Esame avvocato: l’Adunanza plenaria dovrà pronunciarsi sulla legittimità del voto numerico
Questa Rivista si interessa, oramai, da anni della tortuosa vicenda degli esami di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato ponendo l’accento, ogni volta, su un orientamento giurisprudenziale diverso che valorizza questo o quel principio, questa o quella norma. I dubbi maggiori riguardano, invero, la legittimità di un giudizio espresso in forma meramente numerica e senza espressioni fraseologiche.
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Siciliana, con ordinanza 2 maggio 2017, n. 206 ha sollevato la questione sulla scorta della non univocità sul punto della giurisprudenza ed ha ritenuto il contrasto meritevole di ulteriore approfondimento da parte dell’Adunanza Plenaria, in considerazione dell’impatto sociale che l’esame per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato produce su molti giovani che aspirano all’esercizio della professione forense.
Il prossimo 12 luglio l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato tratterà la questione concernente la motivazione del giudizio di non ammissione alle prove orali dell’esame per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, e cioè: 1) se l’art. 49, l. 31 dicembre 2012, n. 247 escluda l’applicazione dell’art. 46, comma 5, della stessa legge; 2) se il voto numerico esprima e sintetizzi il giudizio tecnico – discrezionale della commissione senza ulteriori oneri motivazionali.
La legge 247/2012 reca la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense. Il Titolo IV della suddetta legge disciplina l’accesso alla professione forense, e il Capo II si riferisce all’Esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato. Per quel che qui più interessa, l’art. 46, comma 5, recita che la commissione annota le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti. Si aggiunga che l’art. 49 detta una disciplina transitoria che originariamente prevedeva che per i primi due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge l’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato si effettua, sia per quanto riguarda le prove scritte e le prove orali, sia per quanto riguarda le modalità di esame, secondo le norme previgenti. Successivamente il decreto-legge n. 192 del 2014 ha sostituito la parola due con la parola quattro, e ancora il decreto-legge n. 244 del 2016 ha sostituito la parola quattro con la parola cinque. Il che significa che la disciplina transitoria ha una durata complessiva di cinque anni, e, conseguentemente anche l’abilitazione per l’anno 2017 si svolgerà secondo quanto previsto dalla previgente normativa e ciò, sempre che la criticabile tecnica normativa che affida a un decreto-legge adottato alla fine dell’anno (c.d. decreto “mille proroghe”) non determini una nuova modifica dell’art. 49.
Il Consiglio di Stato ha affrontato il tema del rapporto fra art. 46, comma 5, e art. 49 della legge 247/2012 affermando che la disciplina transitoria comporta il rinvio (prima di due, poi di quattro) ora di cinque anni dell’applicazione anche dell’art. 46, comma 5. Si può richiamare a riguardo la decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 settembre 2016, n. 4040 a detta della quale contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, nessun argomento di segno opposto a detta consolidata giurisprudenza può trarsi dall’articolo 46, comma 5, della legge 31 dicembre 2012 n. 247, in quanto detta norma non è applicabile alla fattispecie per cui è causa per il termine dilatorio di quattro anni contenuto nel successivo articolo 49 del testo di legge richiamato.
Invero, il Consiglio di Stato (Sez. IV, sentenza n. 2221/2007) considera noto e assolutamente prevalente l’orientamento secondo cui anche dopo l’entrata in vigore della L. 7 agosto 1990 n. 241 il voto numerico attribuito dalla competente Sottocommissione alle prove scritte sostenute dai candidati agli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale dell’ organo giudicante, contenendo in sé la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, e ciò in quanto la motivazione espressa numericamente, oltre a rispondere ad un evidente principio di economicità dell’attività amministrativa di valutazione e di speditezza della stessa, assicura la necessaria chiarezza sul modus procedendi degli esaminatori (indirizzo giurisprudenziale ribadito nelle sentenze del Consiglio di Stato, Sez. IV, 7483/2009, 4295/2009, 2325/2011, 6219/2012, 4035/2016, 4040/2016).
È chiaro, dalla ricostruzione appena svolta, che l’art. 46, comma 5, della legge 247/2012 se fosse ritenuto applicabile determinerebbe una mutazione della base legale invocata a sostegno della prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, e assicurerebbe una motivazione del voto che è cosa diversa dalla motivazione del provvedimento di esclusione in ragione del voto numerico.
A parere dei giudici siciliani, merita, quindi, un approfondimento il tema del rapporto che corre fra l’art. 49 e l’art. 46, comma 5, della legge 247/2012. In particolare, merita di essere accertato se l’ambito di operabilità della disposizione transitoria sia circoscritto all’ultrattività dell’art. 22 del R.D. 1578/1934 e dell’art. 17 bis del R.D. 37/1934, cioè delle sole disposizioni che disciplinano lo svolgimento dell’esame di Stato. L’ultrattività di dette disposizioni si lega infatti al comma 6 dell’art. 46 (a detta del quale il Ministro della giustizia, sentito il CNF, disciplina con regolamento le modalità e le procedure di svolgimento dell’esame di Stato e quelle di valutazione delle prove scritte ed orali da effettuare sulla base dei seguenti criteri: a) chiarezza, logicità e rigore metodologico dell’esposizione; b) dimostrazione della concreta capacità di soluzione di specifici problemi giuridici; c) dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati; d) dimostrazione della capacità di cogliere eventuali profili di interdisciplinarietà’; e) dimostrazione della conoscenza delle tecniche di persuasione e argomentazione) e al comma 7 dell’art. 46 (secondo il quale le prove scritte si svolgono con il solo ausilio dei testi di legge senza commenti e citazioni giurisprudenziali. Esse devono iniziare in tutte le sedi alla stessa ora, fissata dal Ministro della giustizia con il provvedimento con il quale vengono indetti gli esami. A tal fine, i testi di legge portati dai candidati per la prova devono essere controllati e vistati nei giorni anteriori all’inizio della prova stessa e collocati sul banco su cui il candidato sostiene la prova. L’appello dei candidati deve svolgersi per tempo in modo che le prove scritte inizino all’ora fissata dal Ministro della giustizia).
