Figli, l’impugnazione del riconoscimento consapevolmente falso
Con l’introduzione dell’art. 315 c.c., ad opera della l. n. 219/2012, tutti i figli hanno attualmente lo stesso stato giuridico.
Attraverso l’emanazione di tale norma, il legislatore italiano ha così superato la tradizionale distinzione prevista in passato nell’ambito del c.d. status filiationis, la quale attribuiva rilevanza al momento in cui il figlio fosse nato o concepito, subordinando il riconoscimento dello status di figlio legittimo al fatto che la nascita o comunque il concepimento fossero avvenuti durante il matrimonio.
Già con la fondamentale riforma del diritto di famiglia avvenuta nel 1975, in realtà, si era provveduto a realizzare una tendenziale equiparazione, dal punto di vista dei diritti, tra figli legittimi e figli naturali, rimanendo tuttavia evidente il favore legislativo verso la filiazione legittima.
Tale soluzione era confortata dall’art. 30 della Carta fondamentale, il quale assicura ai figli nati fuori del matrimonio tutela giuridica e sociale compatibilmente con i diritti dei membri della famiglia legittima.
Solo con la legittimazione, infatti, il figlio naturale acquisiva uno status del tutto identico a quello del figlio legittimo.
La previsione di un differente regime normativo a seconda della categoria di figli considerata, tuttavia, strideva fortemente con il principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, nonché con gli obblighi di non discriminazione assunti dallo Stato italiano in sede internazionale, come per esempio quelli derivanti dalla CEDU.
Proprio sulla base di tali contraddizioni, il legislatore nazionale è pervenuto al riconoscimento di un unico status filiationis, escludendo qualsiasi rilevanza giuridica alla distinzione tra figli legittimi e figli naturali ed abrogando l’istituto della legittimazione, pervenendo così ad attribuire, a prescindere dal momento in cui questi fossero nati o concepiti, i medesimi diritti e doveri a tutti i figli.
Il concepimento o la nascita del figlio in costanza di matrimonio, insieme con la presunzione di paternità di cui all’art. 231 c.c., continuano tuttavia a conservare una certa rilevanza ai fini dell’attribuzione dello status di figlio, consentendo la formazione dell’atto di nascita quale figlio matrimoniale, con conseguente automatica attribuzione dello stato di figlio nato nel matrimonio.
Al contrario, nel caso in cui la nascita (ovvero il concepimento) del figlio avvengano fuori dal matrimonio, l’acquisizione dello status filiationis rimane subordinata al compimento di un atto di riconoscimento da parte di uno o di entrambi i genitori, ovvero all’esercizio dell’azione di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale.
In altre parole, si osserva, il riconoscimento del medesimo status giuridico a tutti i figli non comporta anche l’equiparazione dei criteri attributivi del medesimo, posto che per il figlio nato o concepito durante il matrimonio si assiste all’automatica formazione del relativo titolo di stato, mentre per quelli nati o concepiti fuori dal matrimonio la formazione del corrispondente titolo è lasciata all’iniziativa dei genitori, ai quali è fatto onere di provvedere al riconoscimento.
Come previsto dall’art. 250 c.c., in particolare, il riconoscimento del figlio nato o concepito fuori dal matrimonio può essere effettuato, da parte di uno o di entrambi i genitori, nell’atto di nascita oppure con un’apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile ovvero in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo.
Ai sensi dell’art. 263 c.c., il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dal suo autore, da colui il quale è stato riconosciuto o da chiunque vi abbia interesse.
A seguito delle recenti modifiche apportate alla norma dal d.lgs. n. 154/13, l’azione rimane imprescrittibile solo con riguardo al figlio, mentre specifici termini di impugnazione, decorrenti dall’annotazione del riconoscimento nell’atto di nascita, sono previsti per l’autore del riconoscimento e per gli altri interessati.
Ad oggi, dunque, qualora l’autore del riconoscimento o il terzo interessato non si attivino tempestivamente nell’impugnazione dell’atto ed il figlio non ritenga di contestarne la veridicità, il decorso del tempo renderà incontestabile l’assetto dei rapporti, anche eventualmente in conflitto con la verità biologica della procreazione.
Secondo quanto specificatamente osservato dalla giurisprudenza, il legislatore della riforma ha così realizzato un contemperamento di interessi potenzialmente confliggenti, dimostrando di voler conservare l’impostazione originaria della norma, per la quale la legittimazione all’esercizio dell’azione di impugnazione si fonda esclusivamente sul dato obiettivo della mancanza del vincolo biologico di filiazione, senza che possa invece assumere alcuna rilevanza lo stato soggettivo in cui si trova l’autore del riconoscimento.
La norma, d’altronde, prevedendo che il termine di impugnazione del riconoscimento debba decorrere, per il suo autore, dal giorno in cui lo stesso ha avuto conoscenza della propria impotenza, ignorata al tempo del concepimento, allude all’ignoranza dell’autore del riconoscimento, quale stato soggettivo rilevante, ai soli e limitati fini del differimento del dies a quo dell’impugnazione.
