Figli maggiorenni: quando dire addio al mantenimento
L’Italia di oggi è una Repubblica fondata su… le spalle di mamme, papà e, per chi li ha ancora, anche di nonne e nonni.
Il Tribunale di Milano, con un’ordinanza innovativa del 29 marzo 2016, sembra aver voluto porre un freno a questo inesorabile fenomeno che, da tempo, occupa le aule di Tribunale, soprattutto quando i figli si trovano in mezzo a genitori separati.
L’ordinanza in oggetto ha stabilito che l’obbligo dei genitori di mantenere i figli maggiorenni ma non economicamente autosufficienti cessa al compimento dei 34 anni, età in cui il Tribunale ha sancito che “lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non – può – più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, dovendosi ritenere che, da quel momento in poi, il figlio stesso possa, semmai, avanzare le pretese riconosciute all’adulto”; “il figlio maggiorenne, anche se non indipendente, raggiunge comunque una sua dimensione di vita autonoma che lo rende, semmai, meritevole dei diritti ex art. 433 c.c. ma non può più essere trattato come ‘figlio’, bensì come adulto”.
Il Tribunale milanese sulla scorta del più consolidato orientamento giurisprudenziale ha ritenuto che il figlio, raggiunta la maggiore età, non può pretendere senza limiti di tempo la protrazione del mantenimento da parte dei genitori, poiché l’obbligo in capo a quest’ultimi persiste fino al completamento di un percorso formativo o progetto educativo, oltre il quale il figlio deve attivarsi per cercare un’occupazione.
D’altronde, la ratio legis dell’obbligo di mantenimento dei figli da parte dei genitori sancito, in primis, dall’art. 30 della Costituzione e richiamato agli artt. 147 e 148 del codice civile consiste non soltanto in un obbligo di cura da parte di genitori, ma, altresì, nel dovere di promuovere lo sviluppo sociale, culturale e professionale della prole.
Siffatta interpretazione, nel corso del tempo, ha portato la giurisprudenza di merito e di legittimità a ritenere che l’obbligo di mantenimento dei figli non cessa “ipso facto” al raggiungimento della maggiore età da parte di quest’ultimi, essendo necessaria la prova che il figlio divenuto maggiorenne, abbia anche raggiunto un’indipendenza economica, ovvero il mancato svolgimento di un’attività lavorativa sia dovuto a cause allo stesso imputabili (Cass. Sent. N. 24424/2013).
Il problema con il quale la giurisprudenza si è sempre dovuta confrontare attiene proprio alla mancanza di una norma che limiti l’obbligo del mantenimento dei figli maggiorenni con la previsione di un termine massimo per il riconoscimento del mantenimento anche ai figli “più che maggiorenni”.
Ne è conseguito che i giudici hanno di volta in volta previsto limiti temporali diversi tra loro, a seconda dei casi sottoposti alla loro attenzione, creando due criteri di ordine generale ai cui ispirarsi.
Tali criteri sono stai individuati nel “raggiungimento dell’autosufficienza economica” nonché nel” mancato esercizio di un’attività lavorativa per inerzia del figlio”.
Sebbene con l’introduzione di tali principi si è tentato di porre fine alla questione, di fatto il problema è rimasto irrisolto, poiché è stato lasciato un ampio margine di discrezionalità ai Tribunali nel decidere i limiti temporali per il riconoscimento del mantenimento ai figli maggiorenni, venendosi a creare una diversità di risultati.
Cosicché, il Tribunale di Milano ha voluto prospettare un’unica soluzione, individuando il limite dei 34 anni di età.
Un così netto limite, però, rischia di non riuscire a prestare tutela a situazioni che, invece, per la presenza di alcune circostanze, risulterebbero meritevoli.
Così ad esempio, il limite dei 34 anni di età potrà risultare congruo ed adeguato per quei giovani che al compimento della maggiore hanno deciso sin da subito di cercare un’occupazione, ma non potrà risultare adeguato per quei giovani che hanno trovato un’attività lavorativa “a tempo determinato”, non permettendo loro di potersi definitivamente slegare dal contributo economico dei genitori. Ciò vale anche per chi ha deciso di intraprendere un percorso di formazione universitaria di tre o cinque anni, che presuppone un lasso di tempo maggiore per inserirsi nel mondo del lavoro.
Vero è che a 34 anni anche chi ha intrapreso un percorso più lungo dovrebbe essere in grado di aver raggiunto una propria indipendenza economica e che, in extrema ratio, il figlio benché adulto potrà aver diritto ai sensi dell’art. 433 del codice civile agli alimenti da parte del genitore, ma, altrettanto vero è che non tutte le situazioni si sviluppano in maniera uguale, potendovi essere casi in cui, anche a 34 anni i figli, a causa di determinate circostanze non dipendenti dalla loro inerzia o incapacità, potrebbero aver bisogno di un aiuto economico da parte dei genitori che permetta loro di realizzarsi.
Dunque, sebbene la decisione del Tribunale di Milano sembra da condividersi sotto l’aspetto dell’intenzione di volere porre fine al fenomeno dei cosiddetti “bamboccioni”, il criterio-limite dei 34 anni sembra risultare troppo rigido, rispetto alla moltitudine di situazioni con cui i giudici devono confrontarsi.
In conclusione, in assenza di una norma, invero auspicabile, che disciplini dettagliatamente la questione, si ritiene di poter affermare, nonostante l’esaminato pronunciamento, la persistente necessità di valutare caso per caso, alla luce degli affermati principi dell’indipendenza economica del figlio maggiorenne o del mancato raggiungimento economico per negligenza o colpa grave del medesimo, non incatenando la questione ad un limite temporale che sembri non essere idoneo a risolvere le vicende personali di ogni giovane che tenta di farsi spazio nel mondo lavorativo e professionale.
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Vittoria Sortino
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