Eutanasia passiva consensuale e disposizioni anticipate di trattamento (DAT)

Eutanasia passiva consensuale e disposizioni anticipate di trattamento (DAT)

Il caso Englaro racchiude in sé l’eterno conflitto tra l’interesse pubblico alla difesa della vita ed il diritto soggettivo privato all’autodeterminazione terapeutica.

La Corte di Cassazione nella nota sentenza n. 21748 del 2007 su tale caso è pervenuta alla conclusione che “all’individuo che, prima di cadere nello stato di totale ed assoluta incoscienza, tipica dello stato vegetativo permanente, abbia manifestato, in forma espressa o anche attraverso i propri convincimenti, il proprio stile di vita e i valori di riferimento, l’inaccettabilità per sé dell’idea di un corpo destinato, grazie a terapie mediche, a sopravvivere alla morte, l’ordinamento dà la possibilità di far sentire la propria voce in merito alla disattivazione di quel trattamento attraverso il rappresentante legale”.

Il tutore è quindi tenuto a ricostruire la volontà del paziente incosciente, tenendo in considerazione i desideri espressi prima della perdita della coscienza.

A seguito di tale pronuncia, il legislatore è intervenuto con la L. n. 219 del 22 dicembre 2017 pubblicata nella G.U. n. 12 del 16 gennaio 2018 sulle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) e consenso informato.

La legge stabilisce il diritto di ogni persona ad essere informata sulle proprie condizioni di salute in modo completo, aggiornato e comprensibile.

Il medico deve fornire al paziente precise informazioni su tutto ciò che riguarda i benefici, i rischi e le alternative ai trattamenti sanitari, nonché le conseguenze derivanti dalla sua rinuncia agli stessi, senza omettere di delineare al paziente il possibile evolversi della patologia in atto, prospettando le possibilità cliniche di intervento e le cure palliative disponibili.

Il paziente può rifiutare le informazioni e le cure e tale rifiuto deve essere acquisito in forma scritta o video registrato e conservato nella relativa cartella clinica.

Si parla, quindi, di eutanasia passiva consensuale laddove venga interrotto un trattamento medico e sia il paziente stesso a chiedere ed ottenere di porre fine alla propria vita.

L’eutanasia passiva consensuale può ritenersi lecita. La differente valutazione giuridica rispetto alle altre ipotesi di eutanasia attiva ed eutanasia passiva non consensuale, ritenute illecite nel nostro ordinamento, trae fondamento nell’art. 32 comma 2 della Costituzione, secondo il quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge.

Da tale principio costituzionale, infatti, si deduce che la scelta di sottoporsi o meno alle cure è un diritto di libertà della persona, per cui non è possibile praticare una cura contro la volontà espressa del paziente, anche qualora l’omissione del trattamento o la sua sospensione portino alla morte.

In ogni caso, anche nell’ipotesi di rifiuto delle terapie proposte, il paziente non può essere abbandonato a sé stesso ed il medico è tenuto a garantirgli un’adeguata assistenza.

Il medico deve astenersi da accanimenti terapeutici inutili per pazienti con prognosi infausta a breve termine o imminenza di morte.

Inoltre, in presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente. La legge precisa che il ricorso alla sedazione palliativa profonda continua, o il rifiuto della stessa sono motivati ed annotati nella cartella clinica del fascicolo sanitario elettronico.

In considerazione di tale disciplina, si potrebbero prospettare casi al confine con la cosiddetta eutanasia pura (aiutare nel morire), poiché, pur essendo le ipotesi limitate ai casi di imminenza di morte o di prognosi infausta a breve termine, si legittima l’aiuto al paziente nel morire.

Allo stesso tempo, potrebbero prospettarsi casi riconducibili anche ad ipotesi di eutanasia attiva vera e propria (aiutare a morire), poiché spesso risulta molto difficile comprendere se le terapie siano o meno inutili e quindi se si sta aiutando solo un paziente morente con terapie antidolorifiche e senza inutile accanimento terapeutico, o se si sta assecondando una sua scelta di porre fine anticipatamente ad una vita priva di speranza e dignità, secondo la sua soggettiva valutazione.

L’utilizzo di termini generici che lasciano discrezionalità al medico ed al giudice rivelano l’estrema difficoltà di regolare giuridicamente in modo generale ed astratto una tematica umanamente delicata e complessa.

La legge de qua consente, altresì, ad ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo aver acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle proprie scelte, di esprimere attraverso le DAT le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o a scelte terapeutiche.

Secondo la normativa in esame, è altresì consentita la nomina di un fiduciario, ossia una persona di fiducia, maggiorenne e capace di intendere e di volere, che effettui le scelte mediche in sostituzione del malato.

L’accettazione dell’incarico di fiduciario deve avvenire in forma scritta, con la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo che deve essere poi alle stesse allegato.

Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del Comune di residenza di quest’ultimo, ovvero presso le strutture sanitarie qualora le condizioni del paziente non consentano tali formalità.

Nel caso in cui le DAT non contengano l’indicazione del fiduciario, o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace, le DAT mantengono comunque efficacia in merito alle volontà del disponente.

In caso di necessità, il giudice tutelare provvede a nominare un amministratore di sostegno che sostituisca o coadiuvi il malato nelle relazioni terapeutiche con i medici.

Il medico è tenuto a rispettare le DAT, che possono essere disattese, in accordo con il fiduciario, allorquando esse appaiano incongrue rispetto alla condizione clinica attuale del paziente, ovvero siano sopraggiunte nuove e più efficaci terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione.

In tali casi, in ipotesi di conflitto tra il medico ed il fiduciario, entrambi possono ricorrere al giudice tutelare.

In conclusione, con l’introduzione delle DAT, il legislatore ha consentito che le disposizioni consensuali del proprio corpo abbiano effetto anche dopo la perdita della capacità della persona di autodeterminarsi, attribuendovi validità anche nei casi in cui il rifiuto della cura potrebbe condurre ad esiti infausti.

La normativa esaminata pone al centro la persona e la sua individualità in un fenomeno umano così drammatico e soggettivo come il rapporto tra l’uomo, la malattia, la vita e la morte.


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Francesca Fumagalli

Avv. Francesca Fumagalli nata a Lecco nel 1992, dopo il diploma di maturità scientifica, ha conseguito a pieni voti la laurea magistrale a ciclo unico in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Milano Bicocca nel luglio 2016. Iscritta all'albo degli avvocati presso l'Ordine degli Avvocati di Lecco. Presta consulenza e assistenza nella fase stragiudiziale e contenziosa su tutto il territorio nazionale nell'ambito del diritto civile, con particolare riguardo alle materie di famiglia, successioni, responsabilità medica, responsabilità civile, diritti reali e condominio, contrattualistica, recupero crediti ed esecuzioni, nonché diritto penale, diritto minorile sia civile che penale e diritto dell'immigrazione.

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