Evoluzione dello stalking e configurabilità dello stalking indiretto
L’evoluzione sociale ha contribuito allo sviluppo della tecnologia. Se da un lato la tecnologia ha consentito di superare le barriere delle distanze, e di poter consentire al legislatore di emanare norme in grado di rivoluzionare i processi attraverso la digitalizzazione, dall’altro non si può non tener conto di quanto un uso errato di uno strumento informatico può essere oggetto di molteplici reati. Questo studio si propone di esaminare la particolarità della fattispecie criminosa relativa al reato di stalking, di cui all’art. 612-bis c.p.
Il fenomeno dello stalking ha origini molto antiche. Sin dagli anni 80 si è sentito parlare di stalking, ossia di quel fenomeno, attraverso il quale un soggetto il cd. molestatore assillante perseguitava le celebrità dello spettacolo e dello sport. Tuttavia, nonostante l’estrema diffusione del fenomeno, inizialmente non esisteva nel codice penale una norma che disciplinasse appositamente il reato di stalking, il quale trova terreno fertile in differenti ambiti della vita sociale, anche diversi dalla fine delle relazioni sentimentali. Nei casi più complessi le condotte di molestie assillanti sfociano nell’omicidio e nella violenza.
I protagonisti principali del reato sono: – il “persecutore” o molestatore assillante; – la vittima; – la relazione “forzata” e controllante che si stabilisce tra i due e finisce per condizionare il normale svolgimento della vita quotidiana della vittima, provocando un continuo stato di ansia e paura.
La molestia si traduce in stalking, vero e proprio, solo in presenza dei seguenti elementi distintivi: – chi mette in atto la molestia agisce nei confronti di una persona su cui proietta un investimento ideo-affettivo, basato su una relazione reale oppure parzialmente o totalmente immaginata (in base alle caratteristiche di personalità e alla capacità di esame della realtà); – lo stalking si manifesta attraverso una serie di comportamenti che si sostanziano nella ricerca di comunicazione e/o di contatto, che in ogni caso risultano connotati da ripetizione, insistenza e intrusività; – la pressione psicologica legata alla “coazione” comportamentale e al terrorismo psicologico dello stalker, pongono la persona individuata dal molestatore (stalking victim) in uno stato di allerta e di stress psicologico dovuti sia alla percezione dei comportamenti persecutori come sgraditi, intrusivi e fastidiosi, sia alla preoccupazione e all’angoscia per la propria incolumità; – progressività del comportamento persecutorio testimoniata dal passaggio dalle minacce agli atti di violenza contro cose (per es. l’automobile) o persone (per es. familiari o partner). Tuttavia, pur essendo essenziale la progressività, i casi di aggressione violenta sono rari, mentre i reati cui lo stalker perviene più facilmente sono quelli di insulti e danneggiamento della proprietà.
Lo stalker è il soggetto attivo del reato, il quale pone in essere comportamenti di persecuzione avverso la vittima secondo due differenti modalità: 1) con l’utilizzo di strumenti di comunicazione quali: sms, lettere, email o persino murales e graffiti, infatti la Cassazione nella sentenza nr 61/2019 ha precisato che <<indipendentemente dall’ incontro fisico tra vittima e imputato il reato di atti persecutori si configura nel momento in cui la condotta minacciosa del reo destabilizzi l’equilibrio psichico della persona offesa attraverso l’uso di espressioni altrettanto minacciose non potendo prescindere dalla esistenza di un nesso di causalità tra condotta e evento>>; 2) attraverso comportamenti che si sostanziano nel pedinare o sorvegliare la vittima.
Inizialmente si riteneva che i molestatori assillanti fossero soggetti che presentassero dal punto di vista emotivo una instabilità psichica; studi attuali invece hanno dimostrato che solitamente gli stalker non sono sempre soggetti che versano in condizioni di instabilità mentale, ma anzi alle volte sono soggetti consapevoli del comportamento che pongono in essere, e anzi che godono soddisfazione nel perseguitare. Dietro ai comportamenti posti in essere dallo stalker ci possono essere differenti motivazioni, infatti, è in virtù di tali motivazioni che si è soliti distinguere tra:
– molestatori risentiti: ossia coloro che pongono in essere comportamenti molestanti avverso la vittima perché mossi da un desiderio di vendetta; – molestatori bisognosi di affetto: ossia coloro che pongono in essere comportamenti persecutivi perché bisognosi di affetto; – molestatori incompetente: ossia colui che pone in essere un atteggiamento persecutivo non sempre nei confronti della stessa vittima; – molestatore respinto: ossia colui che ad esempio, essendo stato respinto in una relazione e non accettandone il rifiuto inizia a perseguitare il partner per evitare che lo stesso intraprenda nuove relazioni; – molestatore predatore: ossia colui che pone in essere comportamenti di persecuzione al solo fine di cercare di avere rapporti sessuali con la vittima. La sua condotta è eccitata dall’infondere timore e paura nella vittima.
In alcuni casi gli stalker ricorrono all’assistenza di terzi per la persecuzione della loro vittima per due possibili motivazioni: incrementare le loro attività di stalking o trovare un modo per continuare a molestare la vittima quando questo gli è impedito dall’autorità giudiziaria con misure interdittive. Gli stalker scelgono i loro complici tra i membri della famiglia, gli amici, gli stalker sono molto persuasivi nel convincere le persone ad assisterli nella loro campagna di molestie inventando storie ingegnose quindi molti dei complici sono inconsapevoli dell’impatto sulla vittima o del vero obiettivo delle azioni che accettano di compiere. Può effettivamente succedere che alcuni individui ingenuamente credano di aiutare un amore a realizzarsi. Più di recente la Cassazione con sentenza 26456/2022 è tornata a pronunciarsi sul reato di stalking cd. indiretto ritenendo che l’invio di messaggi a amici della vittima configuri esso stesso reato di stalking.
Quindi si può concludere affermando che bisogna prestare attenzione all’uso degli strumenti elettronici al fine di evitare che essi diventino “armi” capaci di arrecare un male ingiusto avverso i soggetti nei cui sono utilizzati.
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Avvocato Antonella Fiorillo
Laureata in giurisprudenza.
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