Eterogeneità di pena e continuazione

Eterogeneità di pena e continuazione

Il sistema penale italiano scompone i reati nelle ampie categorie dei delitti e delle contravvenzioni, differenziandoli in base alla pena per gli stessi prevista; pena che, ad ogni modo, mantiene una connotazione unitaria laddove si consideri assoggettata ai principi costituzionali di legalità, proporzionalità, di personalità della responsabilità penale, nonché votata allo svolgimento di una pluralità di funzioni: retributiva, di prevenzione generale e speciale, cioè legata ad un’intenzione di deterrenza, orientamento culturale, rieducazione.

Di fatto, tuttavia, l’art. 17 cp stabilisce le pene principali dell’ergastolo, della reclusione e della multa, per i delitti, mentre l’arresto e l’ammenda per le contravvenzioni. La formulazione originaria della norma, stante il contesto storico in cui maturò il codice Rocco, prevedeva, altresì, la pena capitale, benché limitatamente ai delitti più gravi; alla sua abolizione definitiva, tuttavia, si è giunti gradatamente e, ad oggi, risulta inglobata nell’ergastolo, pena detentiva a carattere perpetuo, espressione del massimo potere intimidatorio.

La distinzione tra delitti e contravvenzioni, non si ritiene posta a livello concettuale, ontologico; bensì, pare basata su una scelta di politica criminale di identificazione della diversa tipologia di sanzione penale, nonché sulla sua diversa gravità. Peraltro, la divergenza si gioca tutta a livello di pena principale, ovvero della sanzione comminata dal giudice con sentenza; del tutto ininfluenti sono, dunque, ai fini dell’individuazione della tipologia di reato, le sanzioni accessorie, le quali, conseguendo di diritto alla condanna, non necessitano di alcun tipo di motivazione. Ulteriori elementi distintivi, tuttavia, si riscontrano a livello di disciplina sostanziale, laddove, in particolar modo, si esclude il tentativo per le contravvenzioni, posto che l’art. 56 cp contiene un riferimento ai soli delitti; nonché rispetto all’impossibilità di procedere a querela di parte in caso di contravvenzione. Inoltre, si evidenzia come la competenza per i reati contravvenzionali sia riservata, di regola, al solo tribunale monocratico, ad eccezione di ipotesi espressamente assegnate al giudice di pace; e come, ai fini della punibilità degli stessi, risulti sufficiente la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, tranne in caso di esplicita richiesta del solo dolo o della sola colpa, da parte della singola norma incriminatrice.

In ogni caso, come si intuisce, l’eterogeneità di pena a cui sopra accennato, tocca genere e specie: quanto al primo, difatti, si distingue tra pene detentive, la cui offensività si concentra sulla privazione, temporanea o meno, della libertà personale, e pecuniarie, la cui carica afflittiva si sostanzia in un imposto esborso di denaro; mentre, all’interno di ciascuna categoria, si collocano le diverse pene dell’ergastolo, della reclusione e dell’arresto da un lato, nonché della multa e dell’ammenda dall’altro.

Scendendo nel particolare, le pene detentive si differenziano tra loro in base alla durata della restrizione della libertà personale. Difatti, come si è accennato, questa è massima nell’ergastolo, laddove si configura come a vita, almeno astrattamente; mentre la reclusione, prevista, come l’ergastolo, per i soli delitti, consiste nella privazione della libertà personale per un periodo che si estende tra i 15 giorni e i 24 anni; differenziandosi, in ciò, dall’arresto che, quale pena limitata alle contravvenzioni, copre un periodo che va da un minimo di 5 giorni ad un massimo di 3 anni. Diversamente, ai sensi del codice penale, la pena pecuniaria della multa consiste nel pagamento allo Stato di una somma di denaro compresa tra i 50 e i 50.000 euro; somma che risulta, invece, compresa tra i 20 e i 10.000 euro, per l’ammenda, in caso di contravvenzione.

Dunque, in definitiva, il codice penale contempla un sistema di reati variamente articolato, prevendo per alcuni la sola pena pecuniaria, per altri la sola detentiva, per altri ancora entrambe le tipologie, in aggiunta o in alternativa, con ciò lasciando al giudice un ampio margine di discrezionalità. Difatti, pena detentiva e pena pecuniaria possono variamente combinarsi, a seconda della previsione codicistica che riguarda la singola norma incriminatrice, a prescindere dalla qualificazione del reato come delitto o contravvenzione, variando la sola specie di pena.

Preso atto della sussistenza di un sistema penale, quale il nostro, basato sull’eterogeneità della pena, si è posta, a più riprese, la questione di una necessaria armonizzazione con la disciplina dei singoli istituti previsti dal codice; in particolare, di recente, giurisprudenza e dottrina si sono interrogate sui rapporti tra la diversità di pena e la continuazione, così come disciplinata dall’art. 81 cpv cp.

