Enti pubblici di ricerca, stabilizzazioni e ricostruzioni di carriera: la Via Crucis tra norme nazionali ed europee

Enti pubblici di ricerca, stabilizzazioni e ricostruzioni di carriera: la Via Crucis tra norme nazionali ed europee

Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, Ordinanza, 23 novembre 2017, n. 27950

Pres. Napoletano – Rel. Miglio

Stabilizzazioni – art. 1, commi 519, 520, l. 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007) – Principio di non discriminazione fra lavoratori – Dir. 1999/70/CE del Consiglio dell’Unione Europea del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato

La verifica della comparabilità delle situazioni al fine di evitare la discriminazione, spettante all’autorità giudiziaria dello Stato membro, va effettuata con riguardo alla natura delle funzioni-se esse, successivamente alla immissione in ruolo, siano identiche a quelle precedentemente esercitate nell’ambito dei contratti a termine – non potendo ritenersi che le lavoratrici si trovino in una situazione differente a causa del mancato superamento del concorso pubblico per l’accesso ai ruoli della pubblica amministrazione, dal momento che le condizioni per la stabilizzazione fissate dal legislatore nazionale nella normativa controversa, le quali concernono rispettivamente la durata del rapporto di lavoro a tempo determinato e il requisito di essere stati assunti a tale scopo mediante una selezione concorsuale o comunque prevista dalla legge, mirano appunto a consentire la stabilizzazione dei soli lavoratori a tempo determinato la cui situazione può essere assimilata a quella dei dipendenti di ruolo.

RILEVATO IN FATTO

che con sentenza in data 27.4.2012 la Corte di Appello di Trieste ha confermato la sentenza del Tribunale della medesima città che, applicato il principia di non discriminazione, ha accertato il diritto di D.S.M., dipendente del CNR assunta a seguito di procedura di stabilizzazione, al riconoscimento della anzianità maturata nel precedente quinquennio in cui il rapporto di lavoro si era svolto a tempo determinato;

che avverso tale sentenza ha proposto ricorso il CNR affidato a quattro motivi, al quale ha opposto difese la D.S. con controricorso;

che è stata depositata memoria ex art. 380 bis c.p.c., da D.S.M..

CONSIDERATO IN DIRITTO CHE:

1. 2. con il primo ed il secondo motivo di ricorso, il CNR denuncia la violazione e falsa applicazione della direttiva n. 1999/70/CEE e del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, affermando l’erroneità della decisione del giudice di merito, che avrebbe omesso di considerare la mancanza di presupposti per il riconoscimento di effetti diretti alla direttiva in esame ed erroneamente interpretato la direttiva medesima in punto di divieto di discriminazione, applicabile, ad avviso del ricorrente, solo ai lavoratori a tempo determinato e non anche ai lavoratori a tempo indeterminato, in precedenza impiegati a tempo determinato;

3. 4. con il terzo e quarto motivo di ricorso, il CNR deduce l’omessa o comunque insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, non avendo i giudici di merito tenuto alcun conto delle deduzioni dell’ente, volte a dimostrare la esistenza di ragioni oggettive, rinvenibili nella natura della attività di ricerca per specifici programmi e con specifici requisiti professionali, la L. 7 agosto 1997, n. 266, ex art. 5, comma 2, tali da escludere l’applicabilità al caso di specie della normativa comunitaria. Le suddette ragioni, ad avviso del ricorrente, avrebbero consentito di escludere la sussistenza di discriminazione nella mancata considerazione dell’anzianità di servizio maturata nel servizio preruolo, in un successivo e diverso rapporto di lavoro con lo stesso ente, non costituente nè proroga nè prosecuzione del primo;

1.1. 2.1. 3.1. e 4.1. i motivi di ricorso, in virtù della loro connessione, possono essere trattati congiuntamente. Il collegio ritiene infondate le censure in esame, in quanto l’immediata applicabilità della clausola 4 della direttiva europea 1999/70/CE, riguardante il principio di non discriminazione, è stata ripetutamente affermata dalla Corte di Giustizia ed, ultimamente, tale principio è stato chiaramente espresso da questa Corte nelle numerose pronunce in materia di contratti a tempo determinato nel settore scolastico (ex plurimis, Cass. n. 22558 del 2016) secondo le quali “la interpretazione delle norme eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale, che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa. A tali sentenze, infatti, siano esse pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, non nel senso che esse creino “ex novo” norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia “erga omnes” nell’ambito dell’Unione.

