Falsità materiale, copie fotostatiche e principio di necessaria offensività

Falsità materiale, copie fotostatiche e principio di necessaria offensività

Integra il reato di falsità materiale ex artt. 476, 482 c.p. la formazione e il successivo utilizzo, da parte del privato, di copie fotostatiche che riproducano atti amministrativi inesistenti, con la finalità di indurre in errore il promissario acquirente di un’azienda di ristorazione in ordine alla sussistenza dei presupposti di legge per il legittimo esercizio della correlata attività di somministrazione di cibi e bevande[1].

Così ha stabilito Cass. pen., Sez. V, sent. 6.2.2018, n. 5452 confermando la decisione resa dalla Corte d’Appello di Milano che, senza discostarsi dalla pronunzia del giudice di prime cure, ha condannato gli imputati per il succitato reato di falso, oltreché per truffa aggravata; di contro, il Collegio ha escluso il lamentato difetto di offensività dell’illecito formale de quo, ritenendo insussistenti i presupposti del c.d. falso grossolano.

Con riferimento alla penale responsabilità degli imputati -uno dei quali, il ricorrente, a titolo di concorrente “agevolatore” nel reato di falso- il principio enunciato dai Giudici di legittimità si pone in linea con l’orientamento giurisprudenziale dominante, secondo cui la riproduzione di un documento è penalmente rilevante allorquando la copia medesima:

  • è intenzionalmente presentata come fosse l’originale (Cass. pen., Sez. V, sent. 11.4.2014, n. 26799 e Cass. pen., Sez. V, sent. 3.7.2013, n. 30811);

  • viene alterata in modo da creare un’apparenza di conformità all’originale e sia validamente esibita in luogo di questo (impliciter, Cass. pen., Sez. V, sent. 3.11.2011, n. 9608);

  • sia utilizzata in sostituzione a un atto inesistente, artificiosamente creato dall’agente (cfr. Cass. pen., Sez. VI, sent. 10.12.2007, n. 6572).

In relazione all’ipotesi sub c) -analoga a quella del caso sottoposto alla Suprema Corte- giova, peraltro, osservare che il disvalore penale del falso poggia non sull’impiego della fotocopia rappresentante il titolo abilitativo inesistente (condotta, per converso, rilevante ai fini del reato di truffa contrattuale) bensì, proprio, sulla creazione di tale «simulacro». Del resto, il combinato disposto degli artt. 476, 482 c.p. vieta, tra l’altro, che il privato formi, in tutto o in parte, atti falsi, per tal modo realizzando una distorsione della realtà (immutatio veri) pericolosa per la pubblica fede.

Corretta, appare, dunque, la decisione in commento sotto il profilo della sussistenza del fatto tipico descritto nel capo di imputazione formulato in relazione al reato di falso.

Né la pronuncia de qua appare censurabile per aver escluso l’inidoneità dell’azione cui, ai sensi dell’art. 49, co. 2, c.p., conseguirebbe la non punibilità degli imputati.

La disciplina del reato impossibile, da considerarsi punto di emersione del principio di offensività (che pure ha fondamento altrove[2]), postula, infatti, l’esclusione della penale responsabilità di tutti i comportamenti che, pur sussumibili nella norma incriminatrice, non risultano ex post suscettibili di generare l’evento dannoso o pericoloso.

Adeguatamente declinando tale regula iuris, la dottrina, seguita dalla giurisprudenza, ha formulato tre ipotesi di falso non punibile, in quanto evidente al punto da non trarre in inganno chicchessia (falso grossolano), non pregiudizievole per gli interessi astrattamente minacciati (falso innocuo) ovvero materialmente compiuto su un atto o una parte di esso insuscettibile di acquisire qualsivoglia rilevanza (falso inutile)[3].

Sulla scorta di consimili premesse teoriche, la Corte di Cassazione ha, perciò, escluso che la documentazione inesistente, artificiosamente formata dagli imputati, potesse costituire oggetto di un falso grossolano, presentando comunque «tutti gli indici fattuali e normativi per farli ritenere come riconducibili alla pubblica amministrazione di riferimento».

Si conferma, in definitiva, il consolidato assetto sistematico-interpretativo che ricostruisce le fattispecie di falso come reati formali, la cui punibilità è -però- subordinata all’effettiva sussistenza di un pericolo per la pubblica fede; donde si assiste a un recupero, in via pretoria, della regola giuridica -già presente nel Codice Zanardelli, espunta dal progetto del nuovo corpus iuris e, nondimeno, immanente al principio costituzionale di offensività- per cui la falsità in atti può essere punita solo «ove ne possa derivare pubblico o privato nocumento» (art. 275 cod. pen. 1889).


[1] La disciplina dei titoli abilitativi in oggetto (lato sensu) intesi è oggi contenuta all’art. 64 D.Lgs. 59/2010, il quale prevede due diversi strumenti amministrativi, ovverosia -a seconda dei casi- un provvedimento autorizzatorio rilasciato dal Comune ovvero la presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.), dalla cui presentazione decorrono i termini per l’esercizio della funzione di controllo che l’Amministrazione è tenuta a esercitare ai sensi dell’art. 19 L. 241/1990.

[2] Trattasi, in particolare, di un principio c.d. sostanziale, la cui base normativa va ricercata negli artt. 25, co. 2, 27, co. 1, Cost.. Dalla lettura congiunta delle citate disposizioni costituzionali emerge, invero, che la penale responsabilità è ancorata alla commissione di un fatto imputabile all’agente, di talché non sarebbe logico irrogare una sanzione (peraltro limitativa della libertà personale) a fronte di comportamenti che non arrechino lesione alcuna, attuale o potenziale; donde consegue che l’evento tipico del reato (materiale, ma anche costruito in termini di pericolo) presenti sempre un connotato minimo di offensività.

[3] Per una disamina completa delle tre ipotesi menzionate, cfr. Cass. pen., Sezioni Unite, sent. 18.12.2007, n. 46982.


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Marco Vitale

Laureato in giurisprudenza all'Università Commerciale L. Bocconi con pieni voti assoluti e con lode. Già tirocinante presso gli uffici giudiziari civili e penali (G.I.P.) di Monza, percorso formativo svolto con esito favorevole e positivamente valutato da entrambi i magistrati formatori.

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