Favoreggiamento, concorso di persone e intervento del terzo nei reati di durata
Con il presente contributo si intende delineare la differenza tra favoreggiamento e concorso di persone, con specifico riguardo ai reati di durata, specie quelli a consumazione prolungata, concludendo con una breve analisi della rilevanza dell’intervento del terzo nella fase esecutiva di tali reati.
Le difficoltà dell’interprete nei confronti della legge non si ravvisano solamente nella sussunzione dei fatti concreti in fattispecie astratte. Spesso esse riguardano, invece, il significato proprio di alcuni termini.
Nell’ordinamento penale una delle formule che maggiormente suscita dubbi interpretativi, contrasti dottrinali e giurisprudenziali, è quella che fa riferimento al reato commesso.
In merito a diversi istituti e disposizioni, infatti, gli interpreti si interrogano su quale sia il significato da attribuire al termine commesso. Difatti, il legislatore può intendere con lo stesso sia il reato perfezionato che quello consumato. Se tale differenza non ha rilevanza pratica nel caso di delitti istantanei, in cui il tempus commissi delicti è ben individuabile, e perfezionamento e consumazione corrispondono (si pensi al reato di furto.), maggiori problematiche sorgono in merito ai reati di durata nei quali, al contrario, si assiste ad una scissione tra perfezionamento e consumazione.
Rientrano in questo genus, ad esempio, i reati abituali (atti persecutori ex art. 612 bis c.p.), i reati permanenti (sequestro di persona ex art. 605 c.p.) e i reati a consumazione prolungata. Appartengono a quest’ultima categoria quei reati che si perfezionano (e consumano) istantaneamente, i quali, tuttavia, possono comportare una lesione ulteriore o ripetuta del bene giuridico tutelato, attraverso successive condotte, atteggiandosi eventualmente quali reati di durata. Sono reati a consumazione prolungata ad esempio la truffa, quando a seguito di artifizi e raggiri si verifichi in più occasioni un depauperamento della vittima con conseguente arricchimento del soggetto attivo, ovvero l’usura, qualora il pagamento degli interessi usurari venga rateizzato.
Nei reati a consumazione prolungata si pone, pertanto, il problema della distinzione tra favoreggiamento e concorso da parte del terzo e tale questione non può essere risolta se non con una corretta definizione di delitto commesso.
L’art. 378 c.p., difatti, stabilisce che il favoreggiamento può verificarsi una volta commesso il delitto.
Secondo un primo orientamento commesso deve intendersi come consumato, per cui non è possibile un favoreggiamento del terzo fino a quando l’iter criminis non risulti concluso. In base a tale concezione, pertanto, ad esempio in caso di truffa a consumazione prolungata, il terzo potrà integrare la fattispecie del favoreggiamento solo in seguito all’ultima lesione patrimoniale, mentre le altre condotte effettuate in corso di reato saranno punibili a titolo di concorso.
Un secondo, e prevalente, orientamento, invece, sostiene che nei reati di durata, quali quelli a consumazione prolungata, debba attribuirsi al termine commesso il significato di perfezionato. Questo in base a un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo i reati a consumazione prolungata, come suggerito dal nome, si intendono già consumati dopo la prima condotta (si pensi al primo arricchimento nella truffa), per cui ben potrebbe parlarsi di reato commesso. Le ulteriori condotte penalmente rilevanti hanno lo scopo di rendere punibili ulteriori fatti/atti, anche con effetti peggiorativi per il reo in tema di successione di leggi nel tempo.
In secondo luogo è la stessa lettera dell’articolo 378 c.p. che suggerisce una possibile alternatività tra concorso e favoreggiamento nel momento intercorrente tra perfezionamento e consumazione. Solo intendendo il termine commesso come perfezionato, infatti, vi è spazio per ulteriori condotte che possono integrare il favoreggiamento o l’art. 110 c.p.
Optando, quindi, per la validità di questa seconda teoria è necessario comprendere quando il soggetto terzo realizzi un favoreggiamento e quando, invece, sia punibile a titolo di concorso.
Il favoreggiamento ha lo scopo precipuo di eludere le investigazioni e sottrarre un soggetto, indagato per un delitto, dalle ricerche delle autorità. Al contrario si ha concorso nel reato quando un individuo apporti un contributo causale alla realizzazione della fattispecie.
Alcuni, in dottrina e giurisprudenza, richiedono che debba aversi riguardo all’elemento psicologico dell’agente, il quale verrà considerato concorrente qualora compia atti allo scopo di favorire il protrarsi della situazione criminosa, mentre sarà punibile a titolo di favoreggiamento nel caso in cui il fine delle sue azioni sia unicamente quello di sottrarre l’indagato dalle indagini o eludere le stesse.
Differente opinione, invero, ritiene preferibile avere riguardo in maniera oggettiva alle attività compiute, in particolare se esse siano in grado o meno di garantire una successiva perpetrazione (o continuazione) del delitto, nel primo caso si avrà concorso, nel secondo mero favoreggiamento.
La giurisprudenza utilizza entrambi questi requisiti e, ad esempio in materia di detenzione di stupefacenti, ha stabilito che la condotta del terzo che occulti le sostanze durante una perquisizione sia annoverabile tra le condotte rientranti nel concorso, al contrario, qualora l’intenzione sia unicamente quella di non far reperire tali sostanze alle autorità e le stesse vengano perciò disperse dall’agente, sarà integrata la fattispecie di favoreggiamento.
I reati a consumazione prolungata pongono un ulteriore problema, relativo all’intervento di un soggetto terzo nella fase esecutiva. Un esempio pregnante può essere quello dell’intervento del terzo nella fase esecutiva di un accordo corruttivo.
La corruzione, al pari dell’usura, ha posto a dottrina e giurisprudenza alcuni interrogativi in relazione al momento consumativo del reato. In particolare le diverse concezioni adottate hanno ripercussioni sulla configurabilità di un concorso del terzo nel reato.
Secondo un’opinione, oggi ormai minoritaria, la corruzione e l’usura si perfezionerebbero e consumerebbero nel momento della promessa (della dazione di denaro o degli interessi usurari). Corollario di questa interpretazione è che, in caso di corruzione, una volta pattuita la somma il reato sarebbe già esaurito e la successiva dazione risulterebbe unicamente un post-factum non punibile. Accedendo a tale tesi non sarebbe, pertanto, configurabile un contributo del terzo nella fase esecutiva, ad esempio attraverso il pagamento o la ricezione del denaro. La condotta dell’estraneo al patto potrebbe, al più, essere qualificabile come favoreggiamento, qualora ne sussistessero i presupposti.
L’opinione dottrinaria e giurisprudenziale prevalente, tuttavia, avallata anche dalla Corte di Cassazione, ritiene che la corruzione possa dirsi integrata con la semplice promessa (come stabilito dalla norma), tuttavia la consumazione possa essere, appunto, prolungata. In quest’ottica la successiva (o le successive) dazione di danaro posticipano il momento consumativo del reato. L’intervento, nella fase esecutiva, da parte del terzo, se in grado di apportare un contributo causale può comportarne la punibilità a titolo di concorso nel reato.
Tale orientamento ottiene un rafforzamento “di sistema” anche dalla tesi sostenuta dalla Cassazione in materia di usura. In passato i versamenti rateizzati dei tassi usurari venivano considerati come post factum non punibili di un reato già consumato. Oggi, come in materia di corruzione, essi sono considerati elementi della fattispecie che, inserendosi nell’iter criminoso, comportando un’ulteriore lesione al bene giuridico tutelato e posticipano la consumazione (rectius: la prolungano).
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