Sul principio di non discriminazione, la Corte di Giustizia ha evidenziato che:

a) la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicchè la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C-307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C177/10 Rosado Santana);

b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorchè proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42);

c) le maggiorazioni retributive che derivano dalla anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata);

d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, nè rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perchè la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi);

la sentenza del 18.10.2012 della Corte nelle cause riunite da C-302/11 a C-305/11 Valenza + 4, con riguardo al mancato riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata precedentemente al collocamento in ruolo a seguito della procedura di stabilizzazione prevista dalla L. n. 296 del 2006, ha affermato:

– non risulta dal testo della clausola 4 dell’accordo quadro, nè dal contesto in cui si colloca che essa cessi di essere applicabile una volta che il lavoratore interessato abbia acquistato lo status di lavoratore a tempo indeterminato, infatti gli obbiettivi perseguiti dalla direttiva 1999/70 e dall’accordo quadro, diretti sia a vietare le discriminazioni, sia a prevenire gli abusi risultanti da contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione depongono in senso contrario (sentenza Rosado Santana);

– la verifica della comparabilità delle situazioni al fine di evitare la discriminazione, spettante all’autorità giudiziaria dello Stato membro, va effettuata con riguardo alla natura delle funzioni-se esse, successivamente alla immissione in ruolo, siano identiche a quelle precedentemente esercitate nell’ambito dei contratti a termine – non potendo ritenersi che le lavoratrici si trovino in una situazione differente a causa del mancato superamento del concorso pubblico per l’accesso ai ruoli della pubblica amministrazione, dal momento che le condizioni per la stabilizzazione fissate dal legislatore nazionale nella normativa controversa, le quali concernono rispettivamente la durata del rapporto di lavoro a tempo determinato e il requisito di essere stati assunti a tale scopo mediante una selezione concorsuale o comunque prevista dalla legge, mirano appunto a consentire la stabilizzazione dei soli lavoratori a tempo determinato la cui situazione può essere assimilata a quella dei dipendenti di ruolo;

sulla base di tali principi il collegio osserva che in questa sede il CNR, pur affermando l’esistenza di ragioni oggettive a suo dire idonee a giustificare la diversità di trattamento, ha fatto leva su circostanze che prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni, le quali sole avrebbero potuto legittimare la disparità. Ha insistito, infatti, sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego e sulla novità del contratto a tempo indeterminato rispetto al precedente nonchè sulle modalità di reclutamento del personale nel settore della ricerca e sulle esigenze che il sistema mira ad assicurare;

le “ragioni oggettive” richiamate nella clausola 4, attengono, invece, alle condizioni di lavoro che contraddistinguono i due tipi di rapporto in comparazione, in ordine alle quali il ricorrente ha affermato (quarto motivo di ricorso) che “le attività di ricerca presuppongono una lunga maturazione dei ricercatori attraverso esperienze effettuate con attività di ricerca necessariamente svolta nell’ambito di rapporti a tempo determinato, tanto che l’esperienza specifica almeno triennale costituisce requisito per l’accesso al concorso per l’inquadramento nel profilo di Ricercatore di 3^ livello… ne consegue che l’instaurazione di rapporti di lavoro dei ricercatori a tempo indeterminato del CNR (come negli altri enti del comparto) è sempre preceduta da un periodo almeno triennale di esperienza maturata con rapporti di lavoro a termine”. Dalle stesse deduzioni del ricorrente risulta, dunque, che le mansioni, sia nel corso del rapporto a tempo determinato, sia nel corso del rapporto a tempo indeterminato sono quelle di ricercatore, pur essendo le prime svolte in una fase formativa del lavoratore, sicchè manca, nella specie, l’allegazione di circostanze idonee a legittimare un trattamento difforme;

5. per le esposte motivazioni il ricorso deve essere respinto;

6. le spese vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% sui compensi professionali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2017


Il commento

Enti pubblici di ricerca, stabilizzazioni e ricostruzioni di carriera. La Via Crucis di un incerto conflitto tra norme nazionali e norme comunitarie, di Paolo Capitelli

I. Il quadro normativo

La sentenza in commento, per quanto consta, rappresenta il primo arresto dei nostri Giudici di Legittimità che si occupa della difficile tematica della ricostruzione di carriera per i lavoratori dipendenti di enti di ricerca c.d. “stabilizzati” (soprattutto ricercatori e tecnologi), disciplinata da plurimi formanti di diritto interno e comunitario.

