Esperibilità dell’azione surrogatoria da parte dei creditori del legittimario pretermesso
Con l’instaurazione del rapporto obbligatorio il patrimonio complessivo del debitore viene a costituire la garanzia generica per il creditore. L’articolo 2740 del Codice civile, infatti, stabilisce che il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Presupposto per l’attivazione della garanzia è l’inadempimento del debitore e la conseguente reazione processuale del creditore volta al soddisfacimento materiale e coattivo della prestazione dedotta in obbligazione, nei modi e con i limiti stabiliti dalle norme sull’esecuzione forzata.
Il Codice prevede dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale attivabili dal creditore in presenza di determinati presupposti.
Fra tali mezzi rientra l’azione surrogatoria, disciplinata dall’art. 2900 Cod. civ.
L’azione ha lo scopo di alimentare il patrimonio del debitore ricostituendo in tal modo la garanzia ex art. 2740 Cod. civ.
Il creditore surrogante esercita diritti e azioni che spettano verso terzi al proprio debitore e che questi trascura di esercitare.
A differenza dell’azione revocatoria ex art. 2901 Cod. civ., quella surrogatoria, se esperita vittoriosamente, giova a tutti i creditori del debitore surrogato e non soltanto al creditore surrogante.
Il patrimonio del debitore costituisce infatti la garanzia per tutti i rapporti obbligatori di cui il debitore medesimo è parte. Esso è pertanto funzionale al soddisfacimento delle pretese di tutti i creditori, nel rispetto del principio della par condicio creditorum di cui all’art. 2741, comma primo, Cod. civ. e fatta salva l’esistenza di cause legittime di prelazione.
Quanto alle modalità, l’azione ex art. 2900 Cod. civ. può essere proposta dal creditore in via giudiziale o anche in via stragiudiziale. Nel primo caso il creditore, ai sensi del comma secondo dell’art. 2900 Cod. civ., deve citare in giudizio anche il debitore, trattandosi di un’ipotesi espressa di litisconsorzio necessario.
Con tale azione, inoltre, si realizza una sostituzione processuale eccezionalmente consentita ai sensi dell’art. 81 Cod. proc. civ., posto che si fa valere in giudizio un diritto altrui in nome proprio.
Per quanto concerne i presupposti dell’azione, il surrogante deve innanzitutto vantare un credito nei confronti del debitore surrogato.
Quest’ultimo, a sua volta, deve risultare creditore nei confronti di soggetti terzi, che si ritiene debbano essere determinati ed individuabili sulla base di un rapporto di natura obbligatoria con la loro controparte.
Si rende poi necessaria una situazione di inerzia nell’esercizio di diritti e azioni spettanti al debitore surrogato. Tale situazione va valutata alla stregua di un fatto giuridico che legittima il creditore all’esperimento dell’azione ex art. 2900 Cod. civ.
Le azioni e i diritti nei quali si opera la sostituzione devono avere, per espressa previsione legislativa, contenuto patrimoniale e il relativo esercizio non deve essere rimesso ad una scelta discrezionale del titolare.
Si vuole evitare che, mediante l’azione surrogatoria, venga in qualche modo coartata l’autonomia decisionale che la legge attribuisce al titolare nell’esercizio di determinati diritti. Si pensi ai diritti c.d. personalissimi, per i quali non è ammessa alcuna sostituzione nel loro esercizio, oppure ai diritti potestativi, la cui operatività è rimessa esclusivamente alla scelta del soggetto a cui sono attribuiti.
Dati questi presupposti, occorre chiedersi se sia possibile esperire in via surrogatoria l’azione di riduzione per la quota di eredità spettante al legittimario totalmente pretermesso.
Il quesito necessita di brevi premesse normative in ordine all’istituto della successione necessaria.
In forza degli articoli 536 e seguenti Cod. civ., una quota dell’eredità è riservata dalla legge a determinati soggetti, espressamente indicati, che prendono il nome di legittimari; essi sono il coniuge, i figli e gli ascendenti.
La successione necessaria opera anche in presenza di una contraria volontà testamentaria, come si evince dall’art. 457, comma terzo, Cod. civ.). Il testatore, peraltro, non può imporre pesi o condizioni sulla quota che per legge spetta ai legittimari (art. 549 Cod. civ.).
Dal sistema del Codice si ricava il principio di intangibilità della quota di legittima, essendo al più consentito al testatore, ai sensi dell’art. 733, comma primo, Cod. civ., di stabilire un particolare modo di divisione dell’eredità da un punto di vista meramente qualitativo, ma mantenendo intatta, dal punto di vista quantitativo, la quota per legge riservata ai soggetti indicati.
Qualora ritenga di essere stato leso nei diritti sulla quota a lui spettante ai sensi di legge, il legittimario può esperire l’azione c.d. di riduzione in forza degli articoli 553 e seguenti Cod. civ.
L’azione ha natura personale e contenuto patrimoniale, in quanto finalizzata a reintegrare la quota di diritti successori attribuiti dalla legge a determinate categorie di soggetti.
