parti; tuttavia quest’ultime possono entro 10 giorni proporre reclamo al tribunale di sorveglianza così come richiamato espressamente dal co. 5, art. 1 l. 199/2010.
Inoltre, il comma 3 dell’art. 123 del presente decreto legge, dispone, salvo che si tratti di minorenni o di condannati con pena da eseguire non superiore a 6 mesi, l’obbligo del braccialetto elettronico o di altre procedure elettroniche compatibili, che devono essere accettate dal detenuto.
Tali apparecchiature elettroniche devono essere disposte con provvedimento del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, di concerto con il Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, entro dieci giorni dall’entrata in vigore del presente decreto legge.
La ratio dell’istituto della nuova detenzione domiciliare, in una situazione di pandemia conclamata dall’ Organizzazione Mondiale della sanità lo scorso 11 marzo, è senza dubbio quella di evitare quanto più possibile il contagio, facilitato dalla situazione di sovraffollamento carcerario . Il modello normativo utilizzato dal legislatore nel d.l. n.18/2020 per la nuova detenzione domiciliare è l’art. 1 della legge n.199/2010 , a sua volta norma di natura eccezionale che, in mancanza di una disciplina uniforme e puntuale che affronti tale criticità, ormai viene applicato in modo costante.
2. Criticità rilevate
Appare opportuno soffermarsi su alcuni aspetti problematici rilevati in ordine alle nuove misure adottate per fronteggiare l’emergenza carceraria.
2.1 Il co. 3, dell’art. 123, l. n.18/2020 è concretamente applicabile?
Il comma 3, dell’art 123, l. n.18/2020 già citato, dispone ad eccezione dei minorenni o dei condannati che devono eseguire una pena non superiore a sei mesi, è applicabile la procedura di controllo tramite braccialetti elettronici o altra strumentazione tecnica resa disponibile agli istituti penitenziari. Giova evidenziare che tale procedura di controllo mediante l’utilizzo di strumenti tecnici data la scarsa disponibilità degli stessi, in primis dei braccialetti elettronici, presso gli istituti penitenziari, rischia in concreto di non poter essere attuata. Tale rimedio inoltre, rischierebbe di porre problemi in ordine al rispetto dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., considerando che l’art. 58 quinquies, l. n.354/1975 dispone una scelta facoltativa in capo al magistrato di sorveglianza dell’applicazione delle medesime misure aventi ad oggetto braccialetti elettronici o altra strumentazione tecnica, per coloro che sono condannati ad una condanna superiore ai 18 mesi.
Appare altresì opportuno evidenziare, che l’obbligatorietà della disciplina in esame potrebbe inoltre contrastare con l’art. 275 bis c.p.p., che dispone l’applicazione delle stesse procedure, nel caso in cui il soggetto venga sottoposto agli arresti domiciliari, anche in sostituzione della custodia cautelare, laddove il magistrato di sorveglianza lo ritenga opportuno. A tal proposito , infatti appare doveroso rammentare che le Sezioni Unite penali con sentenza n. 20769/ 2016 hanno statuito che in caso di esito negativo sulla necessità dell’applicazione delle misure di cui all’art. 275 bis c.p.p., è vietata l’automatica applicazione della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari tradizionali. Il giudice infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, deve evitare qualsiasi tipo di “automatismo escludente” effettuando un giudizio proporzionato, adeguato ed idoneo in relazione alle specifiche esigenze cautelari da valutarsi in ogni singolo caso. Giudizio che seppur rispettoso dei principi di proporzionalità, effettività ed adeguatezza, appare difficilmente concretizzabile in una situazione emergenziale.
2.2. Profili di diritto intertemporale e legge “Spazzacorrotti”
Per quanto concerne i profili di diritto intertemporale, tra la disciplina in esame e la legge “Spazzacorrotti”, nel dettaglio, giova evidenziare la problematica relativa alla non applicazione della nuova detenzione domiciliare a coloro che sono stati condannati per i reati commessi a danno della Pubblica Amministrazione prima del 9 gennaio 2019 (data di entrata in vigore della l. “Spazzacorotti”).
Occorre in tal senso specificare che, la legge “Spazzacorrotti”, è stata introdotta nel nostro ordinamento, al fine di contrastare in modo più incisivo i reati contro la Pubblica Amministrazione, essa infatti ha inasprito l’accesso alle misure alternative della pena detentiva e alla liberazione condizionale, introducendo alcuni delitti contro la p.a. nel catalogo dei reati sottoposti al regime di cui all’art. 4-bis, co. 1, ord. pen.