L’art. 1, comma 519, l. 27 dicembre 2006, n. 296 ha riproposto il meccanismo delle stabilizzazioni di lavoratori, legati dall’Amministrazione di appartenenza, a contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, mentre il successivo comma ha previsto disposizioni speciali per gli Enti pubblici di ricerca [1].

La misura, la cui ratio giustificatrice, all’evidenza, trova humus in un intento di sanatoria nei confronti del fenomeno del precariato lavorativo alle dipendenze di enti pubblici, ha riguardato personale di non dirigenziale con un rapporto di servizio almeno triennale, precedentemente assunto, sia con procedure selettive di natura concorsuale, sia con altre meccanismi di reclutamento (si pensi alla chiamata diretta); nel caso di preesistente selezione la stabilizzazione ha dato foggia a un meccanismo pressoché automatico di instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, mentre in assenza di un precedente concorso, sono state previste prove selettive  [2] [3].

Va evidenziato che la stessa ha investito differenti tipi di amministrazioni, pur rivolgendosi lo sguardo, con le presente nota, alla posizione dei dipendenti degli enti pubblici di ricerca [4].

Al formante di diritto interno si affianca la Dir. 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, incentrata sull’affermazione del principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, svolgenti mansioni comparabili; la direttiva è stata attuata nel nostro ordinamento con il d.lg. 6 settembre 2001, n. 368.

La clausola n. 4, par. 1 e 4 del recepito accordo, infatti, ha stabilito, rispettivamente, che “Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive” e che “I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”.

Va poi tenuto in considerazione l’art. 137, par. 5, del Trattato che istituisce la Comunità Europea, di seguito refluito nell’art.  153, par. 5, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea -versione consolidata,, che offre il destro per ipotizzare una riserva in favore degli Stati membri in ordine agli aspetti economico – retributivi.

II. La questione

Il delineato quadro normativo ha favorito l’insorgere di una questione di notevole importanza, non meramente teorica, ma con evidenti riflessi pratici, e, per l’effetto foriera di numerosissimi contenziosi giudiziari.

Il dubbio interpretativo che ci è posti, infatti, riguarda la sussistenza o meno, in capo ai lavoratori prima a termine e poi assunti con contratto a tempo determinato, a seguito dei processi di stabilizzazione, del diritto al riconoscimento del pregresso periodo di anzianità, maturata durante lo svolgimento dei rapporti a tempo determinato, a parità di mansioni.

A titolo esemplificativo, un ricercatore che ha prestato servizio per 5 anni in “modalità di precariato”, maturando, nelle more, l’accesso alla seconda fascia stipendiale, al tempo dell’assunzione a tempo indeterminato deve essere inquadrato, ex novo, nella fascia iniziale o in quella già maturata nella pregressa fase temporale?

III. Prevalenza del diritto comunitario e ragioni oggettive ostative

L’evidenziato nodo gordiano, nella evoluzione della Giurisprudenza comunitaria  è stato “sciolto” in base a criteri di effettività e concretezza.

La preminenza del Diritto Comunitario su quello nazionale, in uno alla riserva spettante alla Corte di Giustizia sull’interpretazione delle norme di indole comunitaria impone di prendere in considerazione, anzitutto, gli orientamenti di detta Corte, per poi analizzarne il recepimento da parte dei giudici italiani.

La stessa Corte Regolatrice, infatti, ha sostanzialmente affermato che il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere dovere di dare immediata applicazione alle norme dell’Unione Europea provviste di effetto diretto precisando, altresì, che l’obbligo di applicazione riguarda anche le sentenze interpretative della Corte di Giustizia ove riguardino norme europee direttamente applicabili [5].