Operando un raffronto preciso fra art. 46 delle legge 247/2012 e art. 17 bis del R.D. 37/1934 si deve concludere che la due normative sono praticamente sovrapponibili (per quel che attiene allo svolgimento delle prove e alle valutazioni) con il risultato che l’unica disposizioni inapplicabile della normativa del 2012 è – oltre i commi 6 e 7 – il comma 5 che attiene alla motivazione del voto. Per effetto del combinarsi di fonti prerepubblicane, e di riforme entrate in vigore senza alcuna cura per la sistematicità della disciplina del settore, si determinano effetti che escludono l’immediata applicazione del comma 5 dell’art. 46 che è una disposizione che accompagna i meccanismi di svolgimento delle prove. Detti meccanismi rimangono, però, sostanzialmente identici: la disciplina della valutazione delle prove sia se ancorata alle disposizioni dei Regi Decreti del 1934, sia se riferita alla normativa del 2012, nella sostanza non differisce.
Nella sostanza si deve ritenere che le modalità di svolgimento delle prove non prevedono differenze apprezzabili fra le due fonti sopra richiamate. Tutto ciò non può non essere privo di conseguenze in riferimento agli effetti della disciplina transitoria di cui all’art. 49.
In questo contesto non si giustifica perché non debba trovare applicazione il comma 5 dell’art. 46 che – prescindendo dagli effetti prodotti da una certa interpretazione dell’art. 49 – è una disposizione che concorre a definire – in questo settore con un forte coinvolgimento sociale – uno dei tratti più apprezzati dell’azione amministrativa: comunicare ai soggetti con cui entra in rapporto le ragioni dei suoi provvedimenti, il perché delle sue decisioni.
In ogni caso, sulla questione, altri Tribunali hanno, invero, già precisato che “pur dovendosi ammettere che la norma transitoria di cui al successivo art. 49 ne ha differito l’applicazione, va in ogni caso evidenziato che il precedente art. 46 non rappresenta altro che una modalità di estrinsecazione del dovere di motivazione che comunque è richiesto unitamente all’espressione di un voto in forma puramente numerica; pertanto, se si può ritenere che fino all’entrata in vigore del predetto art. 46 non si può imporre quanto contenuto nello stesso, nondimeno non può ritenersi legittima la semplice apposizione di un voto numerico senza alcun altro indice in grado di chiarire, anche sinteticamente, le ragioni della specifica valutazione. Ciò appare in linea con quella parte della giurisprudenza che ritiene non preclusa una diversa soluzione ermeneutica nel vigente quadro normativo (T.A.R. Lombardia, Milano, III, 28 dicembre 2015, n. 2757; altresì T.A.R. Lazio, Roma, II quater, 14 luglio 2015 n. 9413) … Si deve quindi concludere nel senso che la norma transitoria, se esclude l’obbligo della Commissione di seguire le modalità di correzione indicate dalla norma, non esclude l’obbligo di indicare comunque una forma di esplicitazione della motivazione che vada oltre la semplice indicazione numerica unica, in considerazione della necessità di dare atto del rispetto dei criteri di valutazione predisposti dalla Commissione centrale dell’esame di avvocato prima del’inizio delle correzioni” (cfr. T.A.R. Lombardia – Milano, sez. III, 10 febbraio 2016, n. 252; sulla stessa linea interpretativa anche T.A.R. Puglia – Bari, sez. II, 9 febbraio 2016, n. 127).
Per un’analisi completa degli orientamenti giurisprudenziali si rinvia alla seguente rassegna giurisprudenziale realizzata da questa Rivista.
ESAME DI AVVOCATO: QUANDO PRESENTARE RICORSO
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Avv. Giacomo Romano
Ideatore e Coordinatore at Salvis Juribus
Nato a Napoli nel 1989, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nell’ottobre 2012 con pieni voti e lode, presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "Le c.d. clausole esorbitanti nell’esecuzione dell’appalto di opere pubbliche", relatore Prof. Fiorenzo Liguori. Nel luglio 2014 ha conseguito il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Subito dopo, ha collaborato per un anno con l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli occupandosi, prevalentemente, del contenzioso amministrativo. Nell’anno successivo, ha collaborato con uno studio legale napoletano operante nel settore amministrativo. Successivamente, si è occupato del contenzioso bancario e amministrativo presso studi legali con sede in Napoli e Verona. La passione per l’editoria gli ha permesso di intrattenere una collaborazione professionale con una nota casa editrice italiana. È autore di innumerevoli pubblicazioni sulla rivista “Gazzetta Forense” con la quale collabora assiduamente da giugno 2013. Ad oggi, intrattiene collaborazioni professionali con svariate riviste di settore e studi professionali. È titolare di “Salvis Juribus Law Firm”, studio legale presso cui, insieme ai suoi collaboratori, svolge quotidianamente l’attività professionale avendo modo di occuparsi, in particolare, di problematiche giuridiche relative ai Concorsi Pubblici, Esami di Stato, Esami d’Abilitazione, Urbanistica ed Edilizia, Contratti Pubblici ed Appalti.
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