Fideiussioni omnibus e schema ABI: la soluzione delle Sezioni Unite

Fideiussioni omnibus e schema ABI: la soluzione delle Sezioni Unite

A risolvere l’annoso contrasto in tema di fideiussioni omnibus sono intervenute le Sezioni Unite con la memorabile sentenza n. 41994/2021 enunciando un orientamento volto a prediligere la nullità parziale dei contratti “a valle”, limitatamente alle sole clausole fideiussorie conformi allo schema ABI e dichiarate “a monte” illecite per violazione della normativa antitrust.

 

Sommario: 1. I fatti di causa – 2. Il provvedimento della Banca d’Italia – 3. I contrasti eterogenei della giurisprudenza – 4. La soluzione delle Sezioni Unite: la nullità parziale – 5. Conclusioni

 

1. I fatti di causa

La società Albatel stipulava con la (ora) Intesa Sanpaolo s.p.a. un contratto di conto corrente e un contratto di finanziamento, a garanzia dei quali la banca richiedeva il rilascio di due distinte fideiussioni sottoscritte dal sig. G. Bosco, socio della stessa. Nei confronti di quest’ultimo, a seguito di diverse raccomandate con cui l’istituto di credito comunicava unicamente alla società la risoluzione dei contratti, veniva emesso un provvedimento monitorio per il pagamento di diverse somme di denaro, in relazione alle fideiussioni di cui trattasi.

Nelle more dell’opposizione al decreto ingiuntivo il medesimo giudizio veniva sospeso dal momento che il sig. G. Bosco evocava, dinnanzi alla Corte d’appello in unico grado, Intesa Sanpaolo s.p.a., chiedendo la nullità radicale dei contratti di fideiussione, stipulati tra gli stessi, per violazione delle norme per la tutela della concorrenza e del mercato (art. 2 L. 287/1990). L’attore osservava l’intervenuta decadenza dell’istituto di credito, ai sensi dell’art. 1957 c.c., essendo il D.I. pervenuto ben oltre il termine di sei mesi previsto dalla norma[i].

La Corte dichiarava la nullità dei contratti di fideiussione per violazione dell’art. 2 della Legge n. 287/1990 e condannava Italfondiario s.p.a. (procuratore della convenuta) al risarcimento del danno non patrimoniale nonché alle spese del giudizio.

Avverso tale pronuncia la soccombente proponeva ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi. Sinteticamente, ad avviso della banca ricorrente, la Corte d’appello avrebbe errato non solo nel ritenere che le clausole 2, 6, 8 dello schema contrattuale standardizzato adottato dall’ABI “siano state esattamente riprodotte nei due contratti di fideiussione per cui è causa” ma anche nel fatto che la nullità di cui all’art. 2 della Legge 287/1990 non colpisca solo l’intesa restrittiva della libertà di concorrenza e si trasmetta ai contratti stipulati a valle della stessa.

Alla luce della frequente ricorrenza della fattispecie e della peculiare importanza della questione, la Prima Sezione Civile della Corte di cassazione, tenuto conto dei diversi orientamenti contrastanti sulla materia, ha rimesso la controversia alle Sezioni Unite perché venga stabilito: se la coincidenza totale o parziale con le condizioni dell’intesa vietata giustifichi la nullità delle clausole accettate dal fideiussore nel contratto a valle, o legittimi esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno; ed inoltre, ove si propenda per l’azione di nullità, quale sia il regime applicabile alla stessa e se sia ammissibile una dichiarazione di nullità parziale della fideiussione.

2. Il provvedimento della Banca d’Italia

Prima di introdursi nel nòcciolo della decisione risultano inderogabili brevi cenni sul provvedimento n. 55 emanato dalla Banca d’Italia nel 2005[ii].

L’associazione Bancaria Italiana (ABI) è un’associazione alla quale aderiscono la maggioranza delle banche presenti sul territorio nazionale che, al fine di perseguire il proprio compito istituzionale, predispone degli schemi negoziali relativi a condizioni generali di contratto che gli istituti di credito possono utilizzare nei rapporti con la clientela.

Nell’ottobre del 2002 l’ABI ha predisposto, in accordo con alcune organizzazioni di tutela dei consumatori, il contenuto del contratto della c.d. fideiussione omnibus e prima della diffusione dello schema contrattuale presso le banche associate, ne ha comunicato il contenuto all’AGCM ai sensi dell’art. 13 della L. 287/90, ritenendo che lo stesso non configurasse alcuna violazione della libera concorrenza.