Indi la Corte di Giustizia,  in più pronunce ha precisato i corollari del principio di non discriminazione, ove rilevino commistioni tra  fattispecie di lavoro a termine e successivo contratto di lavoro a tempo indeterminato “comparabili”:

– l’art. 137, par. 6 del Trattato CE, ora art, 153, par. 5, del TFUE, pur nel dettare una riserva in favore dei membri del consesso europeo sui trattamenti economici salariali, deve essere interpretato restrittivamente, nel senso, comunque, di escludere discriminazioni in favore dell’avente diritto [6] ;

– il principio della parità di trattamento trova un limite nella esistenza di ragioni oggettive ostative non meramente astratte, ma “precise e concrete”, inerenti all’attività svolta, laddove una mera previsione di legge, volta a negare la parità di trattamento, non si appalesa idonea a configurare una ragione di tal fatta [7];

–   la non corrispondenza di funzioni espletate nel contesto dei contratti a tempo determinato rispetto a quelle svolte da un dipendente di ruolo inquadrato nella categoria identica  è idonea a giustificare eventuali diversità di trattamento, senza risolversi in discriminazioni ingiuste;

– vale, in definitiva, un’attenta considerazione di un insieme di fattori, quali la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, affinché  sia possibile ritenere che tali persone si trovino in situazioni comparabili o anche no [8].

Le traiettorie interpretative disegnate dalla Giurisprudenza Comunitaria sono state recepite e applicate dalla Giurisprudenza interna in modo piuttosto difforme.

Alcune sentenze di merito, infatti, nel valorizzare in termini quasi assoluti il predicato semantico dell’art. 4 del citato accordo quadro sul versante della non discriminazione, non hanno inteso ravvisare ragioni ostative all’applicazione dello stesso, riconoscendo, per l’effetto, la fondatezza delle pretese dei ricorrenti [9].

Di contro, altra giurisprudenza ha condotto una più precisa analisi, incentrandola su due possibili limiti di operatività dell’accordo quadro, costituiti dal profilo genetico dei contratti a tempo determinato e del successivo contratto a tempo indeterminato oggetto di stabilizzazione e dai contenuti della prestazione, diversi per le due fattispecie contrattuali.

Quanto ai primi, infatti, si è ritenuto che mentre i contratti a tempo determinato presuppongono una selezione con meccanismi semplificati (se non addirittura, in certi casi, la chiamata diretta – n.d.r.), specialmente sotto il profilo dell’assenza di pregresse esperienze, il ricercatore a tempo indeterminato deve, ordinariamente, risultare vincitore di un concorso per titoli cd esami nel quale è valutata la sua conoscenza e competenza in un’ampia area di ricerca, con il requisito di una pregressa attività di ricerca almeno triennale o il possesso del titolo di dottore di ricerca.

Si giunge, per tale, via, anche a ritenere che il riconoscimento di pregresse retributive rischierebbe di comportare, ad absurdum, vere e proprie discriminazioni alla rovescia, in danno di coloro che hanno vinto un concorso per ricercatore, senza fruire di una procedura di stabilizzazione[10] [11].

L’orientamento in rassegna, peraltro, non ha omesso di sottolineare che nel passaggio tra rapporto di lavoro a termine e rapporto di lavoro a tempo indeterminato non si verifica una ipotesi di conversione legale di un rapporto unitario, vietata, in generale, dall’art. 36, comma 5, D.lg. 30 marzo 2001, n. 165 ma una vera e propria successione di contratti autonomi, di talché la fattispecie “stabilizzata” rappresenta, a tutti gli effetti, un nuovo contratto [12].

L’ulteriore elemento ostativo, meglio qualificabile come assenza di elemento base della fattispecie delineata dall’accordo quadro si identifica nel difetto di comparabilità, id est nell’assenza di identità e/o similitudine tra tipologia di attività svolta durante i periodi a termine e attività esercitata nell’ambito del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Durante il primo periodo, l’attività del ricercatore o del tecnologo normalmente si concentra sullo specifico progetto per il quale fu instaurato il contratto, mentre durante il periodo a tempo indeterminato le suddette qualifiche sono chiamate ad operare su di un ventaglio più ampio di progetti, nonché di conseguenti attività[13].

IV. La ristretta nozione di “ragioni oggettive” secondo la Cassazione

La sentenza che si annota sembra prediligere l’orientamento più favorevole al lavoratore, escludendo “che le lavoratrici si trovino in una situazione differente a causa del mancato superamento del concorso pubblico per l’accesso ai ruoli della pubblica amministrazione”.

