Fare manovra dentro il cortile del vicino non costituisce reato

Fare manovra dentro il cortile del vicino non costituisce reato

In un recente arresto (Cass. Pen. Sez. II, n. 10342, ud. del 04.10.2019, depositata il 17.03.2020) il Supremo Collegio ha fatto chiarezza in relazione ad una vicenda che potrebbe suscitare l’interesse di molti cittadini alle prese con dei vicini poco rispettosi dei cortili altrui.
Secondo gli Ermellini, la condotta di chi fa manovra col proprio veicolo su proprietà altrui non integra il reato di invasione arbitraria di terreni o edifici di cui all’art. 633 del Codice Penale.
Sommario: 1. La vicenda giudiziaria – 2. L’art. 633 c.p.: una breve analisi – 3. La sentenza della Corte: i chiarimenti sull’elemento oggettivo del reato

1. La vicenda giudiziaria

Il proprietario di un motorino, residente in provincia di Arezzo, veniva sottoposto a indagini e successivamente imputato in ordine al reato di violazione di domicilio di cui all’art. 614 c.p. «per essere entrato con lo scooter a far manovra nella proprietà» delle persone offese nonostante i chiari divieti da queste espressi.

Con sentenza del 26.03.2014 il Tribunale di Arezzo confermava l’impianto accusatorio del Pubblico Ministero, condannando l’imputato per il reato di cui all’art. 614 c.p.

Con sentenza del 15.08.2018 la Corte d’Appello di Firenze riformava parzialmente la pronuncia del Giudice di prime cure, riqualificando il fatto nel diverso reato di invasione arbitraria di terreni ed edifici di cui all’art. 633 c.p. e condannando l’imputato anche alla rifusione delle spese sostenute dai vicini, costituiti parte civile.

Avverso la sentenza della Corte fiorentina l’imputato ricorreva in Cassazione, deducendo ben cinque motivi.

Ai fini della vicenda in esame assume notevole rilievo il secondo motivo di ricorso, con cui l’imputato denunciava vizio di motivazione perché la Corte territoriale avrebbe riconosciuto la responsabilità dell’imputato ex art. 633 c.p. in violazione dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui tale reato dovrebbe ritenersi integrato solo allorché vi sia una stabile ed apprezzabile ingerenza fisica dell’agente sul fondo altrui, e non già un accesso meramente occasionale.

2. L’art. 633 c.p.: una breve analisi

L’occasione è propizia alla Suprema Corte per offrire un opportuno chiarimento interpretativo in relazione all’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 633 c.p.

In tale ottica, appare allora utile offrire una breve analisi della citata fattispecie di parte speciale.

La norma punisce con la reclusione da uno a tre anni e la multa da 103 a 1.032 euro chiunque invade arbitrariamente edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto.

Il reato, previsto al Titolo XIII (delitti contro il patrimonio), Capo Primo (delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone), Libro Primo del Codice Penale tutela il bene giuridico del patrimonio immobiliare, con particolare riferimento al diritto di godimento spettante al proprietario, al possessore e a colui al quale la legge garantisca l’esclusività dell’uso contro l’altrui arbitraria invasione.

La giurisprudenza identifica come “arbitraria” l’invasione commessa «senza il consenso dell’avente diritto o da parte di chi non abbia facoltà di realizzarla, ovvero in presenza di un divieto» (così Cass. Pen. n. 9384/1989).

L’invasione non richiede modalità operative violente, ma si riferisce al comportamento arbitrario di chi si introduce nel fondo altrui – appunto – contra ius (così Cass. Pen. n. 53005/2016).

Con riferimento all’elemento soggettivo, la norma necessita del dolo specifico, integrato dalla consapevolezza dell’illegittimità dell’ingresso nell’altrui bene e dalla finalità di occupazione o di un diverso, ulteriore profitto (così Cass. Pen. n. 16657/2014).

Il secondo comma della norma prevede un’aggravante laddove il fatto sia commesso da più di cinque persone o da persone palesemente armate, nonché laddove l’occupazione indebita sia organizzata e gestita da dei promotori.

Il reato è procedibile a querela e la competenza appartiene al Giudice di Pace.

3. La sentenza della Corte: i chiarimenti sull’elemento oggettivo del reato

La sentenza in commento ha il pregio di offrire alcune opportune precisazioni in relazione all’elemento oggettivo della condotta.

La Corte chiarisce che secondo la costante giurisprudenza di legittimità il delitto ex art. 633 c.p. si realizza allorché il bene immobile altrui sia «in qualche modo e per qualche tempo assoggettato ad un potere di fatto del soggetto agente».

La sola condotta che permette di integrare la fattispecie di cui all’art. 633 c.p. è quella implicante una permanenza all’interno dell’altrui bene immobile che si protragga nel tempo per una durata apprezzabile, pur non essendo necessario che l’agente vi rimanga stabilmente (cfr. Cass. Pen. n.  11544/2011).

Di conseguenza – afferma la Corte – il delitto non può dirsi integrato dalla condotta di chi si introduca arbitrariamente nel fondo altrui, senza in alcun modo voler occupare il fondo stesso (cfr. anche Cass. Pen. n. 19079/2011).

Dopo aver fornito tali opportuni chiarimenti la Suprema Corte prosegue il proprio sillogismo evidenziando come, nel caso concreto, fosse stato riconosciuto dalle sentenze di merito il carattere del tutto episodico ed occasionale dell’ingresso dell’imputato nel terreno delle persone offese. Di conseguenza, il Supremo Collegio annulla senza rinvio la sentenza impugnata per insussistenza del fatto.


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Pierfrancesco Divolo

È laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Padova con una Tesi in Storia del Diritto intitolata: “Detenere senza imputare. Il confino di polizia fascista dalle origini ottocentesche all’impatto con la Costituzione.” Ha svolto la Pratica Forense in uno studio legale di Padova, occupandosi prevalentemente di Diritto penale e Diritto dei consumatori. È abilitato all’esercizio della Professione Forense presso la Corte d’Appello di Venezia dal 14.10.2019. Attualmente esercita la Professione d'Avvocato collaborando con uno studio legale padovano, dove si occupa prevalentemente di Diritto penale e Diritto del lavoro. Coltiva particolare interesse per la Storia e la Filosofia del diritto.

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