Etica universale
Questo contributo deve molto alle riflessioni in tema del filosofo Carcaterra
Il contenuto etico si mostra legato all’azione umana, in quanto le volizioni etiche implicano finalità e valutazioni soggettive (filosofia neopositivistica e analitica). Da altra angolazione, le struttura etica pone la soluzione di problemi e mostra la dimensione del discorso etico, con un’emancipazione dal dato empirico.
Una superficiale analisi mostra, anche sulla base della comune esperienza, che i conflitti morali non sono riducibili attraverso il dialogo, nel senso che non è possibile pervenire a una risoluzione comune, anche se la questione, valutata sotto altra prospettiva, testimonia il tentativo di giungere spesso a soluzioni. E’ ipotizzabile che l’opposizione reciproca a un certo punto si annulli con riguardo a certi aspetti della questione, con riferimento a qualche criterio valutativo. L’obiettivo della ricerca soggettiva di ciascuno, pur nell’atto di dialogare, è la ricerca della soluzione del problema al contempo soggettivo e intersoggettivo, attraverso il rinvenire un criterio valutativo, che si emancipi dal problema, risolvendolo, attraverso il conseguimento di una convergenza dialogica. L’opposizione è la fonte del problema, essa si può risolvere rinvenendo un criterio valutativo non problematizzante.
E’ ben diverso il piano della risoluzione del problema, rispetto a quello del rinvenimento di un criterio valutativo non problematizzante, che metta d’accordo due individui. Non è detto che con ciò si pervenga a una soluzione del problema. Non si arriva alla certezza se il problema sarà risolto, ma, ove si trovi una soluzione, questa sarà valida per coloro che hanno dialogato, risolvendo una sovrastruttura di problemi intersoggettivi. Si perverrà a una soluzione nostra del problema. Si può sviluppare una nozione di “mondo etico”, in cui una valutazione morale è valida solo se lo è in tutti i sistemi. Un giudizio etico deve avere valore universale, ma ancora non si sono precisati i parametri attraverso cui prendere atto di questa universalità. E’, peraltro, pur sempre presente la possibilità che vi siano giudizi di valore opposti, con opposizione reale e opposizione logica, sia all’interno di un soggetto, nel suo dialogare interno, sia all’interno di una discussione intersoggettiva.
Nei giudizi etici, è presente un’esperienza di intersoggettività, l’opposizione reale si trasforma in opposizione interna. I giudizi che ne derivano sono contraddittori anche in sistemi diversi, in quanto giudizi contraddittori non possono essere coerenti in un medesimo sistema e contemporaneamente non contraddirsi anche fra sistemi diversi, Una situazione diversa si riscontra per i giudizi egocentrici, in cui la valutazione etica è pretermessa, sicché si potrà avere un conflitto intersoggettivo di desideri e contraddizione logica. Le due proposizioni “A è un valore” e A non è un valore” dentro uno stesso sistema rappresentano un esempio di questa ipotesi. In sistemi diversi, si riscontra ancora opposizione reale, in quanto conflitto intersoggettivo di volontà, ma, a causa della componente egocentrica dei giudizi di valore, ossia l’”io voglio”, non vi è contraddizione logica, all’interno del medesimo sistema. I giudizi egocentrici possono essere contraddittori in un sistema, ma non in un altro. Questo potrebbe succedere anche per i giudizi etici, ove questi si basassero su soggettive volontà. Se il singolo dice “io voglio” e io “non voglio” dà luogo a una contraddizione logica, ma se le due espressioni vengono dette da due soggetti diversi rappresentano solo una contrapposizione di forze. Per i giudizi etici, si possono formulare conclusioni diverse, in quanto vi è l’esigenza di intersoggettività, cosicché possono riscontrarsi delle opposizioni interne, di natura logica. Se giudizi contrari, nel senso di logicamente contraddittori, non possono essere coerenti all’interno di un determinato sistema, non potranno esserlo a maggior ragione all’interno di sistemi differenti. Nelle procedure etiche si trasforma la lotta in discussione ragionata, in cui permane l’intersoggettività come esigenza imprescindibile, ma le strutture del discorso si chiudono rispetto alla dialettica empirica e si collocano nel contesto delle discussioni intellettualistiche. Ci dev’essere un’effettiva contraddizione, per evitare riferimenti diversi. E’ efficace l’esempio di Carcaterra (filosofo del diritto della scuola romana) con riguardo alla circostanza che