In altri termini, secondo i nostri Giudici di Legittimità, le differenze relative al profilo genetico non assurgono a dignità di ragioni oggettive ostative all’applicabilità del principio di non discriminazione contemplato dalla illustrata normativa comunitaria.

La sentenza in questione, a parere dello scrivente, non appare condivisibile, in quanto in stridente contraddizione con gli orientamenti espressi dalla Corte di Giustizia, volti a prendere in considerazione, alla stregua di ragioni oggettive, come ante illustrato[14], anche le modalità inerenti all’attività e le condizioni di formazione, e, quindi, il concreto contesto complessivo qualificante la vicenda dei contratti a termine e quella della stabilizzazione.

Non si intendono, di certo, revocare in dubbio gli aspetti solidaristici, di utilità sociale e di migliore efficienza amministrativa collegati all’immissione nei ruoli del c.d. personale precario, ma resta fermo che la procedura di stabilizzazione e quella pregressa di assunzione a tempo determinato non presentano gli stessi caratteri di rigore e difficoltà di un tradizionale concorso pubblico; di talché è di tutta evidenza che la sentenza in esame, oltre che creare rischi di discriminazione alla rovescia, oscura anche  ogni valenza al principio di inserimento nei ruoli della P.A. a mezzo di concorso, previsto dall’art. 97 Cost.,rispetto al quale la procedura di stabilizzazione rappresenta pur sempre un’eccezione.


Note

[1] Il comma 519 rappresenta la norma archetipo sulle stabilizzazioni, ma non costituisce la sola disposizione normativa prevista dalla l. finanziaria 2007: accanto ad essa, e al successivo comma 520, vi sono gli ulteriori commi  417,519, 520, 521, 526, 558, 565, 566, 940, 1077, 1156, lett. f).

[2] La prima delle due norme invocate, nel suo nucleo essenziale,  ha previsto che “per l’anno 2007 una quota pari al 20 per cento del fondo di cui al camma 513 è destinata alla stabilizzazione a domanda del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni. anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge, che ne faccia istanza, purché sia stata assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse si provvede previo espletamento di prove selettive” mentre la seconda ha disposto che “per l’anno 2007, per le specifiche esigenze degli enti di ricerca, è costituito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, un apposito fondo, destinato alla stabilizzazione di ricercatori, tecnologi, tecnici e personale impiegato in attività di ricerca in possesso dei requisiti temporali e di selezione di cui al comma 519, nonché all’assunzione dei vincitori di concorso con uno stanziamento pari a 20 milioni di euro per l’anno 2007 e a 30 milioni di euro, a decorrere dall’anno 2008. All’utilizzo del predetto fondo si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentite le amministrazioni vigilanti, su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato”.

[3] Differente, seppure fortemente implicata, è la problematica relativa all’abuso di successione di contratti a tempo determinato, che forgia il diritto al risarcimento del danno, ma non alla conversione di un rapporto a tempo determinato in un rapporto a tempo indeterminato: in tema, cfr. Cass. civ. Sez. Un., 15 marzo 2016, n. 5072, in Argomenti Dir. Lav., 2016, 4-5, 855 ss., con nota di N. FRASCA, La quantificazione del “danno comunitario” da illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato nel pubblico impiego: nel perdurante silenzio del legislatore di pronunciano le Sezioni Unite, ivi ult. bibl.

[4] Sul punto, cfr. V. MILANI, Le misure di stabilizzazione del lavoro precario nel settore pubblico previste dalla legge finanziaria 2007, in Gior. Dir. Amm., n.12, 2007, 1265 ss., spec.  1266 s.: “l’azione è di ampia portata e riguarda numerose amministrazioni, puntualmente individuate da diversi commi dell’unico articolo della legge finanziaria. Vi rientrano, anzitutto, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, incluse quelle fiscali, gli enti pubblici non economici, gli enti di ricerca, nonché gli enti e le aziende elencate all’art. 70 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (art. 1, c. 519, 520 e 521) A queste sono poi assimilate, non per richiamo espresso della legge ma per interpretazione della direttiva ministeriale, le università – con esclusione del personale docente -, le camere di commercio, le federazioni,  i consigli nazionali degli ordini e gli automobilclub, chiamati ad adeguare i propri ordinamenti alle disposizioni sulla stabilizzazione nello Stato, tenendo conto delle proprie peculiarità  e disponibilità di bilancio. Il processo di stabilizzazione coinvolge, ancora, le amministrazioni regionali e locali, che risultano in ogni caso vincolate al rispetto delle regole del patto di stabilità  interno (art. 1, c. 558 e 1156, lett. f), e gli enti del servizio sanitario nazionale, per i quali le ipotesi di trasformazione dei rapporti di lavoro a termine si inseriscono nei programmi annuali di revisione delle consistenze di personale (art. 1, c. 565 e 566). Infine, sono oggetto di previsioni ad hoc il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco (art. 1, c. 526), il Corpo forestale (art. 1, c.  1077), il Parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga e il Parco nazionale della Maiella (art. 1, c. 940)”.

