Estensione della procedibilità a querela: prime considerazioni

Estensione della procedibilità a querela: prime considerazioni

Il 9 maggio 2018 entra in vigore il decreto legislativo 10 aprile 2018 n. 36 il quale, in attuazione della delega contenuta nella legge 23 giugno 2017, n. 103 (cosiddetta Riforma Orlando), modifica la disciplina del regime di procedibilità di alcuni reati. Ratio del provvedimento è quella di deflazionare il contenzioso penale, subordinando la punibilità di alcune condotte penalmente rilevanti alla volontà “punitiva” della persona offesa.

La novella intende formalizzare un connubio che era già nell’aria da tempo: quello con l’istituto della condotta riparatoria per i reati procedibili a querela rimettibile, introdotta dalla riforma Orlando con l’inserimento dell’art. 162-ter c.p. Quest’ultima disposizione, ora, vedrà ampliato il suo raggio d’azione, atteso che il decreto legislativo in commento ha esteso il numero dei reati procedibili a querela.

Sebbene l’intento di fondo del provvedimento in commento sia apprezzabile, in quanto la macchina della giustizia è già oggi oltremodo ingolfata, restano delle perplessità: la maggiore riguarda il vulnus inferto all’obbligatorietà dell’azione penale, sancita direttamente in Costituzione all’art. 112. Si tratta di un’operazione che privatizza il procedimento penale, subordinandolo ad una concezione “contrattualistica” in ragione della quale è possibile procedere soltanto se una parte vuole la punizione dell’altra.

Poiché le ragioni della punibilità sono rimesse sostanzialmente a valutazioni di tipo economico, è chiaro che il diritto penale potrebbe uscire svilito da una visione panprivatistica che cozza inevitabilmente con ontologiche esigenze pubblicistiche

Resta poi il problema delle disposizioni transitorie, di cui si parlerà alla fine del presente contributo.

Al di là di queste considerazioni, passiamo all’elenco dei reati il cui regime di procedibilità viene “degradato” dal provvedimento de quo.

Minaccia

Il primo dei reati rivisitati è quello della minaccia. Attualmente, l’art. 612 così statuisce:

«Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 1.032. Se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d’ufficio».

Ai sensi dell’art. 1 del d. lgs. n. 36/2018, al secondo comma viene soppressa la locuzione «si procede d’ufficio», la quale ritorna in un nuovo terzo comma del seguente tenore: «Si procede d’ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339».

In poche parole, elidendo la procedibilità d’ufficio dal secondo comma, la minaccia grave viene assorbita nel regime di procedibilità a querela della minaccia semplice (o non grave). In estrema sintesi, dal 9 maggio 2018 la minaccia è sempre procedibile a querela di parte, anche quella grave, salvo he ricorrano le ipotesi di cui all’art. 339 c.p.

Violazione di domicilio commessa dal pubblico ufficiale

La violazione di domicilio commessa dal pubblico ufficiale è punibile d’ufficio in ogni sua forma. A seguito della riforma, la punibilità dell’ipotesi minore di cui al secondo comma dell’art. 615 c.p., cioè la violazione consistente nell’introduzione nei luoghi di privata dimora senza l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge, viene subordinata alla proposizione della querela da parte della persona offesa.

Ictu oculi, la scelta del legislatore appare infelice, attesa lo stato di soggezione in cui normalmente versa il privato nei confronti di un pubblico ufficiale (si pensi ad un carabiniere). Così facendo, il privato che ritiene violato il proprio domicilio dovrà sporgere querela per ottenere giustizia.

Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni telegrafiche, telefoniche, informatiche o telematiche

La riforma interviene anche sui delitti di cui agli artt. 617-ter e 617-sexies c.p., i quali puniscono rispettivamente la falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche e la falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche. In entrambi i casi, viene subordinata alla proposizione di querela di parte l’ipotesi minore di reato, quella contemplata nel primo comma dell’art. 617-ter e nell’art. 617-sexies c.p.

Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza commesse da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni e rivelazione del contenuto di corrispondenza, commessa da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni.

Gli articoli 5 e 6 del decreto legislativo n. 36/2018 introducono la punibilità a querela di parte le forme meno gravi di cui agli artt. 619 e 620 c.p. inerenti ai reati menzionati in paragrafo.

Dal 9 maggio 2018, l’addetto al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni, il quale, abusando di tale qualità, prende cognizione di una comunicazione riservata, è punito solamente su querela della persona offesa. Lo stesso accade se l’addetto, avendo notizia, in ragione di questa sua qualità, del contenuto di una corrispondenza aperta, o di una comunicazione telegrafica, o di una conversazione telefonica, lo rivela senza giusta causa ad altri che non sia il destinatario ovvero a una persona diversa da quelle tra le quali la comunicazione o la conversazione è interceduta.

Anche in questo caso la scelta del legislatore è discutibile, atteso che la condotta posta in essere dall’addetto ai servizi postali o a quelli di comunicazione in senso lato viola un diritto sancito direttamente in Costituzione, cioè quello alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15 Cost.).

Truffa

Il decreto legislativo n. 36/2018 ritocca anche altre fattispecie, questa volta però incidendo sulla procedibilità a querela mediante modifiche di tipo diverso. Ad esempio, per quanto riguarda il reato di truffa, l’art. 640 c.p., laddove al terzo comma statuisce che «Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante», la riforma sostituisce le parole «un’altra circostanza aggravante» con le seguenti: «la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, primo comma, numero 7».

In sintesi, la truffa, a partire dal 9 maggio 2018, è punibile a querela anche quando ricorrono circostanze aggravanti comuni, al di fuori di quella del grave pregiudizio economico. Il. D. lgs. n. 36/2018, quindi, estende la procedibilità a querela già prevista dal codice penale, declassando le circostanze aggravanti che non siano quella dell’art. 61, n. 7, c.p.

Frode informatica

Identica operazione è compiuta in relazione al reato di frode informatica, ove la punibilità a querela (già contemplata) è estesa a tutte le ipotesi aggravate, salvo il ricorrere della circostanza della minorata difesa (art. 61, n. 5, c.p.) e del grave pregiudizio economico (Art. 61, n. 7, c.p.), in presenza delle quali la procedibilità è d’ufficio.

Appropriazione indebita

In maniera più incisiva e chiara si è intervenuto nei confronti del reato di appropriazione indebita che, a partire dal 9 maggio 2018, è interamente procedibile a querela di parte.

Procedibilità in caso di circostanze ad effetto speciale

Il decreto legislativo in commento introduce due nuovi articoli, il 623-ter e il 649-bis c.p., i quali stemperano la portata della riforma. A tenore delle succitate disposizioni, tutti i reati visti sinora, la cui procedibilità è stata devoluta alla proposizione di querela di parte, tornano ad essere procedibili d’ufficio nel caso in cui ricorrano circostanze ad effetto speciale.

In altre parole, tutto ciò che è stato fatto dalla riforma viene neutralizzato dalla contestazione di una circostanza ad effetto speciale.

La definizione di circostanza ad effetto speciale è rinvenibile direttamente all’art. 63, quarto comma, c.p., secondo cui sono ad effetto speciale le circostanze che comportano una variazione di pena superiore al terzo. Orbene, se aderissimo ad un’interpretazione meramente letterale, dovremmo escludere dalle circostanze ad effetto speciale che restituiscono i predetti reati alla procedibilità d’ufficio sia le circostanze che prevedono una pena di specie diversa (menzionata nello stesso art. 63 c.p., ma accomunata a quelle che comportano una variazione superiore ad un terzo solamente in relazione al concorso di circostanze, non quoad effectum) sia le cosiddette circostanze indipendenti, le quali prevedono un minimo e/o un massimo edittale diverso dalla pena base (si pensi all’art. 625 o al 576 c.p.).