due questionino di problemi geometrici, il primo assumendo come paradigma la geometria euclidea, il secondo la geometria di Riemann. In una ipotesi siffatta, manca un’opposizione logica, di là dall’apparenza. Il riferimento ai discorsi in apparente contraddizione è in realtà diverso. Si possono muovere considerazioni analoghe nell’ipotesi, in cui si sviluppi una discussione giuridica fra un soggetto, che abbia come paradigma il diritto islamico, e altro soggetto che valuti la questione, secondo il diritto italiano. Ci sarebbe un aggravamento, qualora vi fosse un’opposizione talmente chiusa, che gli interlocutori non percepissero di usare paradigmi conoscitivi diversi, per sviluppare i propri ragionamenti. Con riguardo a meccanismi di tale tipo, Aristotele si esprimeva in termini di “ignoranza della questione e di ciò che si contesta”. Le discussioni sono intersoggettive, con la reciproca convinzione che o è valida la propria tesi o è valida la tesi dell’altro. Il carattere intersoggettivo della discussione si amplifica, se più di due soggetti partecipano a essa, utilizzando paradigmi cognitivi diversi.
Sorgono delle contraddizioni. Un giudizio etico in tanto può essere considerato valido erga omnes, in quanto su di esso consentano tutti i giudicanti, ma questo crea una discrasia sull’intersoggettività, per come l’abbiamo sinora configurata, come ipotesi in cui i loquenti discorrano invano con rapporti di forza che si sviluppano su paradigmi gnoseologici differenti. Ogni fruitore del discorso etico, per il suo paradigma strutturale di riferimento, ha un sistema di finalità coerente con le valutazioni che sostiene, ossia se nel sistema etico A è una valore, ciò dovrà essere anche nel sistema di sostegno. Non è possibile vivere senza un modello etico, in un contesto in cui domina la provvisorietà e l’assenza di stabilità. La reificazione dell’uomo, che non è più solo soggetto del suo operare, ma anche oggetto, a seguito del progresso tecnologico, amplifica l’importanza di dare una soluzione al problema etico, soluzione che è difficile abbia il crisma della definitività. Le questioni morali devono essere tramutate in finalità fondamentali comuni. L’obiezione che si può muovere contro questa affermazione è che gli orientamenti etici sono molti e ciò rende problematico individuare un’etica comune a tutti gli individui, in un contesto in cui la globalizzazione della comunicazione comporta anche la globalizzazione dei problemi. Può apparire utopistico, ma è coerente con la formulazione di un pensiero di questo tipo fare appello a una convergenza su atteggiamenti di fondo che sono comuni a tutte le tradizioni dell’umanità. Le esistenza di finalità universali consente la presenza di valori etici anche essi universali. II nesso valutazioni-finalità deriva dalla tesi che le valutazioni tendono a risolvere problemi etici. Un giudizio etico può esser tale solo se condiviso.
Riflettiamo sulla circostanza che ogni valutazione etica implica un imperativo o una finalità, ossia non è possibile vivere senza avere una convinzione di ciò che è bene fare e di cosa è opportuno evitare. Etica e metaetica sono funzionali a dare ordine in un sistema talmente caotico da negare la vivibilità. Le finalità comuni possono aggregare un modello di riferimento etico univoco, per la presenza di valori in comune. Se si produce la situazione A, in modo universale fra i giudicanti, essa vale come paradigma etico per tutti i sistemi, pertanto sarà presente in tutti i sistemi di sostegno il fine che si produca A come stato di cose. Un giudizio etico può essere comune a più soggetti solo se la finalità che lo sostiene è comune a tutti coloro che esprimono una valutazione sulla questione. Se è universalmente sostenuto che A è un valore imprescindibile, tale connotato diventa irrefutabile e A sarà presente in ogni sistema di sostegno. E se io sostenessi che esso non è un valore, perverrei a enunciare di nuovo una valutazione non coerente con il mio sistema di finalità, se si postula che la finalità A è presente in ogni sistema di sostegno. Si deve pensare a una validità del giudizio etico estesa a tutti, nel senso che a finalità universali corrispondono valori etici universali. Secondo Carcaterra, l’esistenza di finalità universali è condizione sufficiente perché esistano valori etici universali. Se si parte dall’idea che le valutazioni tendono a risolvere problemi etici, solo le finalità di portata universale possono supportare giudizi validi erga omnes.