Pur in assenza di specifiche disposizioni normative sul punto, si ritiene che per l’azione in discorso operi la prescrizione ordinaria decennale.
Per agire in riduzione è poi necessario che il legittimario abbia previamente accettato l’eredità con beneficio d’inventario, come disposto dall’art. 564, comma primo, Cod. civ. Tale condizione, però, non si applica al legittimario totalmente pretermesso, poiché in questo caso è del tutto assente una delazione. Non essendovi alcuna chiamata all’eredità, il soggetto non può essere posto nelle condizioni di accettare l’eredità medesima.
Quanto ai soggetti legittimati alla proposizione dell’azione, l’art. 557, comma primo, Cod. civ. individua i legittimari e i loro eredi o aventi causa.
Venendo alla questione di fondo che ci interessa, la sentenza n. 16623 della Corte di Cassazione, pubblicata il 20 giugno 2019, ritiene ammissibile la proposizione dell’azione ex art. 2900 Cod. civ. da parte dei creditori personali del legittimario pretermesso che trascuri di esercitare il proprio diritto di agire in riduzione.
L’ostacolo principale all’ammissibilità di una sostituzione, ex art. 2900 Cod. civ., nell’azione di riduzione consiste nell’affermata natura personale e discrezionale di quest’ultima, la cui proponibilità non può che essere rimessa alla libera scelta del soggetto interessato. Quest’ultimo, infatti, ben può decidere in piena autonomia di non esercitare il diritto che per legge gli è conferito.
Per arrivare ad una conclusione positiva, la Corte opera una ricostruzione delle norme che vengono in rilievo in materia successoria.
Innanzitutto, si fa propria un’argomentazione sorta sulla base dell’art. 557, comma terzo, Cod. civ., il quale preclude ai creditori del de cuius di agire in riduzione qualora il legittimario abbia accettato l’eredità con beneficio d’inventario. Argomentando a contrario, deve quindi ritenersi consentito agli stessi creditori del defunto di esercitare l’azione di riduzione in presenza di un’accettazione pura e semplice dell’eredità da parte del legittimario.
In quest’ultimo caso, infatti, si determina la confusione del patrimonio ereditario con il patrimonio personale del legittimario. Se è dunque consentito ai creditori dell’eredità di agire in riduzione, lo stesso deve ammettersi per i creditori personali del legittimario. Ciò si rende necessario anche al fine di evitare una disparità di trattamento tra le due categorie di creditori, i quali devono egualmente potersi soddisfare sull’unico patrimonio venutosi a creare in capo al legittimario per effetto della successione mortis causa.
Nel ragionamento seguito dalla Suprema Corte viene altresì in rilievo la disposizione dell’art. 524 Cod. civ., la quale consente ai creditori del soggetto che ha rinunciato all’eredità di accettare la medesima in luogo dell’interessato, al solo fine di soddisfarsi del proprio credito. In ogni caso, il rinunciante non acquista la qualità di erede, poiché ciò non sarebbe consentito contro la sua volontà.
Alla luce di tale disposizione, si ritiene estensibile la medesima ratio anche all’azione di riduzione, la cui proponibilità dovrebbe dunque essere consentita, in via surrogatoria, ai creditori del legittimario pretermesso, al solo fine ricostituire la garanzia patrimoniale generica e, conseguentemente, di soddisfarsi del proprio credito.
Tuttavia, emergono da tale impostazione alcuni profili critici in ragione delle differenze strutturali che si riscontrano tra l’ambito applicativo dell’art. 524 Cod. civ. e quello dell’azione surrogatoria.
Infatti, mentre l’art. 524 Cod. civ. presuppone una rinuncia all’eredità, quindi un comportamento attivo del soggetto ed espressione di una sua precisa scelta, l’azione surrogatoria si fonda sull’inerzia del debitore, quindi su una mancata manifestazione di scelta.
Alla luce di quanto esposto, emerge la necessità di contemperare due contrapposte esigenze: da un lato, la tutela delle ragioni creditorie e, dall’altro, l’autonomia decisionale nell’esercizio di taluni diritti.
L’esercizio del diritto di reintegrare la quota di legittima, se rimesso alla scelta discrezionale del suo titolare, non può che comprendere anche la facoltà di non attivare la relativa tutela, quale espressione della libertà negativa ed in funzione della massima protezione accordata dall’ordinamento ai diritti soggettivi.
Tale pienezza di tutela diviene però sacrificabile, almeno in parte, qualora il mancato esercizio di un diritto si ponga in contrasto con la legittima pretesa di altro soggetto cui l’ordinamento accorda eguale tutela.
Dalla specifica questione esaminata emergerebbe, peraltro, la volontà dell’ordinamento di far prevalere la posizione del creditore che si attiva per far valere un proprio diritto, rispetto ad una situazione di inerzia del legittimario e quindi di disinteresse mostrato per l’esercizio di un diritto a lui attribuito dalla legge.
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Emanuele Ventura
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