Fingere amore per denaro? E’ reato di truffa

Fingere amore per denaro? E’ reato di truffa

Passai accanto a 200 persone e non riuscii a vedere un solo essere umano”  —  Charles Bukowski

Psicologismi d’accatto e fantasiose proposte d’affari  bisogna sempre strillarli un po’, almeno per  evitare il ridicolo.

Chiara nella sentenza della Cassazione penale, sez. II, sent. n.  06/06/2019 n° 25165, la disamina della fattispecie di cui all’art. 640 c.p. che conduce ad  esprimere il seguente principio  di diritto:“Per ricostruire l’elemento oggettivo del reato, si deve tener presente la concatenazione delle note modali della condotta truffaldina e dei conseguenti eventi, nella sequenza indicata dal legislatore artifizi o raggiri – induzione in errore – atto dispositivo – danno patrimoniale e profitto ingiusto, sottolineando in particolare che, ai fini della individuazione della condotta truffaldina, occorre accertare l’idoneità ingannatoria degli artifizi o raggiri ed il nesso causale tra l’inganno e l’errore della vittima la quale, incisa nella sua sfera volitiva da falsi motivi, si determina ad una certa scelta patrimoniale che altrimenti non avrebbe effettuato”.

Un fatto  legato alla vicenda processuale suscita, inoltre, particolare attenzione.

Preciserà  la Corte di Cassazione “Ci si trova dinanzi ad una “doppia conforme” e cioè doppia pronuncia di eguale segno (nel nostro caso, di condanna) per cui il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Sez. 2, 7986, rv. 269217; Sez. 4, n. 5615/2013, Rv. 258432; Sez. 4060/2013, Rv. 258438: Sez, 4 n. 19710/2009, Rv. 243636)”.

Ora,  indugiare sulla rigorosa applicazione del  citato principio più volte enunciato a chiare lettere dalla Suprema Corte è impresa ardua, una nuova avventurosa ricerca del vello d’oro.

Euripide, e molto più tardi Catullo e Valerio Flacco, raccontano della leggendaria nave Argo su cui, una generazione prima della guerra di Troia,  Giasone e compagni intrapresero la loro avventurosa navigazione alla ricerca del vello d’ oro.

A noi manca la nave Argo e ci sforziamo per credere  al racconto degli incostanti flutti.

La vicenda. F.M.  è stato processato “ per  avere con artifizi e raggiri, consistiti nell’avviare una relazione sentimentale con la p.o. (di molto più grande di lui), nel proporle falsamente l’acquisto in comproprietà di diversi appartamenti consegnandole anche fotografie, nel richiederle prestiti, proponendole la cointestazione di quote societarie, indotto in errore la S.G. circa l’effettivo acquisto dell’immobile e sulla situazione economica della propria società facendosi consegnare ingenti somme di denaro, in tal modo procurandosi un ingiusto profitto con pari danno per la p.o”.

A quanto pare, si era instaurata fra i due quella tipica relazione che fa scattare nel maschio la voglia di avere tutta per sé, per conto  suo e a modo suo,  non già la donna, se ne trovano tante,  ma il suo singolare patrimonio.

Voleva, tuttavia,  essere redento da  bravo signore seppure  con  una missione da compiere:  incrementare gli utili. I suoi.

Così, con sentenza del 11/12/2015 la Corte d’ appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Bergamo del 7/4/2016 con la quale F.M. è stato condannato alla pena di anni due, mesi sei di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa in ordine al delitto di truffa aggravata, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile S.G.

Il ricorso per cassazione. Tre i motivi di ricorso che,  affacciati sull’abisso delle cascate della Suprema Corte, crollano tra le  ripide e rapide argomentazioni della sentenza  per  infrangersi e distruggersi  nei gorghi dello strapiombo del rigetto del ricorso per infondatezza dei motivi.

In particolare il ricorrente rileva quanto segue.

F.M.  deduce il vizio di violazione di legge penale (art. 606 c.p.p., lett. b), sostenendo che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto integrato il reato di truffa pur in assenza di un’attività ingannatoria, posto che egli si sarebbe limitato a ricevere prestiti volontariamente elargiti dalla p.o. e che a nulla rileverebbe l’inganno circa i sentimenti provati nei confronti della donna.