 Lo schema contrattuale oggetto della questione in analisi è caratterizzato dalla c.d. clausola omnibus in forza della quale il fideiussore garantisce il debitore di una banca per tutte le obbligazioni da questo assunte, comprensive non solo dei debiti esistenti nel momento in cui la stessa viene prestata, ma anche di quelli derivanti in futuro da operazioni di qualunque natura intercorrenti tra la banca e il debitore principale.

Nello specifico, le clausole concernenti gli obblighi del fideiussore configurano un modello di garanzia che pone a carico dello stesso, oneri differenti rispetto a quelli previsti dalle norme del codice civile sulla fideiussione in generale.

La Banca d’Italia, nel novembre del 2003, avviò un’istruttoria finalizzata a verificare la compatibilità dello schema contrattuale di “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie” predisposto dall’ABI, con la disciplina dettata in materia di intese restrittive della concorrenza, interpellando in via consultiva l’AGCM.

I rilievi critici individuati dall’Autorità Garante concernevano, in particolare, le clausole nn. 2, 6, 8 dello schema contrattuale oggetto di analisi, in quanto contenenti disposizioni che, “nella misura in cui vengono applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’art. 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90”.

Si tratta specificatamente della c.d. “clausola di reviviscenza” (art. 2 dello schema) che obbliga il fideiussore a garantire la banca da qualsiasi vicenda successiva all’avvenuto adempimento da parte del debitore, ove ad esempio nel caso in cui a seguito di annullamento dei pagamenti le somme di denaro debbano essere restituite.

Vi è poi la c.d. “clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 cod. civ.” (art. 6 dello schema) in forza della quale “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore”, senza il rispetto dei termini richiesti dall’art. 1957 c.c., che subordina la permanenza dell’obbligazione di garanzia del fideiussore, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, alla circostanza che il creditore abbia proposto e diligentemente continuato le sue istanze nei confronti del debitore entro il termine di sei mesi.

Vi è, infine, la c.d. “clausola di sopravvivenza” (art. 8 dello schema) che dispone la permanenza dell’obbligazione fideiussoria anche “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide”.

Le clausole appena elencate chiaramente mirano ad addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero quelle derivanti dall’invalidità dell’obbligazione principale nonché dagli atti estintivi della stessa.

Sulla scorta del parere espresso dall’AGCM e dei risultati emersi dall’istruttoria condotta, la Banca d’Italia, con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, ha disposto che gli articoli indicati, ossia il n. 2, 6 e 8 contengono disposizioni che, in ordine all’elevato numero di banche aderenti all’ABI, finiscono per essere applicate in modo uniforme e porsi, così, in contrasto con le norme a tutela della concorrenza e del mercato (art. 2, comma 2, lettera a), L. n. 187/90)[iii].

Rilevato, dunque, il chiaro verificarsi di un illecito antitrust “a monte”, è sorta la questione di quali siano gli effetti che lo stesso produca sulle fideiussioni stipulate “a valle”.

3. I contrasti eterogenei della giurisprudenza

A seguito dell’accertamento della natura anticoncorrenziale da parte della Banca d’Italia ci si è posti il problema di individuare quale fosse la tutela più appropriata da assicurare in capo al garante nel caso di fideiussioni nelle quali siano state inserite le predette clausole.

In sostanza, si sono delineate tre diverse soluzioni: una protesa per un tipo di tutela “reale”, ossia finalizzata a giungere alla nullità totale del contratto a valle; un’altra meno rigida, protesa verso la nullità parziale di tale contratto, dunque, limitata alle clausole che riproducano le condizioni dell’intesa a monte ed infine un’ultima teoria incline ad una tutela esclusivamente risarcitoria.

La Prima Sezione Civile della Cassazione a causa del contraddittorio quadro giurisprudenziale che contornava la questione ha ritenuto doveroso, nonché necessario, rimettere la decisione alle Sezioni Unite affinchè pervenissero ad una soluzione univoca sul punto.

La sentenza delle Sezioni Unite in analisi, prima di affrontare il cuore della questione espone il panorama normativo fondante la materia e ripercorre ciascuno dei diversi orientamenti giurisprudenziali richiamati in precedenza.

In forza dell’art. 41 Cost., il quale sancisce che “L’iniziativa economica è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”, la Corte è giunta a ravvisare nella “concorrenza” tra impese una situazione di mercato che implica un’ampia libertà di accesso all’attività economica da parte degli imprenditori e una altrettanto estesa possibilità di libera scelta per gli acquirenti.

