Espropriazione: la p.a. non può essere obbligata alla cessione bonaria
a cura di Edoardo Priori
Cons. Stato, Sez. III, 15 gennaio 2016, n. 109
Non può essere accolta la domanda avanzata in s.g. dai proprietari di un terreno assoggettato a vincolo espropriativo dalla p.a., tendente ad ottenere la declaratoria dell’obbligo dell’Ente locale di stipulare il contratto di cessione bonaria del medesimo terreno, a nulla rilevando che il Comune abbia determinato l’indennità di esproprio ed i proprietari vi abbiano aderito, contestualmente comunicando di essere disponibili alla cessione bonaria del bene; infatti, deve recisamente escludersi che possa affermarsi la sussistenza, in capo alla p.a., di un obbligo a contrarre, attribuendo effetti obbligatori alla comunicazione della misura dell’indennità di esproprio, seguita dalla manifestazione della disponibilità del proprietario ad addivenire alla cessione bonaria.
Fatto
La vicenda in esame trae spunto dalla decisione del Comune di Spoltore di adottare una variante al piano di attrezzature produttive, cui è seguito l’assoggettamento a vincolo espropriativo dei terreni di proprietà degli odierni ricorrenti.
Gli istanti, una volta informati dell’indicazione del valore di stima e dell’indennità di esproprio, hanno dapprima formalmente dichiarato di aderire alla stima e, a seguito dell’inerzia del Comune, successivamente diffidato lo stesso a procedere alla stipula dell’atto di cessione bonaria.
Il Comune – dapprima con il preavviso di rigetto e in seguito con il provvedimento espresso – ha rigettato l’istanza di cui alla diffida e gli interessati hanno conseguentemente impugnato il diniego di cessione bonaria.
In primo grado il Tar Abruzzo, sez. Pescara, ha accolto il ricorso ritenendo sussistente in capo agli istanti un vero e proprio diritto potestativo alla stipulazione dell’accordo di cessione bonaria.
Contro tale decisione il Comune di Spoltore ha interposto appello al Consiglio di Stato, il quale ha deciso come da massima sopra riportata.
Diritto
La questione di diritto al centro della decisione attiene alla natura da attribuire alla cessione bonaria, istituto disciplinato ai commi 9, 11 e 13 dell’art. 20 nonché all’art. 45 d.p.r. 327/2001.
Tale istituto, che rappresenta un esito alternativo al tradizionale procedimento di esproprio, prevede per la sua applicazione una serie di presupposti applicativi, indicati dall’art. 20 comma 9
la condivisione della misura dell’indennità di esproprio da parte dei proprietari
la produzione della documentazione attestante la piena e libera proprietà dell’immobile espropriato
il consenso del proprietario a stipulare l’atto di cessione bonaria, contestualmente all’effettiva riscossione dell’indennità
In pratica, il soggetto che vede il proprio terreno colpito dal vincolo espropriativo, al posto che attendere inerte l’iter del procedimento espropriativo, può stipulare questo accordo con la p.a. espropriante.
Evidenti sono i vantaggi di tale istituto, tanto con riferimento al privato – poiché il prezzo, ex art. 45 d.p.r. cit., subisce delle maggiorazioni – quanto con riguardo alla p.a., che ottiene il terreno con maggiore celerità e scongiura un eventuale contenzioso.
La questione dirimente la sentenza in commento attiene, nello specifico, al valore da attribuire alla cessione bonaria: siamo di fronte ad un diritto potestativo concesso al soggetto che subisce l’espropriazione – come tale giudizialmente attivabile al verificarsi dei requisiti sopra analizzati – oppure resta pur sempre un atto meramente eventuale, con possibilità per la p.a. di procedere altrimenti, o di non procedere proprio?
In primo grado il Tar Abruzzo ha abbracciato la prima tesi, allorché ha affermato la sussistenza in capo all’amministrazione di un vero e proprio obbligo a contrarre, così attribuendo effetti obbligatori alla comunicazione della misura dell’indennità di esproprio seguita da manifestazione di disponibilità dell’interessato ad addivenire alla cessione bonaria.
Di diverso avviso è invece il Consiglio di Stato il quale, sulla scorta di una recente pronuncia sulla stessa materia ad opera della Corte di Cassazione (sez. II, 8/5/14 n. 9990), ribalta il decisum del giudice di primo grado.
Il ragionamento che porta a tale conclusione parte dalla constatazione che l’iter procedurale che conduce alla cessione volontaria non consente di individuare, prima dell’eventuale stipula di tale cessione, un contratto preliminare tra l’ente espropriante e il proprietario espropriando; condizione, questa, necessaria per individuare in capo al privato un diritto potestativo alla stipula del contratto.
Infatti – affermano i giudici – “nell’intervenuto scambio tra le parti dei due atti (la comunicazione dell’espropriante e la dichiarazione di condivisione dell’espropriando) non è ravvisabile un contratto preliminare (…) perché nessuno degli atti in questione ha un contenuto volitivo, ma solo conoscitivo”.
Non che per il privato l’essersi dimostrato disponibile ad addivenire alla cessione volontaria non abbia effetto (anche perché, diversamente opinando, sarebbe lecito chiedersi perché mai dovrebbe addivenire a tale soluzione): egli infatti da questa sua comunicazione ottiene l’effetto di impedire che la p.a. prosegua nel procedimento di espropriazione ordinario dovendo la stessa, qualora intenda proseguire, procedere per il tramite della cessione volontaria.
Ma se questo è l’effetto, non è possibile spingersi oltre: mai tale comunicazione del privato potrà condurre ad un obbligo, in capo alla p.a., di completare il procedimento.
In altri termini – conclude il Collegio – “ciò che è precluso all’amministrazione è di procedere all’esproprio (id est, al procedimento di esproprio “ordinario”) se l’interessato ha dichiarato la disponibilità alla cessione bonaria (…) e non anche che l’amministrazione sia obbligata a stipulare il negozio di cessione bonaria”.
Conclusioni
La sentenza in esame non scalfisce l’importanza sempre crescente di un istituto – quale la cessione bonaria – che rappresenta uno dei più attuali esempi di democratizzazione della funzione amministrativa in un’ottica di superamento del modello autoritativo (non a caso tale istituto viene dalla migliore dottrina oggi ricondotto agli accordi ex art. 11 della l. 241/90).
Semplicemente, i Giudici di Palazzo Spada sottolineano come nella materia espropriativa, nel contemperamento degli interessi in gioco l’interesse del privato sotteso a tale istituto sia recessivo rispetto alla discrezionalità che la p.a. mantiene nell’esercizio della propria attività autoritativa.
La p.a. non può dunque, per il sol fatto che il privato accetti formalmente l’indennità dalla stessa proposta, vedersi costretta poi a stipulare il successivo atto di cessione bonaria. Se ciò fosse possibile si correrebbe il rischio di vedere una p.a. “ostaggio” del privato. Situazione che la sentenza in esame ha evidentemente voluto scongiurare.
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