Esercizio abusivo della professione ex art. 348 c.p.
L’articolo 348 c.p. tutela l’interesse generale per il quale determinate professioni caratterizzate dalla peculiarità e da imprescindibili competenze per essere esercitate, siano svolte solo da soggetti che abbiano quei requisiti professionali accertati attraverso una speciale abilitazione conseguita e assegnata dallo Stato.
La titolarità dell’interesse da tutelare è stata riconosciuta a favore della Pubblica Amministrazione e non delle singole e distinte categorie o associazioni professionali che secondo la giurisprudenza possono tuttavia costituirsi parte civile per quei procedimenti penali per i quali sia necessario richiedere il risarcimento del danno patrimoniale subìto a causa della condotta sleale attuata in un determinato contesto territoriale a scapito dei professionisti titolari di abilitazione e iscritti alle categorie ed associazioni professionali. La circostanza che il bene tutelato sia di interesse generale e che determinate professioni debbano essere esercitate solo da soggetti titolati tramite autorizzazione amministrativa dello Stato esclude che soggetti possano direttamente o di riflesso costituirsi come danneggiati dal reato e ne consegue che il privato danneggiato dal reato non è legittimato a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione. Il reato previsto dall’articolo 348 c.p. assume una natura istantanea e per questo non necessita di una attività continuativa ed organizzata ma si perfeziona anche compiendo un solo atto tipico e proprio della professione abusivamente esercitata. Una linea interpretativa che trova accoglimento anche dal ragionamento condotto dalle Sezioni Unite, che quando hanno valutato i singoli episodi fattuali rilevanti ai fini della configurabilità della fattispecie incriminatrice in esame hanno stabilito il principio di diritto secondo il quale si delinea la fattispecie di reato ex art. 348 , non solo con il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuibili in via esclusiva ad una determinata professione ma anche il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali per continuatività, onerosità e organizzazione da creare in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.
Va precisato che la rilevanza economica o i risvolti patrimoniali dell’abusiva attività professionale esercitata sono elementi estranei alla struttura della fattispecie criminosa. Il reato di cui all’art. 348 infatti è un reato contro la pubblica amministrazione che si realizza con l’elusione di una previa “speciale abilitazione” rilasciata da apposito organi pubblici professionali per l’esercizio continuato e duraturo nel tempo di una professione con specifica qualificazione.
L’eventuale scopo di lucro o di arricchimento che possa aver spingo il soggetto agente a compiere la fattispecie in esame non connota lesione del bene dell’interesse generale protetto dalla norma , ossia il bene immateriale della pubblica amministrazione rappresentato dall’assenza di garanzia, nell’interesse della collettività, di un controllo generale preventivo dei requisiti minimi per l’esercizio di professioni di vario livello tecnico. Quindi i moventi di natura privata e la mancanza di finalità di profitto a cui si aggiunge talvolta il consenso del destinatario della propria azione non possono essere considerati esimenti sulla in equivoca apprezzabilità penale della condotta tecnico-professionale esercitata dall’imputato con la piena e cosciente consapevolezza di essere privo di qualsivoglia titolo abilitativo. ( Cass. Sez. Un. 6467/2015).
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Anna Ferrari
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