Quest’ultima disposizione, infatti prevede, l’esclusione dei benefici penitenziari per coloro che abbiano commesso determinati reati, a meno che, laddove possibile, collaborino con l’Autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 58-ter ord. pen. o, nel caso di condannati dei delitti contro la p.a., ai sensi dell’art. 323-bis co. 2, c.p.
A tal proposito, la Corte Costituzionale, con la recentissima pronuncia n. 32/2020 è intervenuta dichiarando l’illegittimità della legge “Spazzacorrotti”, laddove non permetteva l’estensione del principio di irretroattività sfavorevole, ex art. 25, co. 2, Cost., alle modifiche peggiorative aventi ad oggetto le misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione. A seguito di tale decisione, la legge n. 3 /2019 , in quanto più sfavorevole rispetto al regime precedente di cui all’art. 4-bis, c 1, l. ord. pen., non può quindi essere applicata retroattivamente a coloro che hanno commesso i fatti prima della sua entrata in vigore.
Appare importante altresì evidenziare, ai fini della problematica in esame, che in tale pronuncia il Giudice delle Leggi ha ribadito che il principio di irretroattività sfavorevole, avente rilevanza costituzionale, investe la detenzione nelle sue varie forme applicative.
Sulla scorta di tali considerazioni e dei principi generali di cui agli artt. 25, co. 2, Cost. di legalità e 27, co. 3, Cost. di finalità rieducativa della pena, appare pertanto opportuno soffermarsi sulla non applicabilità dell’estensione dell’art 4-bis, co. 1, l. ord. pen., introdotto dalla “Legge Spazzacorrotti”, all’art. 123, co. 1, l. 18/2020 della nuova detenzione domiciliare: quest’ultima considerata come misura alternativa alla detenzione, pur seguente alla legge n.3 del 2019, non vieterebbe l’applicazione della stessa a coloro che hanno commesso i reati contro alla Pubblica Amministrazione inclusi nell’elenco di cui al comma 4-bis, co. 1, l. ord. pen., in un momento precedente al 9 gennaio 2019.
2.3. Brevi riflessioni sulle altre misure emergenziali
Una breve riflessione meritano anche le altre misure adottate dal governo.
Per quanto concerne l’art. 2, co. 8 e 9, d.l. dell’8 marzo n. 11 del 2020, secondo cui i colloqui con i detenuti possono avvenire solo in modalità de remoto mediante, laddove possibile, apparecchi telefonici; pur essendo volto a limitare le possibilità di contagio da Covid-19 all’interno delle carceri, non può essere una soluzione sufficiente dato il transito continuo giornaliero al suo interno di personale civile e delle forze dell’ordine.
Riguardo l’art. 124, l. 18/2020 relativo alle licenze premio di carattere straordinario per i detenuti in semilibertà , valevoli fino al 30 giugno 2020, pur essendo nel concreto una misura apprezzabile, comprende solo una piccola parte dei detenuti.
2.4. Il parere del Csm e la segnalazione dei Tribunali di sorveglianza di Milano e di Brescia
Da ultimo, occorre evidenziare, che sia il Csm che la giurisprudenza di merito sono intervenute in modo incisivo in ordine alla attuale situazione emergenziale degli istituti penitenziari e alle drammatiche prospettive che potrebbe realizzarsi.
In primo luogo il Csm, nel parere sul Decreto “cura Italia” n.18/2020 ha auspicato interventi legislativi immediati e chiarificatori, interventi che possano immediatamente fronteggiare l’emergenza negli istituti penitenziari e che siano segnatamente più incisivi e puntuali.
Nello specifico, quanto alla nuova detenzione domiciliare, il CSM, ha rilevato la necessità di: chiarire le condizioni che ostano all’applicazione della misura, per quanto concerne la clausola di compatibilità di cui all’art. 1, l. 199/2010 e i reati ostativi di cui all’art. 4- bis ord. pen.; di puntualizzare i rapporti fra la “nuova” detenzione domiciliare e l’art. 1, l. n. 199/2010; specificare le modalità di accertamento nel caso di esito negativo dell’istanza di detenzione domiciliare; ribadire le difficoltà derivanti da una concreta applicazione dell’art. 123, co. 3 del d.l. n. 18/2020, causata dalla scarsezza degli strumenti tecnici, in primis dei braccialetti elettronici, di cui dispongono le carceri.
