Falò in spiaggia: chi risponde dei danni causati dalle ceneri residue?
Secondo una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 7362 del 15 marzo 2019), il Comune è responsabile civile per le ustioni causate dalle ceneri e braci ardenti quali prodotti residui dei falò accesi in spiaggia, in quanto ente obbligato alla rimozione dei rifiuti sugli arenili insistenti nei perimetri urbani.
Il Caso
Nel caso di specie, un minore, sedutosi su un tratto di spiaggia del Comune di Castelvetrano, riportava ustioni a causa di braci ancora ardenti derivanti da un falò acceso da ignoti nella serata precedente.
Il giudice di prime cure, condannava in solido sia il Comune che la Capitaneria di Porto al risarcimento del danno, rigettando la domanda nei confronti della ditta appaltatrice incaricata dei lavori di pulizia che era stata chiamata in garanzia dall’ente territoriale.
Avverso la sentenza, proponevano appello principale il Comune e appello incidentale il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. La Corte territoriale accoglieva l’appello incidentale, rilevando che la citazione era stata notificata alla Capitaneria di Porto, priva di personalità giuridica, mentre rigettava l’appello principale, in quanto riteneva il Comune responsabile ex art. 2043 c.c. dei danni riportati dal minore.
Avverso la decisione, il Comune proponeva ricorso per cassazione, al quale resistevano con controricorso i genitori del minore. Proponeva controricorso anche il Ministero, sebbene il ricorso non conteneva domande nei suoi confronti.
La pronuncia
In prima battuta, la Corte chiarisce il criterio di imputazione della responsabilità e conferma l’indirizzo della Corte d’Appello, la quale smentiva in tal senso la decisione di primo grado, sostenendo come in capo al Comune non sussistesse la responsabilità ex art. 2051 c.c., bensì quella derivante dalla violazione del principio generale del neminem laedere espresso dall’art. 2043 c.c.
A riguardo, i giudici di legittimità affermano che «il Comune di Castelvetrano non può considerarsi custode dell’arenile nel senso in cui la custodia è assunta dall’art. 2051 c.c. Tale norma presuppone una situazione di controllo della cosa, indipendente da direttive o da autorizzazioni altrui. Se è vero che la custodia non coincide con la proprietà o la titolarità di diritti reali, e ben può consistere in una situazione di fatto, è altresì vero però che deve trattarsi di un potere autonomo di controllo e gestione della cosa, perché solo tale autonomo potere giustifica l’obbligo di prevenzione dei danni riconducibili al bene custodito. Il Comune di Castelvetrano non ha, fatto pacifico, un potere siffatto sull’arenile, essendo incaricato soltanto della raccolta dei rifiuti, e dunque è privo di una relazione con la cosa, che possa giustificare l’applicazione di una regola di responsabilità che presuppone una certa utilità che il custode ricava dalla cosa e che giustifica l’inversione della prova a suo sfavore»
Delimitando successivamente i confini dell’omissione in senso stretto e della c.d. omissione nell’azione, gli ermellini affermano come «nella fattispecie presente, dunque, il danno di cui si discute non è causato da una omissione in senso proprio, bensì da una condotta attiva (la difettosa pulizia dell’arenile) caratterizzata dall’omesso rispetto di una regola cautelare: quella di pulire adeguatamente l’arenile dai rifiuti. Con la conseguenza che non si può discutere della esistenza di un obbligo di agire a beneficio altrui, ma si deve discutere di violazione, nell’ambito di una condotta attiva, e non omissiva, delle regole cautelari proprie di quell’azione».
Ai sensi del D.P.R. n. 915 del 1982, artt. 2, 3 e 8 ed alla L.R. n. 25 D del 1993, nonché al D.Lgs. n. 22 del 1997, è posto in capo al Comune l’obbligo di rimuovere i rifiuti che insistono sugli arenili rientranti nei perimetri urbani, essendo demandata alla Regione la pulizia dei perimetri extraurbani.
Pertanto, «si tratta allora della violazione di una cautela specifica, che non può dirsi, come ritiene il ricorrente inesigibile o rispetto alla quale il danno è dovuto al fortuito, in quanto la rimozione dei rifiuti non è stata adeguata, e non può ovviamente considerarsi imprevedibile la presenza di braci, anche se nascoste sotto sabbia, in un periodo in cui gli utenti dell’arenile sono soliti fare falò notturni. Invero la presenza delle braci è conseguenza del mancato rispetto della regola cautelare di pulire l’arenile, e perciò stesso non può considerarsi fatto imprevedibile ed inevitabile, posto che, pulendo adeguatamente, si sarebbe evitato il danno».
Sulla questione, la Corte conclude definendo “brace”, nell’accezione di prodotto residuo di un falò, «un rifiuto solido il cui smaltimento rientra negli obblighi del Comune, e la sua rimozione non presuppone attività di scavo o di bonifica, per le quali il Comune necessita di autorizzazione».
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dott. Andrea Serini
Si laurea nel 2017 in Giurisprudenza, Classe LMG/01, all'Università degli Studi di Macerata con una tesi in diritto costituzionale intitolata "Sul pluralismo dell'informazione e sulla comunicazione politica".
E' praticante abilitato al patrocinio ex. L. n. 247/2012 e svolge la professione di amministratore di condominio.
Collabora con diverse riviste scientifiche stilando articoli su temi riguardanti il diritto condominiale e il diritto civile.