Orbene, la previsione costituzionale citata mira ad assicurare la possibilità per ciascuno di cogliere le migliori opportunità disponibili sul mercato, dalla quale ne è derivata, in pressoché tuti i Paesi occidentali, l’introduzione della disciplina antitrust che regola i rapporti tra imprenditori e consente un corretto svolgimento dei rapporti concorrenziali.

In Italia, in particolare, per consentire un corretto svolgimento dei rapporti concorrenziali e bilanciare le contrapposte esigenze di garanzia tra la libera esplicazione della iniziativa economica privata e la tutela dei consumatori, è stata emanata la legge antitrust n. 287/1990, il cui art. 2 considera vietate le intese che abbiano per effetto di “impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante[iv].

Nello stesso senso volge poi l’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, assicurando così anch’esso tutela contro gli accordi anticoncorrenziali a livello sovrannazionale.

Analizzando, inoltre, il variegato panorama giurisprudenziale sulla questione emergono svariate sentenze rilevanti della Cassazione.

Dapprima lo strumento risarcitorio in materia non era aperto alla legittimazione attiva dei c.d. “consumatori finali”, di conseguenza il privato, cliente della banca, che avesse stipulato un contratto di fideiussioni che riproduceva, il contenuto di un’intesa illecita, veniva ad essere escluso in radice dalla possibilità di proporre una qualsiasi forma di azione.

Altra pronuncia, invece, per estendere la legittimazione a far valere la nullità dell’intesa anche ai privati, non imprenditori, che avessero stipulato dei contratti “a valle”, ha, tuttavia, ristretto la tutela alla proponibilità della sola azione risarcitoria, escludendo in radice la tutela reale.

La svolta decisiva, grazie alla quale è stata conferita una maggiore tutela ai privati, vi è stata con la sentenza n. 2207/2005 delle Sezioni Unite, secondo la quale “la legge antitrust detta norme a tutela della liberà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia un interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo, al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un’intesa vietata[v].

Nel caso di specie la Corte non affronta direttamente la specifica problematica concernente il contratto stipulato a valle dell’intesa vietata, tuttavia, giunge a rilevare il “collegamento funzionale” tra i contratti a valle e la volontà anti-competitiva a monte la cui nullità non può che inficiare anche l’atto consequenziale (Cass. Sez. unite 2207/2005).

L’art. 2 della legge antitrust chiarisce che “sono considerati intese” una serie di comportamenti, come gli accordi, le pratiche concordate ed addirittura le deliberazioni di consorzi ed associazioni di imprese. Queste sono da considerarsi vietate nel caso in cui abbiano “per oggetto o per effetto di ridurre o falsare in modo consistente il gioco della concorrenza…“, dunque ove mirino ad eliminare o ridurre l’autonomia di mercato dei soggetti che le compiono. La norma si conclude, al n. 3, con la perentoria statuizione: “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto“.

Tanto premesso, dunque, il contratto cosiddetto “a valle” costituisce lo sbocco della intesa, ed è tale da eludere la possibilità di scelta da particolare del consumatore. In tal senso la previsione del risarcimento del danno sarebbe meramente retorica se si dovesse ignorare proprio lo strumento attraverso il quale i partecipi alla intesa realizzano il vantaggio che la legge intende inibire. Pertanto non vi sarebbe interesse ad una dichiarazione di nullità ai sensi dell’art. 33 della l. 287/1990, la cui ratio è di togliere alla volontà anticoncorrenziale “a monte” ogni funzione di copertura formale dei comportamenti “a valle”. E dunque di impedire il conseguimento del frutto della intesa consentendo anche nella prospettiva risarcitoria la eliminazione dei suoi affetti.

Si palesava chiaramente attraverso tale decisione l’intenzione giurisprudenziale di riconoscere la nullità complessiva totale, sia della intesa a monte (dichiarata dall’Autorità Garante), sia della successiva fideiussione a valle.

Secondo un’impostazione parzialmente diversa, invece, le fideiussioni riproduttive di clausole frutto di intesa anticoncorrenziale, sanzionata dalla Banca d’Italia, sarebbero nulle, ma non integralmente, bensì limitatamente a siffatte clausole. Si tratta della tesi della nullità parziale del contratto di fideiussione a valle. La Corte ha osservato che, “avendo l’Autorità amministrativa circoscritto l’accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali rese in attuazione di dette intese […], ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 e ss. cod.civ. e che possa trovare applicazione l’art. 1419 cod. civ., come avvenuto nel presente caso, laddove l’assetto degli interessi in gioca non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite” (cfr. Cass.civ, Sez. I, sent. n. 24022/2019)[vi].

