Esposizione di merce “contraffatta”: la qualificazione penalistica
Il reato di frode nell’esercizio del commercio è previsto e punito dall’art. 515c.p., in base al quale chiunque, nell’esercizio di una attività commerciale ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata e pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2065.
Fondamento sotteso alla previsione di tale fattispecie incriminatrice è, in generale, la tutela dell’economia pubblica ed, in particolare, la tutela dell’industria e del commercio; ciò nella misura in cui il legislatore penale ha inteso tutelare la correttezza dell’attività commerciale, sia in quanto assume rilievo per l’economia nazionale, sia per la fiducia che i consociati ripongono in dette attività, per il cui espletamento vari sono i soggetti coinvolti. Si tratta, dunque, di reati plurioffensivi, suscettibili di offendere più beni giuridici.
Quanto alla natura giuridica di tale reato si rileva che, in relazione al soggetto attivo, si tratta di un reato comune come si evince dalla stessa formulazione letterale della norma che si riferisce a “chiunque”; tuttavia, si rileva che, in base ad una certa impostazione teorica, la qualificazione del soggetto attivo del reato, ai fini della individuazione di questo come “proprio”, può avvenire anche in base alla situazione di fatto cui il legislatore si riferisca: nella specie, l’esercizio di attività commerciale o l’operare in uno spaccio aperto al pubblico. Seguendo tale tesi si tratterebbe, in questo caso, di un reato “proprio”, non dovendo la qualificazione del soggetto attivo, necessariamente coincidere con quella di pubblico ufficiale. Quanto all’elemento materiale: in relazione alla condotta (consegnare), si tratta di un reato commissivo, unisussistente; l’evento, inteso in senso naturalistico, non è configurabile (avendosi reato di mera condotta) mentre, inteso in senso giuridico, viene a coincidere con la messa in pericolo che dei beni giuridici che la norma è volta a tutelare (si avrà, dunque, reato –ad evento- di pericolo).
La struttura del reato in esame, ripetendo i profili della natura giuridica, si caratterizza, quanto ad elemento materiale, per l’assenza di evento e, dunque, per la non sussistenza del nesso causale che leghi la condotta allo stesso. Ulteriormente, sempre per quanto attiene all’elemento materiale ed, in particolare, alla condotta, si evidenzia che il “consegnare” di cui alla norma incriminatrice non rimanda alla (sola) ipotesi in cui sia intercorso, tra il soggetto attivo e quello passivo, un contratto di compravendita, ma (anche) all’ipotesi in cui detta consegna si sia, a qualunque titolo, realizzata nell’ambito della fattispecie descritta. Da ciò si evince come quella in parola non sia (o, meglio, non sia necessariamente) qualificabile quale ipotesi di “reato-contratto”, ove è la stessa stipulazione di un contratto ad integrare la fattispecie criminosa. Per quanto attiene all’elemento soggettivo del reato, si tratta di dolo generico, dovendo l’evento pericoloso essere dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della sua azione od omissione (ex art. 43, 1°co., c.p.); pertanto, l’azione coincidente con la condotta criminosa dovrà essere realizzata con coscienza e volontà (art. 42, 1°co., c.p.) e dovrà porsi quale causa dell’evento – in senso giuridico- costituito dalla messa in pericolo dell’ordine economico e della probità commerciale.
Ciò posto quanto al reato di cui all’art. 515c.p., deve farsi riferimento all’ipotesi in cui lo stesso si manifesti, nella realtà storica, in forma tentata. In proposito, non deve guardarsi alla ammissibilità od inammissibilità del tentativo nel reato di cui all’art. 515c.p. ma, piuttosto, alla compatibilità della forma di manifestazione di cui all’art. 56c.p. – prevista nella parte generale del codice penale- con tale reato di parte speciale. La peculiarità dell’ipotesi che si considera risiede nella circostanza per cui, trattandosi di un reato di mera condotta e, dunque, coincidendo l’azione con la condotta incriminata ed essendo questa unisussisitente, il reato vedrà il suo momento consumativo nella avvenuta “consegna” degli oggetti materiali del reato di cui alla norma; pertanto, potrebbe aversi una eccessiva anticipazione della soglia di rilevanza penale rispetto agli atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere il delitto di frode nell’esercizio de commercio. Tuttavia, la giurisprudenza pacificamente ammette la configurabilità del reato di cui all’art. 515c.p. in forma tentata: la fattispecie criminosa – derivante dall’art. 56c.p. in relazione al cit. art. 515c.p.- è realizzata allorché, non avutasi la “consegna” (e, quindi, non avutasi ancora consumazione del reato), sono posti in essere atti idonei ed univocamente diretti al compiersi di questa. Concretamente, il momento in cui si consuma il reato di tentata frode nell’esercizio del commercio è stato variamente individuato: in base ad una prima tesi, si è rilevato che deve esservi stato un contatto tra il soggetto esercente le attività di cui alla norma incriminatrice ed il soggetto passivo, tale da far ritenere che la direzione di tali atti avrebbe, con alta probabilità, portato alla commissione del reato e, cioè, alla consegna; in base al altra impostazione, attualmente prevalente, non è necessario che tale contatto si sia instaurato essendo, ai fini della configurabilità del tentativo, sufficiente la mera esposizione delle cose mobili di cui alla norma in esame. Pertanto, la sola messa in vendita o la sola erronea od omessa indicazione delle caratteristiche di un prodotto è idonea ad integrare il tentativo di frode nell’esercizio del commercio. Al riguardo, si parlato della idoneità ed univocità della offerta al pubblico in relazione alla commissione del reato in parola; tale è stata, infatti, qualificata l’esposizione in sé della merce, proprio a sottolineare la non incidenza del contatto con l’acquirente. Essendo, l’offerta al pubblico, una forma di proposta contrattuale, potrebbe qualificarsi la tentata frode nell’esercizio del commercio come “reato in contratto”, nella misura in cui la stessa attiene alla fase formativa (e, dunque, precedente alla conclusione) del contratto; dal punto di vista del rilievo penale, la stessa integra atto idoneo ed univoco, ex art. 56c.p., in relazione alla consegna di cui all’art. 515c.p..
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.
Tiziana Di Mauro
Latest posts by Tiziana Di Mauro (see all)
- I contratti di investimento “monofirma” - 20 June 2017
- Esposizione di merce “contraffatta”: la qualificazione penalistica - 2 June 2017
- La pattuizione di interessi ultra-legali e l’usura sopravvenuta - 21 May 2017