La continuazione di reati (o, diversamente detto, il reato continuato) sussiste qualora con più azioni od omissioni, esecutive di uno stesso disegno criminoso, si commettono, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diversa disposizione di legge. In tal caso, la pena a cui è assoggettato l’agente, sarà la medesima prevista per il concorso formale di reati, ovverosia quella risultante dal cumulo giuridico; il quale, a sua volta, ai sensi del comma 1 dell’art. 81 cp, è pari alla pena da infliggersi per il reato più grave, da determinare astrattamente, aumentata fino al triplo. Il reato continuato, dunque, costituisce un’eccezione al concorso di reati, posto che, nonostante si sostanzi nella commissione di una pluralità di fatti criminosi, non risulta sottoposto al sistema sanzionatorio del cumulo materiale, che implicherebbe l’inflizione di tutte le pene previste per i reati corrispondenti, bensì, come detto, a quello giuridico, decisamente più lieve. Tale scelta di politica criminale risponde, tradizionalmente, all’idea che il reo meriti un trattamento più benevolo in considerazione dell’aver agito nell’unicità del disegno criminoso, posto che, in tal caso, egli avrebbe ceduto una sola volta ai motivi a delinquere. Peraltro, per la sussistenza dell’unitarietà di tale disegno, dottrina e giurisprudenza sono sostanzialmente d’accordo nel ritenere sufficiente la predisposizione di un piano generico, non dettagliato, ma comunque delineato nei suoi tratti essenziali rispetto alle azioni da eseguire. Tale programmazione, dunque, a ben vedere, crea una fictio iuris, realizzando una reductio ad unum di una pluralità di reati, quanto alla pena; ma consente, al tempo stesso, il mantenimento in vita dell’autonomia e l’indipendenza di ciascun fatto criminoso rispetto ai diversi profili della depenalizzazione, prescrizione, misure cautelari, misure di sicurezza, amnistia, indulto, ecc.

L’istituto della continuazione, così come sommariamente tratteggiato, si interseca con l’eterogeneità dell’impianto sanzionatorio laddove ci si interroghi, come ha fatto la giurisprudenza, sulla possibilità di applicarlo, altresì, a reati puniti con pene diverse per genere e specie. Tale interrogativo, difatti, aveva creato contrapposti orientamenti giurisprudenziali, di talché si è reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite al fine di dipanare ogni dubbio in proposito.

In realtà, già in passato, tanto la Cassazione stessa quanto la Consulta, si erano positivamente espresse a favore dell’applicabilità della continuazione in caso di diversità di genere tra la pena prevista per il reato più grave e quella prevista per il reato minore, o per più di essi. Difatti, si è detto, non sussiste, in astratto, alcun motivo ostativo all’applicazione dell’art. 81 cpv cp anche a tali ipotesi, posto che la lettera della norma, facendo genericamente riferimento alla violazione di disposizioni di legge, non pone alcuna limitazione o differenziazione di sorta né rispetto alle categorie di reati (delitti/contravvenzioni), né in considerazione del genere o della specie delle relative sanzioni.

Ciò confermato, l’innovatività della pronuncia delle Sezioni Unite si sostanzia nella volontà di sconfessare quell’orientamento giurisprudenziale che, a fronte di una pluralità di reati puniti con pena eterogena ma avvinti dall’unicità del disegno criminoso, riteneva di dover omologare l’aumento di pena prevista per il reato minore (anche denominato “reato satellite”) a quella contemplata per il delitto di maggior gravità. Parte di una recente giurisprudenza, difatti, era convinta che qualora la legge avesse previsto una pena detentiva per il reato più grave, l’aumento di pena considerato per il reato satellite avrebbe dovuto essere conteggiato in termini di pena detentiva, ancorché per quel reato fosse stata prevista una pena pecuniaria.

In merito, tuttavia, la Corte evidenzia l’ingiustizia derivante dall’operare del suddetto meccanismo, che, ponendosi in contrasto con il generale principio del favor rei, contraddice la stessa ratio dell’art. 81 cpv cp, evidentemente ispirato alla necessità di un trattamento di maggior benevolenza; al contempo, si denuncia la macroscopica violazione del principio di legalità della pena: in base allo stesso, difatti, non solo la stessa deve essere irrogata nei soli casi previsti dalla legge, ma non possono essere inflitte pene diverse da quelle dalla stessa stabilite.

Le SSUU, dunque, ritengono che debba essere mantenuta e rispettata la diversità di genere della pena, dal momento che dalla lettera della legge si evince un generico riferimento ad una pena complessiva, ma non necessariamente unificata nel genere. Ciò posto, le stesse si sono successivamente interrogate circa il criterio da seguire al fine di calcolare la pena definitiva, ritenendo, nello specifico, di dover escludere la regola dell’addizione, consistente nell’affiancare alla pena detentiva prevista per la violazione più grave, una quota della pena pecuniaria considerata quale aumento di pena; difatti, l’operazione che il termine “triplo” utilizzato dall’art. 81, comma 2, cp, pare evocare non è tanto un’addizione, quanto, più giustamente, una moltiplicazione.

Di conseguenza, l’aumento di pena previsto per il reato satellite non potrà che essere il risultato di una moltiplicazione: difatti, qualora si sia in presenza di reati puniti con pene eterogenee e uniti dal vincolo della continuazione, l’aumento della pena detentiva pervista per il reato più grave deve essere ragguagliato a pena pecuniaria, cosi come previsto dall’art. 135 cp, al fine di salvaguardare tanto il principio del favor rei, quanto quello della legalità della pena, a cui sopra accennato.


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Giulia Paffetti

Avvocato
Nata ad Arezzo il 21.05.1991.Ha conseguito la laurea in giurisprudenza, cum laude, presso l'Università degli studi di Siena il 29.04.2016 con tesi in diritto penale.In data 09.07.2018 ha conseguito il diploma di specializzazione presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni legali - Università degli studi di Firenze, con tesi in diritto penale processuale.Ha conseguito l'abilitazione per l'esercizio della professione forense in data 19.11.2018.

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