Se si postula un giudizio etico valido in un certo sistema, esso lo è in tutti, ma se è così, esso si accompagna alla finalità che si produca lo stato di cose “A”. Pertanto, l’esistenza di finalità universali è condizione necessaria perché ci siano valori etici universali.
La coscienza è appello a finalità universali (ma l’universalità cosa è?), strutturate in modo da essere plasmate da scelte, che siano comuni all’umanità nelle sue non sempre decifrabili sfaccettature. Le finalità riguardano i soggetti che compiono valutazioni etiche, ma si può concepire il soggetto nella sua globalità, oppure come individuo che compie valutazioni etiche.
Esistono valutazioni etiche comuni a tutti gli esseri umani? Si possono porre due piani d’indagine: ossia, si può soffermare l’attenzione su ciò che gli individui esternano e allora l’analisi si colloca su un piano più superficiale, oppure si possono scandagliare le preferenze del soggetto, che talvolta sono non decifrabili anche per lui medesimo. L’universalità dei valori può essere percepita attingendo alla psicologia e ad altre scienze. Occorre comprendere l’uomo, sul presupposto che i valori siano intersoggettivi, anche se ciò resta un postulato indimostrato, nel senso che è possibile anche dilatare la nozione fino a comprendere valori meramente individuali, a meno che la nozione presupponga l’intersoggettività. Una volta che si dia per presupposta l’intersoggettività, occorre provare a individuare tali valori universali. (piacere, felicità, socialità, conservazione del proprio essere, etc.) Si può muovere qualche obiezione alla possibilità che sia possibile rinvenire finalità di portata universale, ma si potrebbe limitare questa individuazione, considerando l’uomo semplicemente come soggetto di valutazioni etiche. La metaetica non può negare questa possibilità, perché ciò impedirebbe la struttura di un qualsiasi discorso etico e, nonostante la varietà e la instabilità dei contenuti morali delle interazioni soggettive, è verosimile che, nell’ambito della morale in senso stretto, possano enuclearsi dei nodi comuni. Vi è una condivisione di problemi affini all’interno della comunità di chi discute valori etici, cosicché, secondo questa impostazione, anche se può sembrare utopistico ricercare una convergenza nel coacervo di razze sui discorsi intorno ai valori morali e al fondamento, se si limita il discorso al piano etico, tale consonanza è possibile. Pertanto, si possono negare finalità universali di carattere etico, ma non si può negare che un barlume di universalità si accenda quando i loquenti discorrono di eticità. Il giudicante svolge un’attività difensiva della propria tesi. Il valutare implica un volere. Chi formula giudizi in ambito etico effettua delle esternazioni, si fa parte attiva, si fa portavoce di un progetto di vita, che può collimare, in tutto o in parte, con quello di altri loquenti. Ciò implica la volontà di vivere e di godere di un sufficiente spazio di libertà, per svolgere la propria vita, secondo le indicazioni date in sede di formulazione del giudizio etico, con esclusione quasi totale delle competizioni in cui valga la forza fisica, in quanto ciò determina una fallacia naturalistica, con la confusione fra essere e dover essere. L’autorealizzazione diventa così protagonista del “pensare in termini etici”, anche se a volte è necessario rinunciare al massimo della medesima, per collocarsi in ambiti più limitati, che presentino pur sempre un margine di soddisfazione della propria esigenza di vivere bene.