Sulla base di quanto affermato, dunque, deve ritenersi che tra i soggetti legittimati all’impugnazione vi sia certamente anche l’autore del riconoscimento consapevolmente falso, stante la necessità di far prevalere in tale ambito il favor veritatis, ovvero l’esigenza che lo status formale corrisponda alla realtà fattuale, a prescindere dalle condizioni soggettive in cui si trova l’autore del riconoscimento.
Minoritaria è invece l’interpretazione soggettivistica, per la quale sarebbe invece preclusa a chi riconosce in malafede la possibilità di procedere all’impugnazione del relativo atto, stante la presunta coincidenza di tale impugnazione con una non consentita “revoca” del riconoscimento.
Tale impostazione, in realtà, non coglie le evidenti differenze tra l’impugnazione e la revoca: mentre la revoca è infatti un atto privato dal quale deriva il venir meno dell’atto per mera volontà di parte, l’impugnazione ex art. 263 c.c. postula invece l’intervento dell’autorità giudiziaria e la dimostrazione da parte dell’attore del vizio che concerne il riconoscimento.
Tanto premesso, secondo alcuni l’accoglimento della concezione oggettivistica comporterebbe però evidenti incongruenze rispetto a quanto previsto dall’art. 9 della l. n. 40/04 in materia di tecniche di procreazione medicalmente assistite di tipo eterologo, tanto da porsi in contrasto con il principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione.
Secondo quanto previsto dalla normativa specialistica, in particolare, qualora la coppia ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in assenza di malattie genetiche trasmissibili rispondenti a specifici criteri di gravità, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità né impugnare l’avvenuto riconoscimento.
La fattispecie, si osserva, presenta evidenti analogie con quella di cui all’art. 263 c.c.: in entrambi i casi, infatti, vi è la consapevolezza di non essere il padre biologico del riconosciuto e la volontà di assumere la paternità e la responsabilità, quale genitore, di un figlio non proprio, nonché la sussistenza di un atto consapevole e contrario alla legge alla base del riconoscimento, compiuto in violazione dell’art. 567 c.p. nel caso del riconoscimento per compiacenza, o posto in essere in pregiudizio del divieto di praticare tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, nell’ipotesi di cui all’art. 9 l. n. 40/04.
Nonostante le similitudini indicate, però, diversa è la disciplina applicata: nel primo caso ammissiva, mentre nel secondo preclusiva.
Intervenuta sulla questione, la Consulta respinge le censure di incostituzionalità sulla base di una serie di argomentazioni, evidenziando le differenze che intercorrono tra le due fattispecie poste in raffronto, le quali giustificano l’applicazione di una diversa disciplina.
In primo luogo, rilevante è il diverso ruolo che assolve la volontà delle parti: nella fattispecie di cui alla l. n. 40/04, infatti, l’elemento volontaristico assume certamente maggiore pregnanza, portando alla nascita di una persona che altrimenti non sarebbe nata; l’atto di riconoscimento, al contrario, si esprime con riguardo ad una persona già nata.
D’altra parte, afferma la Corte, diversi sarebbero gli effetti derivanti dall’eventuale caducazione del riconoscimento: nell’ipotesi di cui all’art. 263 c.c., infatti, l’impugnazione di esso e il conseguente accertamento della realtà fattuale consentirebbero al concepito di rivolgersi al soggetto responsabile, ex art. 316 c.c., della sua esistenza, ovvero il genitore biologico; nella fattispecie di cui all’art. 9 l. n. 40/04 tale possibilità sarebbe invece preclusa per il concepito, il quale non potrebbe confidare su di un genitore biologico, considerando che tale non potrebbe essere di certo il donatore di gameti, il quale per espressa previsione legislativa non acquisisce alcuna relazione parentale con il nato e non può pertanto far valere nei confronti di questo alcun diritto né essere titolare di obblighi, rimanendo inoltre anonimo.
Secondo la Consulta, infine, non è comparabile nemmeno il contesto: mentre le tecniche di procreazione assistita si svolgono in un contesto caratterizzato dalla presenza di professionisti sanitari, infatti, i falsi riconoscimenti costituiscono sovente l’attuazione di scopi elusivi della disciplina positiva.
Per la Corte, dunque, è attraverso l’analisi della fattispecie concreta che deve essere adeguatamente valorizzato, da parte del giudice, l’interesse del figlio a conservare lo status filiationis acquisto a seguito del falso riconoscimento.
In conclusione, osserva il Collegio, in presenza di un’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità da parte del suo autore, fin dalle origini consapevole della sua falsità, spetta all’autorità giudiziaria procedere a valutarne la legittimazione ad agire, considerando le circostanze del caso concreto, quali il legame del soggetto riconosciuto con l’altro genitore, la durata del rapporto di filiazione, la possibilità di instaurare il rapporto di filiazione con il genitore biologico ovvero l’idoneità dell’autore del riconoscimento allo svolgimento del ruolo di genitore.
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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo.
L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile.
Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale.
Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori.
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