Il problema, però, pare più dottrinale che pratico, atteso che il più delle volte alle circostanze indipendenti e a quelle che prevedono una pena di specie diversa viene dedicata una disciplina ad hoc, normalmente più severa. Pertanto, la nozione di circostanza ad effetto speciale può ritenersi omnicomprensiva anche delle altre due, almeno in punto di procedibilità d’ufficio.

Disposizioni transitorie

Più di qualche problema potrebbe suscitare l’applicazione dell’art. 12 del decreto legislativo n. 36/2018 contenente le disposizioni transitorie in materia di perseguibilità a querela.

Il primo comma del suddetto articolo così recita: «Per i reati perseguibili a querela in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato».

La disposizione è evidentemente destinata a trovare applicazione nei casi in cui la persona offesa non abbia sporto denuncia/querela. Si tratta di una sorta di rimessione in termini che consente alla vittima del reato di presentare querela per un delitto che sottostava ad un regime di procedibilità diversa. Pertanto, per tutti i reati commessi al 9 maggio 2018, la querela potrà essere sporta proprio a partire da questa data. Il 9 maggio 2018, quindi, rappresenterà il dies a quo per la proponibilità della querela per tutti i reati coinvolti dalla riforma.

La disposizione, però, subordina la presentazione della querela alla conoscenza del fatto costituente reato. Cosa accade se la vittima non era a conoscenza del fatto criminoso? La risposta potrebbe giungere dalla lettura in combinato disposto con il secondo comma della stessa disposizione.

Il secondo comma dell’art. 12 si occupa, invece, di disciplinare la nuova perseguibilità a querela nel caso in cui il procedimento penale sia già cominciato, anche se solamente a livello investigativo:  «Se è pendente il procedimento, il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo l’esercizio dell’azione penale, anche, se necessario, previa ricerca anagrafica, informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata».

Anche in  questa circostanza il legislatore pone l’accento sull’effettiva conoscenza che la vittima deve avere della nuova procedibilità a querela. Il perché è ovvio: senza querela, il giudice dovrebbe dichiarare non doversi procedere per assenza di condizione di procedibilità. Addirittura, la disposizione ha cura di precisare che, se necessario, dovrà essere effettuata ricerca anagrafica propedeutica alla notifica a favore della persona offesa.

Da tanto deriva che, anche nell’ipotesi di cui al primo comma, il termine per proporre querela decorre dal momento in cui la vittima ha un’effettiva conoscenza del fatto che costituisce reato. Quindi, in questo caso, chi dovrebbe informare la persona offesa del fatto che costituisce reato?

Non pochi problemi suscita anche il secondo comma dell’art. 12, visto che non viene specificato cosa dovrà fare il magistrato del pubblico ministero oppure il giudice nelle more della ricerca e/o della notifica alla persona offesa. È ragionevole credere che il giudice, resosi conto che il reato per cui si procede nei confronti dell’imputato è diventato procedibile a querela, dovrà sospendere il processo (con contestuale sospensione dei termini di prescrizione?) e ordinare la notifica del nuovo regime di procedibilità alla persona offesa. A questo punto, le sorti del procedimento sono rimesse alla scelta di quest’ultimo: se vorrà proporre querela, il procedimento continuerà; altrimenti, il giudice si pronuncerà nel senso di carenza di condizione di procedibilità.

Le criticità emergono nel momento in cui la persona offesa non sia facilmente rintracciabile. E ancora: la persona offesa dove dovrà sporgere querela? Sarà sufficiente recarsi presso i carabinieri (o altra autorità competente) oppure sarà necessario presentarsi in udienza?

È da escludere, invece, che la persona offesa, resa edotta del nuovo regime di procedibilità, possa essere rimessa in termini per costituirsi parte civile, in quanto l’esercizio dell’azione civile in sede penale non è subordinato alla presentazione della querela.

I dubbi sopra esposti verranno senz’altro fugati dalla giurisprudenza. Nel frattempo, non resta che sperare che la novella apporti benefici significativi al processo penale.


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