Tuttavia, fino a qui, restiamo nell’egocentrico; a finalità egocentriche si devono aggregare finalità esocentriche, per poter esporre in maniera organica nel settore dell’etica. “A vive” è un giudizio di matrice egocentrica, non c’è necessariamente la componente dell’accordo intersoggettivo. Anche il volere che non si eserciti violenza nei propri confronti, valutazione che ha una matrice egocentrica, può realizzarsi universalmente, ma qui la probabilità non è certezza, in quanto possono verificarsi casi di aggressione, da parte di altri consociati. In ogni modo, nella maggior parte dei casi, le finalità egocentriche possono realizzarsi solo in modo conflittuale. La volontà di vivere, altrimenti detta istinto di autoconservazione (e qui collochiamo in modo eretico anche l’istinto nell’etica) ha unicità di noumeno, ma empiricamente dà luogo a situazioni di contrapposizione. Dalle finalità egocentriche derivano altre finalità egocentriche, ma anche esocentriche. Se la finalità egocentrica implicante è universale, si giunge a una convergenza. Si rifletta sull’esempio di Carcaterra fra volontà di vivere e volontà che l’ambiente sia salubre. Si perviene a una convergenza di volontà. Una finalità può avere una caratterizzazione empirica o logica, ma l’affinità universale di uno scopo egocentrico non comporta necessariamente una finalità convergente, a meno che vi sia un fine di coesistenza Alla volontà che uno faccia qualcosa, non si associa all’interno della sfera soggettiva di questo soggetto la volontà che tutti facciano quella cosa. Si può riflettere sulla felicità e reiterare il ragionamento. Il loquente desidera e auspica la sua felicità, ma ciò non implica necessariamente che tale soggetto valutatore abbia una volontà orientata nel senso di auspicare che tutti i consociati siano felici. Da ciò la debolezza del valore della felicità. Mill ha sostenuto che la felicità è desiderabile perché ognuno vuol essere felice, ma la felicità è un fine egocentrico, in quanto non è dimostrabile per postulato che la volontà di essere felice implichi la corrispondente volontà che tutti siano felici. Una convergenza tra scopi derivanti da finalità egocentriche universali può verificarsi in modo più frequente su basi empiriche, come nell’ipotesi della salubrità dell’ambiente: infatti, in questo caso, è prevedibile che i consociati auspichino che vi sia soddisfacimento generale dell’interesse alla salubrità ambientale.
Le finalità che costituiscono la volontà di realizzare se stessi sono egocentriche, e tendenzialmente condivise da tutti gli uomini, con la conseguenza che solo alcune implicazioni saranno universali e convergenti. Tra le piattaforme convergenti vi è la salubrità dell’ambiente e i fini istituzionali. L’ambiente e la presenza di una società organizzata mediante norme sono delle esigenze convergenti, in un contesto in cui è presente la volontà di ciascuno tendente all’autorealizzazione. Rinunce unilaterali rispetto a questi valori presuppongono richieste comuni convergenti.
Pertanto, la finalità da perseguire sarà l’autorealizzazione come criterio convergente, con il limite del riconoscimento delle differenze di trattamento, sempre per le finalità comuni. Si comprende agevolmente che questa è un’applicazione del principio costituzionale di eguaglianza, inteso come regola di ragionevolezza. Un’indagine più approfondita porta a concludere che, se certe premesse sono vere, vi è un elemento di valore.
Le finalità indicate dall’uomo come universali sono egocentriche, quantomeno per quanto riguarda le finalità originarie e immediate. I fini sono egocentrici, pertanto l’universalità è da concepire in senso debole come similarità, nel senso che tutti desiderano vivere, ma il progetto esistenziale è focalizzato sulla propria vita. La universalità plasmata per i valori etici è la convergenza. Si afferma che la libertà da violenza fisica, che per sua natura è di astensione, è suscettibile di realizzarsi universalmente, in quanto l’uso della forza di regola è interdetto in qualsiasi contesto istituzionale, se non per tutelare l’ordine pubblico e la vita. L’esistenza di una sanzione contro atti di violenza fisica conferma, secondo il paradigma di Popper della falsificabilità di una tesi, in quanto l’irrogazione della sanzione comporta la conferma del carattere universale del valore del rispetto della libertà fisica. Bisogna tener conto anche dell’esigenza di ciascuno di vivere la propria vita, nel rispetto della reciproca esigenza altrui, in armonia con le finalità convergenti, immanenti nella sfera di interessi dello stesso sacrificato, che d’altronde partecipa alla realizzazione di queste finalità, per poter fruire di una vita migliore.