Un terzo filone interpretativo, infine, persiste nel riconoscere, quale unica forma di tutela per il garante, il rimedio risarcitorio. Si osserva che, stante il generalizzato recepimento dello schema ABI, il cliente della banca, si troverebbe di fronte alla predisposizione di un modello contrattuale che non gli consente possibilità alternative, quindi, essendo la fideiussione perfettamente valida, non avrebbe altra scelta se non quella di proporre l’azione per il risarcimento dei danni.

Il modello di tutela offerto da tale interpretazione sarebbe riconducibile al dolo incidente disciplinato dall’art. 1440 c.c., secondo il quale “se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni”.

La mera soluzione risarcitoria, tuttavia, non convince per ragioni inerenti alle specifiche finalità della normativa antitrust, la quale mira a proteggere non solo l’interesse del singolo (che probabilmente sarebbe tutelato dal rimedio risarcimento nel caso in cui avesse subito un danno in concreto) ma principalmente l’interesse del mercato in senso oggettivo.

Il rimedio risarcitorio, infine, osserva la Corte, non ha “un’efficacia dissuasiva significativa per le imprese dal momento che non tutti i danneggiati agiscono in giudizio” e non tutti, soprattutto, riescono ad ottenere il risarcimento del danno.

4. La soluzione delle Sezioni Unite: la nullità parziale

Le Sezioni Unite chiaramente escludono l’idoneità della sola tutela risarcitoria poiché per assicurare il rispetto dell’interesse non solo del singolo, ma anche di tutti gli altri interessi coinvolti nella vicenda, come quello alla correttezza e alla trasparenza del mercato, deve ritenersi che, tra le diverse soluzioni individuate, quella che perviene a “risultati più in linea con le finalità e gli obiettivi della normativa antitrust sia la tesi che ravvisa nella fattispecie in esame un’ipotesi di nullità parziale[vii]”.

Alla luce del generale principio di “conservazione” del negozio, la Suprema Corte giunge a riconoscere la nullità limitatamente alle clausole oggetto di accertamento a meno che, ai sensi dell’art. 1419 c.c.[viii], l’interessato dimostri che “la porzione colpita da invalidità non ha un’esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpito da nullità”.

Tanto il legislatore comunitario quanto quello nazionale, preoccupati degli esiti nefasti che l’alterazione del libero gioco della concorrenza avrebbe prodotto, hanno inteso, attraverso la normativa antitrust, sanzionare con la nullità la distorsione della concorrenza stessa.

I contratti a valle costituiscono “lo sbocco dell’intesa vietata”, dunque, vengono ad essere inficiati dalla medesima forma di invalidità dei contratti a monte. L’ effetto anticoncorrenziale che la Banca d’Italia ha inteso sanzionare deriva dalla connessione “funzionale” tra il contenuto del contratto a monte e la riproduzione dello stesso nei contratti a valle. Considerando poi che “qualsiasi condotta di mercato”, anche non riconducibile allo schema negoziale può attuare una distorsione della concorrenza, la violazione della normativa nazionale ed euro unitaria antitrust è riscontrabile “in ogni caso in cui tra atto a monte e contratto a valle sussista un nesso che faccia apparire la connessione tra i due atti “funzionale” a produrre un effetto anticoncorrenziale.”

In particolare, è proprio la serialità della riproduzione dello schema adottato dall’ABI ad incidere negativamente sulla concorrenza e a causare l’erosione della libera scelta dei contraenti.

Secondo la Suprema Corte si è in presenza di una “nullità speciale” posta a presidio dell’ordine pubblico economico da cui ne consegue necessariamente che le fideiussioni, per cui è causa, restano pienamente valide ed efficaci, sebbene depurate dalle sole clausole riproduttive di quelle dichiarate nulle dalla Banca d’Italia poiché anticoncorrenziali.

Alla luce delle argomentazioni esposte le Sezioni Unite hanno rigettato il ricorso proposto da Italfondiario s.p.a. avverso la sentenza della Corte d’Appello e sono giunte ad affermare il seguente principio di diritto: “i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. A) della legge 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli art. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”.