[5] Cfr. Cass. civ., Sez. Lavoro, 7 novembre 2016, n. 22558, in CED Cass., 2016; Cass. civ. Sez. lavoro, 12 ottobre 2011, n. 20980, ivi, 2011.

[6] In questo senso, cfr. Corte Giust., 13 settembre 2007 – C -307/05, in www.curia.europa.eu. La Corte afferma, tra le altre cose, che “che la riserva di cui all’art. 137, n. 5, CE, non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminandone, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicatone di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione”. Per una applicazione del principio in materia di personale non di ruolo scolastico, si veda Cass. civ. Sez. lavoro, 23 novembre 2016, n. 23868, in www.leggiditalia.it, che ha affermato quanto segue:” Al personale scolastico non di ruolo assunto a tempo determinato spetta, in applicazione del divieto di discriminazione di cui alla clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 99/70/CE, di diretta applicazione, il trattamento retributivo secondo il sistema di progressione professionale per fasce di anzianità previsto per gli assunti a tempo indeterminato, con conseguente disapplicazione di ogni normativa contrattuale contraria”.

[7] Corte Giust., 13 settembre 2007 – C -307/05, cit.

[8] Corte Giust., ord., 7 marzo 2013, C. 393/2001, in www.curia.europa.eu.; v. anche Corte Giust. , 4 settembre 2014, C.152/14, ivi.; Corte Giust., 18 ottobre 2012, C. 302/11, ivi.

[9] Cfr., ad es., Trib. Firenze Sez. lavoro, 16 marzo 2015, in Lavoro nella Giur., 2015, 10,  969 ss; e, tutte inedite,  Trib. Bologna, Sez. lavoro, 5 dicembre 2014, n. 1034, Trib. Roma, Sez. Lavoro, 23 gennaio 2013, n. 882; Trib. Tivoli, Sez. Lavoro, 18 aprile 2012, n. 1477.

[10] Ex plurimis, Cons. Stato, 25 novembre 2011, n. 1138, in www.plurisonline.it; nonché, tutte inedite, App. Genova, Sez. lavoro, 17 ottobre 2016, n. 367; ID, 29 giugno 2015, n.187;  ID, 25 giugno 2014, n. 222; ID,  18 giugno 2014, n. 179; ; Trib. Avellino, Sez. lavoro, 4 giugno 2015, n.207; Trib. Cosenza, Sez. lavoro, 16 luglio 2014, n. 1519.

[11] Ex art. 20, comma 4, D.lg. 4 giugno 2003, n.127, di riforma del Consiglio Nazionale delle Ricerche, è espressamente previsto che “ il C.N.R, con proprio regolamento sul personale ai sensi del presente articolo, disciplina le procedure di assunzione ai diversi livelli e profili del personale ricercatore e tecnologo, valorizzando prioritariamente le esperienze di ricerca effettuate all’estero ovvero presso università o imprese nel rispetto dei seguenti principi: a) il rapporto di lavoro a tempo indeterminato come ricercatore o tecnologo dell’ente si instaura, per i livelli di ricercatore, primo ricercatore, dirigente di ricerca, tecnologo, primo tecnologo e dirigente tecnologo, previo l’espletamento di concorsi pubblici per aree scientifiche o settori tecnologici, idonei a valutare competenze e attitudini finalizzate all’attività richiesta, mediante il ricorso a specifiche commissioni giudicatrici costituite in maggioranza da componenti esterni all’ente e presiedute da dirigenti di ricerca o tecnologi dell’ente o dipendenti da un ente del comparto ricerca ovvero ancora da professori universitari ordinari, con comprovata esperienza internazionale. Per accedere alla selezione per il livello iniziale occorre essere in possesso del titolo di dottore di ricerca attinente all’attività richiesta dal bando ovvero aver svolto per un triennio attività di ricerca presso università o qualificati enti, organismi o centri di ricerca pubblici o privati ovvero nell’ambito dei contratti di cui al comma 3, ovvero di assegni di ricerca banditi dall’ente ai sensi dell’articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con valutazione finale delle attività”.