A proposito di giudizi etici, se affermo “x è un valore” , compio una valutazione etica; se affermo “il giudizio secondo cui una tal cosa ha valore è l’unica soluzione possibile sul piano metodologico” non sto formulando un giudizio etico, ma sto sostenendo l’ipotesi che nel caso specifico si possa sviluppare e formulare un giudizio etico, il che potrebbe anche non essere vero. Si è nel settore dello studio delle proposizioni etiche, ossia della metaetica. Con la prima inferenza si derivano valutazioni etiche da verità, con la seconda si fondano valutazioni etiche. Questo paradigma è da preferire al primo e non comporta valutazione della legge di Hume (derivazione di postulati etici da ragionamenti non etici). La valutazione che il giudizio secondo cui la vita di tutti sia un valore non appartiene alla etica, ossia non è di per sé un giudizio etico, ma inerisce allo studio dell’etica sull’etica, ossia alla metaetica (si pensi all’affinità con il concetto di metamodello in psicologia).
Il discorso metaetico studia i metodi che il discorso etico usa in atto per porsi e non è volontà di valutare, caratteristica che riguarda invece il discorso etico, in cui effettivamente si formulano giudizi morali. Metaetica ed etica, in ogni modo sono componenti di un sillogismo pratico: esso, muovendo dalla volontà, in cui si sintetizzano attraverso una premessa conoscitiva, passa direttamente all’azione. La metaetica riflette sulle condizioni morali, componente teoretica del sillogismo pratico, l’etica agisce empiricamente.
Per «etica dei diritti» può intendersi quell’etica, in cui i diritti siano il valore prioritario e dominante, in cui cioè la questione fondamentale non è se sia opportuno compiere una determinata azione, ma se si ha o meno il diritto di farla. È legittimo parlare di un’etica dei diritti se questi sono forniti di una connotazione morale (moral rights).
L’etica dei diritti si salda con la proclamazione della identità individuale e collettiva avanzata nei confronti di chi ha un’identità. Nell’ambito di un consolidato pluralismo, si può abbozzare una comunicazione tramite il concetto di diritto. Nell’ecosistema l’individuo è in funzione della specie e questa, a sua volta, in funzione dell’equilibrio dell’ecosistema. D’altro canto gli animalisti, mentre rintuzzano l’antropocentrismo dei diritti umani, sono diffidenti nei confronti dell’etica ecologica, che disconosce il valore in sé dell’essere vivente e senziente. I diritti della natura, quelli degli animali e quelli degli uomini sembrano proprio inconciliabili. Escludendo, dunque, la possibilità di un’etica unitaria dei diritti degli esseri viventi e senzienti, sembrerebbe che resti comunque la possibilità di un’etica generale dei diritti dell’uomo. Questa potrebbe almeno avere il compito di ricomporre quelle etiche particolari che s’ispirano ai diritti umani. Ma anche questo è altamente problematico. A questo proposito estremamente istruttiva è la svolta più recente dell’evoluzione dei diritti, cioè quella che Bobbio ha considerato come il passaggio «dalla considerazione dell’uomo astratto a quella dell’uomo nelle sue diverse fasi della vita e nei suoi diversi stati». I diritti seguono il modo culturale d’identificazione dell’essere umano. L’identificazione propria dell’antropologia illuministica colloca la dignità umana a prescindere da ogni riferimento ai contesti particolari della sua esistenza, cioè senza la considerazione della razza, del colore della pelle, della lingua, delle credenze religiose, del sesso e dell’età. L’uguaglianza degli uomini è affermata a prescindere dalle differenze. Di contro, l’identificazione propria dell’antropologia storicistica non crede possibile rinunciare alle condizioni particolari dell’esistenza umana. L’essere umano s’identifica attraverso un suo modo d’essere: come fanciullo, come adulto, come donna, come anziano, come malato, come diversamente abile, come lavoratore e così via. In queste condizioni vi saranno grappoli di diritti legati alla situazione esistenziale, cioè l’etica dei diritti dell’infanzia, quella dei diritti della donna, quella dei diritti del lavoratore e così via. L’uguaglianza degli uomini è uguaglianza delle differenze, vale a dire uguale diritto al rispetto di diversità di per sé incomparabili. Tuttavia queste etiche dei diritti entrano spesso in conflitto tra loro. Il conflitto dei diritti è una realtà ormai sotto gli occhi di tutti.