La novità e la controvertibilità della questione giuridica trattata hanno indotto la Suprema Corte ad un’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

In tal guisa, l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, che, al pari dell’abuso del diritto, deve essere selezionato e rivisitato alla luce dell’avvenuta costituzionalizzazione, nonché della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva, i due principi si integrano a vicenda, ovverosia: la buona fede costituisce un canone generale cui ancorare la condotta delle parti di un rapporto privatistico, nonché l’interpretazione degli atti giuridici realizzati e posti in essere nell’ambito dell’autonomia privata; simmetricamente, l’abuso del diritto prospetta, invece, la necessità di una correlazione tra i poteri (normativamente) conferiti e lo scopo per cui sono stati conferiti. Di talché, qualora la finalità perseguita non sia identificabile con quella consentita dall’ordinamento, si sostanzierà un abuso

5. Conclusioni

A seguito della pronuncia in analisi, data la notevole diffusione dello schema ABI, vi sono stati numerosi casi in cui il cliente bancario ha sollevato l’eccezione di nullità delle clausole di contratti di fidejussione rilasciati alla banca, le quali riproducevano esattamente quelle (n. 2, 6, 8) dello schema contrattuale vietato. Per tutta risposta, la giurisprudenza di merito successiva ha di frequente rigettato l’eccezione sollevata, nella specie, nei casi in cui la parte non avesse prodotto in giudizio lo schema ABI. Essendo quest’ultimo, infatti, un atto amministrativo è stato escluso dai giudici dall’ambito di operatività del noto principio “iura novit curia”, il quale “eleva a dovere del giudice la ricerca del diritto” e  “si riferisce alle vere e proprie fonti di diritto oggettivo, cioè a quei precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità, dovendosi escludere dall’ambito della sua operatività sia i precetti aventi carattere normativo, ma non anche giuridico (come le regole della morale o del costume), sia quelli aventi carattere giuridico, ma non normativo (come gli atti di autonomia privata o gli atti amministrativi[ix])”.

Tale assunto, tuttavia, non convince dal momento che l’art. 115, al co. 3 c.p.c. espressamente prevede che il giudice possa “porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”. Alla luce dell’ampia diffusione dello schema ABI certamente non può negarsi il fatto che lo stesso sia, pertanto, un fatto noto che rientri nella comune esperienza.

A ciò si aggiunga, inoltre, che la sentenza di cui trattasi ha minuziosamente riprodotto gli articoli dello schema ABI dichiarati nulli, dunque, tramite la semplice lettura della pronuncia il giudice potrebbe agevolmente constatare l’esatta riproduzione delle clausole vietate. Tale verifica, infatti, grazie alla minuzia adoperata dalle Sezioni Unite nel trascrivere interamente il testo degli articoli in analisi, permetterebbe agevolmente il giudice di consultare lo schema predisposto dall’ABI dalla mera lettura della sentenza, senza alcuna necessità di onerare la parte processuale di produrre in giudizio lo stesso.

In conclusione, occorre ribadire un principio richiamato espressamente dalla Suprema Corte dinnanzi al quale l’eccezione di nullità non può che trovare accoglimento da parte dell’organo giudicante, ovvero la rilevabilità d’ufficio di tale nullità”, sempre alla luce di un superiore interesse pubblico al corretto funzionamento del mercato.

In presenza di una giurisprudenza particolarmente frammentata tra numerosi e contrastanti orientamenti, la soluzione univoca fornita dalla Corte a Sezioni Unite è stata a dir poco illuminante. Difronte alle controverse soluzioni offerte in precedenza dalle singole Sezioni della Corte di Cassazione, i principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza in commento hanno avuto il merito di offrire una soluzione univoca adatta al soddisfacimento concreto della totalità della clientela bancaria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note e riferimenti bibliografici
[i] Art 1957 c.c. “Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate. La disposizione si applica anche al caso in cui il fideiussore ha espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell’obbligazione principale. In questo caso però l’istanza contro il debitore deve essere proposta entro due mesi. L’istanza proposta contro il debitore interrompe la prescrizione anche nei confronti del fideiussore”.
[ii] Provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 “ABI – Condizioni generali di contratto per la Fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie” in www.bancaditalia.it
[iii]ABI: condizioni generali di contratto per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”, provvedimento n. 14251 in www.agcm.it
[iv] Art 2, L. 287/1990 “1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari. 2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali; b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l’oggetto dei contratti stessi. 3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”.
[v] Cass. Civ., S.U. sent. n. 2207 del 2005
[vi] Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 24022 del 2019
[vii] Cass. Civ., S.U., sent. n. 41994 del 2021
[viii] Art. 1419 c.c. “La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità.La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative”.
[ix]  Cass. Civ., sent. 7469 del 2020

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