[12] Cfr. Cons. Stato, 25 novembre 2011, n. 1138, cit. ; Trib. Salerno, Sez. lavoro, 4 aprile 2014, n. 1567, ined. Peraltro, su tale specifico punto già era intervenuta una interpretazione meno favorevole al ricercatore stabilizzato; infatti, il Dipartimento della Funzione Pubblica – Ufficio per il Personale della Pubblica Amministrazione – Servizio programmazione assunzioni e reclutamento con parere prot. n. DFP-0016229-3 aprile 2008-1.2.3.4, in www.forum.enti.it,  ha escluso in modo categorico, per i rapporti di lavoro precario “stabilizzati”, vale a dire seguiti dall’instaurazione di rapporti a tempo indeterminato, qualsiasi riconoscimento di anzianità pregresse, dovendo la stabilizzazione avvenire, “come per tutte le nuove assunzioni, nella qualifica indicata dal bando e nella fascia retributiva iniziale secondo le disposizioni del CCNL di comparto, ed è priva di continuità rispetto al precedente rapporto con la conseguenza che il periodo non di ruolo non è utile ai fini dell’anzianità di servizio. L’autonomia del nuovo rapporto determina la necessità dello svolgimento del periodo di prova ed esclude che possa verificarsi la fattispecie della reformatio in pejus del trattamento del neo assunto, rinvenibile solo nei casi di passaggi di carriera presso la stessa o altra amministrazione, come rilevato anche dal Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato nella nota del 21 marzo 2008, n. 39430”. Successivamente, lo stesso Dipartimento della funzione pubblica con Circolare n.5/2008 del 18 aprile 2008, in www.funzionepubblica.gov.it ha reiterato l’assunto secondo il quale nel settore pubblico il rapporto di lavoro a tempo determinato è sempre destinato a concludersi allo spirare del termine o al verificarsi di una causa di estinzione anticipata del rapporto medesimo. Nella predetta circolare la Funzione pubblica ha testualmente precisato che “nelle procedure di stabilizzazione l’assunzione a tempo indeterminato, quale momento conclusivo della relativa procedura, avviene, come per tutte le nuove assunzioni, nella qualifica indicata dal bando e nella fascia retributiva iniziale secondo le disposizioni del CCNL di comparto, ed è priva di continuità rispetto al precedente rapporto con la conseguenza che il periodo non di ruolo non è utile neppure ai fini dell’anzianità di servizio”.

[13] Molti arresti giurisprudenziali, sempre sfortunatamente inediti, hanno fondato la propria “ratio decidendi” sulla non comparabilità: ex multis, Trib. Potenza, Sez. lavoro,  20 giugno 2017, n. 564; Trib. Firenze, Sez. lavoro, 17 febbraio 2016, n.137; Trib. Roma, Sez. lavoro, 30 ottobre 2014, n. 10206; Trib. Cosenza, Sez. lavoro, 22 novembre 2013, n. 3157. Al fine di rendere maggiormente chiaro il concetto di difetto di identità e/o similitudine, si faccia l’esempio, anche se astratto,  di un ricercatore di diritto privato, prima assunto a termine, su un singolo progetto relativo allo studio dei trust, e di seguito stabilizzato. Durante la prima fase, il suddetto ricercatore è chiamato a occuparsi, nell’ambito della disciplina del diritto privato, esclusivamente di formanti normativi, giurisprudenziali e dottrinali sulla tematica in esame, non essendo tenuto, quindi, ad esempio, allo studio e all’approfondimento della tutela del consumatore; di contro, il ricercatore a tempo indeterminato è chiamato ad occuparsi di una pluralità di aspetti della materia, a seconda dei progetti, spazianti, per esempio, dal matrimonio alle successioni, dalla responsabilità contrattuale a quella aquiliana, dai diritti della personalità, quelli reali financo  alle situazioni creditorie.

[14] V., retro, §III.


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