Di fronte a queste difficoltà, che d’altronde non sono le uniche, è da escludersi che attualmente si possa parlare di un’etica dei diritti sia nel senso generale, sia nel senso di un’etica particolare. Tuttavia, in ragione di quel consenso universale a cui sopra s’è accennato, si pensa che possa essere compito dei diritti riunificare il mondo etico in frantumi e ricostruire l’unità della persona morale. Questa appare oggi un’esigenza ineludibile. Consapevoli di non poter più ridefinire un’unitaria visione del mondo in un regime di pluralismo, affidiamo alla nostra vita privata il compito di una ricomposizione valevole solo per noi e per quelli come noi. Alcuni dedicano la propria vita al movimento di liberazione degli animali, altri alla difesa della natura, altri si associano in movimenti per la difesa della vita umana, altri ancora si battono per l’aborto e per l’eutanasia. Tutti, però, pensano di lottare per valori che non sono privati e che tutti dovrebbero rispettare, cioè per i diritti. Tuttavia non è solo importante sottolineare un’urgenza della nostra coscienza etica, ma è anche indispensabile chiedersi da quale orizzonte di valori e di princìpi morali essa dovrebbe essere accolta. Ha ben poco senso difendere l’estinzione gli animali da pelliccia se ciò non significasse anche un’ac-cettazione morale di quell’ordine del mondo che tutti dovrebbero condividere.
Questo livello più profondo dell’etica è il luogo di comunicazione dei problemi particolari, il luogo in cui risiedono i grandi princìpi della morale. Bisognerà, dunque, riconquistare questo territorio retrostante per riaccostare i frammenti scomposti della domanda morale. Può questo compito essere oggi assolto dai diritti? Può un’erigenda etica dei diritti essere la soluzione dei nostri dilemmi morali?
Etica, in che senso? Non rare volte, quando si parla di «etica dei diritti», si vuole più propriamente dire che la questione dei diritti ha ormai assunto una dimensione profondamente morale e non può essere semplicemente trattata come una questione esclusivamente giuridica. Questo è ben poco interessante per noi che vogliamo sapere se i diritti costituiscano o possano costituire un’etica compiuta e autosufficiente. Affermare che i diritti sono oggi riconosciuti come problema morale significa già implicitamente presupporre una determinata concezione di cosa la morale sia. La morale è ciò che la gente pensa che la morale sia. Poiché abbiamo qui a che fare con il problema di quale sia la migliore vita per l’essere umano e di come ci si debba comportare nei confronti degli altri, cioè con quell’insieme di valori, di esigenze, di regole che governano l’azione umana, dobbiamo assumere in via preliminare le opinioni più diffuse e consolidate (éndoxa). Infatti la costruzione di un sistema morale completamente indipendente dalla concreta prassi della gente troverebbe nella sua astrattezza un grave limite, cioè l’impossibilità di render conto della vita reale degli esseri umani e di poter offrire così regole praticabili d’azione. È questa, infatti, la ragione della fortuna del metodo dell’equilibrio riflessivo, messo a punto da John Rawls. Ogni etica more geometrico demonstrata ha fallito il suo obiettivo, e ha prodotto come reazione forme di etica emotivistica e irrazionalistica. Possiamo assumere senza bisogno di provarlo che i diritti umani sono divenuti gli éndoxa del nostro tempo, che, cioè, il loro valore etico imprescindibile è opinione altamente diffusa, e in continua espansione, e che s’è creato intorno a essi un accordo pratico per intersezione (overlapping consensus) tra famiglie ideologiche ben diverse. Questo «fatto morale» esigerebbe analisi molto accurate e complesse interpretazioni. Tuttavia, se l’etica si fermasse qui, si arrestasse cioè alla moralità positiva, allora rinuncerebbe alla sua dimensione critica e non si potrebbe parlare di un «sapere morale». La sensibilità morale della gente è molto cambiata rispetto a un passato anche recente.