Del pari la giurisprudenza di merito, nello specifico, i Tribunali di sorveglianza di Milano e di Brescia hanno segnalato al Ministro della Giustizia la gravissima situazione i cui versano gli istituti penitenziari della Lombardia, sollecitando tempestivi interventi legislativi che non richiedano una ulteriore valutazione da parte della magistratura di sorveglianza, già oberata dalla situazione emergenziale.
Nel dettaglio viene richiesto l’immediata applicazione di: una previsione normativa che preveda una “detenzione domiciliare speciale per coloro che devono scontare una pena, anche residuale fino a 4 anni e con accompagnamento della Polizia giudiziaria al domicilio per la contestuale verifica dell’idoneità al domicilio stesso”; “uno sconto di pena pari a 75 giorni nel caso in cui non vi siano rilievi disciplinari”; “una licenza speciale di 75 giorni per i semiliberi”.
In un’ottica non dissimile paiono orientarsi le osservazioni e le proposte del consiglio direttivo dell’ “Associazione italiana dei professori di diritto penale”(AIPDP) in ordine all’emergenza carceraria da coronavirus.
3. Considerazioni conclusive
Sulla scia delle considerazioni suesposte, appare condivisibile l’attuazione di un intervento legislativo più chiaro che possa efficacemente arginare l’emergenza sanitaria all’interno degli istituti penitenziari; ma, a parere di chi scrive, è ancora più necessario predisporre immediatamente concrete misure che possano contrastare, in una prospettiva più lungimirante, la problematica del sovraffollamento carcerario che ormai da troppo tempo affligge la nostra società. Data la grave situazione ormai divenuta cronica che incide su principi e valori primari dell’essere umano, non solo dei detenuti ma di ogni persona che potrebbe anche indirettamente esserne colpita, non appare condivisibile trattare tale tematica in un’ottica solo emergenziale, né rinvenire una soluzione congrua ed efficace nello “svuotamento” delle carceri: è necessario attuare misure stabili e durature nel tempo, nonché rispettose del principi costituzionali primo fra tutti quello di legalità di cui all’art. 25, comma 2, Cost.
In tale prospettiva, la soluzione più idonea, che risponderebbe sia ad un’esigenza di contemperamento della questione in esame a lungo termine che di rispetto dei principi fondamentali dei detenuti, è quella di investire maggiori fondi nelle amministrazioni penitenziarie, così da poter utilizzare valide risorse finalizzate al miglioramento, all’ampliamento e alla creazione di nuovi istituti penitenziari; istituti capaci di contenere i soggetti sottoposti a detenzione nel rispetto dei principi fondamentali della persona umana già citati, sia a livello nazionale, in primis del finalismo rieducativo della pena di cui all’art. 27 co. 3 Cost., di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., di uguaglianza sia formale che sostanziale di cui all’art. 3, commi 1 e 2, Cost.; che sovranazionale fra tutti, l’art. 3 Cedu sul divieto di trattamento inumani e degradanti.
Infine, ma non di minore importanza, è doveroso considerare che le nostre carceri per essere considerate tali, devono salvaguardare le differenti situazioni dei detenuti, detenuti che non possono essere trattati allo stesso modo e che purtroppo subiscono realtà completamente differenziate solo in considerazione dell’istituto penitenziario in cui si trovano, solo per fare un esempio, il carcere di “Rebibbia” non è certamente paragonabile a quello di “Regina Coeli”.
L’aver accomunato, o meglio ammassato, all’interno degli istituti penitenziari le situazioni più disparate, solo in virtù della loro condizione sociale, ovvero in quanto tossicodipendenti, o immigrati clandestini, o in quanto emarginati ecc., rischia di vanificare lo scopo fondamentale della pena ovvero la finalità di rieducare il condannato e poterlo reinserire nella società, nonché pone evidenti ripercussioni in termini del rispetto del principio di uguaglianza.
Il rapinatore recidivo, il persecutore seriale, non può stare con il tossicodipendente, e allo stesso tempo il detenuto violento non può stare con l’emarginato debole: a problematiche diverse bisogna rispondere in modo diverso e soprattutto immediato.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
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