Questo fatto è istruttivo, ma non è di per sé una giustificazione, che non mancano mai, ci spingono a credere. Noi, infatti, consideriamo morale una vita che non si lascia trascinare dal costume diffuso e dalla mentalità corrente, ma che sottopone tutto ciò al vaglio della ragione e sa distinguere il problema dell’origine da quello della legittimazione. In questo l’etica si distingue dall’etologia. Possiamo, dunque, ritenere per il momento i diritti umani come il materiale etico più rilevante su cui riflettere (e deve riflettere) il sapere morale del nostro tempo. Ciò posto, si deve subito notare che la valutazione critica di questo contenuto etico è altamente controversa. Quando passiamo dall’affermazione, in linea di principio, dei diritti umani alla loro applicazione ai casi concreti, allora – come già s’è notato -quell’accordo pratico così promettente sembra lasciar posto al conflitto più lacerante. Questo è un cattivo indizio per una dottrina, che pretende di erigersi in etica unitaria, in quanto essa sembra legittimare e accogliere in sé le istanze più contrastanti. Si può obiettare che anche nelle altre dottrine morali avviene qualcosa del genere. Certamente non v’è accordo tra gli utilitaristi sul modo di applicare i princìpi dell’utilitarismo ai casi concreti e neppure i seguaci dell’etica deontologica sono d’accordo sui doveri universali. Tuttavia, in questi casi, si tratta d’individuare i contenuti di un’etica normativa mediante i criteri razionali ritenuti più idonei. Ciò che è utile è determinato applicando i princìpi del conseguenzialismo; ciò che è doveroso sarà individuato, ad esempio, applicando i criteri dell’imperativo categorico kantiano. Ciò significa che queste etiche normative sono vere e proprie teorie morali in quanto forniscono anche i criteri e i princìpi in base a cui sviluppare il ragionamento morale. Si prendono in considerazione la metaetica trascendentale dei diritti sviluppata, l’azione dell’etica deontologica, che è rivolta a valutare le azioni in se stesse, e dell’etica della virtù, che ritiene preminente il ruolo dell’agente, possiamo facilmente renderci conto che ognuna di esse può avere a oggetto i diritti, mentre a sua volta l’etica dei diritti non può esibire criteri propri di giudizio e di argomentazione. Di conseguenza, si dovrebbe escludere che essa si possa configurare come una teoria etica normativa accanto alle altre. Più verosimilmente, si tratterebbe dell’istanza relativa all’imprescindibilità di certi valori fondamentali, la cui fondazione e articolazione sarebbe però affidata a criteri di giudizio morale che devono essere presi da altre etiche normative. Questa azione incontra, però, alcuni ostacoli significativi. Le principali etiche normative non riescono a governare in modo accettabile questi nuovi contenuti della morale. S’è tentato di applicare con qualche risultato i princìpi dell’utilitarismo ai diritti, ma resta il fatto che esiste un’incompatibilità originaria. Secondo Dworkin un diritto è una pretesa dell’individuo che sarebbe ingiusto non soddisfare da parte del potere politico, anche se fosse nell’interesse generale farlo. D’altronde Peter Singer – come già Bentham – ammette la possibilità di giustificare con ragioni utilitarie persino l’infanticidio, ma è tesi inaccettabile I diritti costituiscono con la loro stessa presenza una critica insuperabile all’utilitarismo.
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Salvatore Magra
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