Al fine di dimostrare la bontà della propria tesi, si legge in sentenza, il ricorrente ha richiamato una pronuncia del Tribunale di Milano del 14/7/2015 che la Corte d’appello avrebbe ignorato e che, a suo dire, escluderebbe la rilevanza penale del fatto allorquando vi sia un’attività ingannatoria sui sentimenti nutriti dall’agente verso la p.o. dovendosi accertare che la volontà ingannatoria fosse presente sin dall’inizio e dovendosi altresì provare il rapporto consequenziale tra errore e atto di disposizione patrimoniale“.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., lett. e) avendo il giudice di appello, recepito le conclusioni del primo giudice senza procedere ad un’autonoma valutazione del materiale probatorio (in particolare dichiarazioni della p.o.) che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, escluderebbe che la p.o. fosse stata indotta ad effettuare le disposizioni patrimoniali perché convinta dei sentimenti amorosi nutriti verso di lei da F.M, quanto piuttosto spinta da altre motivazioni, riporta a tal proposito dichiarazioni dell’imputato e il contenuto di un e-mail, dimostrativi delle reali intenzioni della donna.

Con il terzo e quarto motivo il ricorrente censura la motivazione in merito al trattamento sanzionatorio avendo riguardo all’eccessività della pena ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

La decisione. Lo scroscio gigantesco dei principi enunciati dalla Suprema Corte è complesso e comprime gli spazi teatrali della vicenda.

Sottolineano i Giudici del Palazzaccio che la Corte d’appello ha correttamente sottolineato che la condotta del ricorrente era consistita non (solo) nel simulare sentimenti d’amore, ma nel coordinare la menzogna circa i propri sentimenti con ulteriori e specifici elementi (il progetto di vita in comune, l’investimento societario) idonei, insieme ad essa, ad avvolgere la psiche del soggetto passivo in modo da assumere l’aspetto della verità ed a trarre in errore (pag 8 della sentenza impugnata).

Tale decisione appare corretta in diritto. In casi del genere la truffa si apprezza perché la menzogna circa i propri sentimenti è intonata con tutta una situazione atta a far scambiare il falso con il vero operando sulla psiche del soggetto passivo.

Prosegue la Corte.

Va detto infatti che gli artifici – intesi come manipolazione esterna della realtà provocata mediante la simulazione di circostanze inesistenti o, per contro, mediante la dissimulazione di circostanze esistenti – o il raggiro consistente in una attività simulatrice, sostenuta da parole o argomentazioni atte a far scambiare il falso con il vero, sono entrambi mezzi per creare un erroneo convincimento passando il primo attraverso il camuffamento della realtà esterna ed operando il secondo direttamente sulla psiche del soggetto. E La giurisprudenza di legittimità ha sempre evidenziato che l’idoneità dell’artificio e del raggiro deve essere valutata in concreto, ossia con riferimento diretto alla particolare situazione in cui è avvenuto il fatto ed alle modalità esecutive dello stesso, e che l’idoneità degli artifici e raggiri risulta dalla verifica della sussistenza del nesso causale tra azione ed evento, mentre non ha rilievo la asserita mancanza di diligenza, di controllo e di verifica da parte della persona offesa essendo sufficiente, per l’esistenza del reato, accertare che l’errore in cui, è caduta la vittima sia stato conseguenza di detti artifici o raggiri (Sez. 2, n. 55180/2018, Rv. 274299).

E’ costante principio di legittimità che qualora sia stato accertato il nesso di causalità tra l’artificio o il raggiro e l’altrui induzione in errore non è necessario verificare l’idoneità in astratto dei mezzi usati quando in concreto questi si sono rivelati idonei a trarre in errore (Sez. 2, n. 42941/2014, Rv. 260476; Sez. 2, Sentenza n. 42867 del 20/06/2017, Rv. 271241; Sez. 5 n. 11441/ 1999, rv. 214868; Sez. 1 n. 16264/1990, v. 185974).

Nel caso di specie la Corte territoriale ha dato atto della menzogna dell’imputato sia in relazione ai sentimenti provati, sia in concreto in relazione al proposito di vita in comune, elementi che, complessivamente considerati e riprodotti nel tempo, ingenerarono nella p.o. la falsa convinzione circa l’effettiva realizzazione di quel progetto di vita sul quale si innestarono le disposizioni patrimoniali frutto, appunto, di tale indotto, erroneo convincimento.

Nè può trovare ingresso, bacchetta la Suprema Corte,  il secondo motivo di ricorso che apertamente disvela la propria manifesta infondatezza laddove sollecita la Corte ad una più completa e corretta valutazione delle risultanze fornite dal materiale probatorio acquisito, dovendosi ribadire che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere “reinterpretato” fuori del contesto in cui è inserito e gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al “merito” e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa. Sicchè restano inammissibili le censure che, analogamente a quelle prospettate nel presente ricorso, sono nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio: nel caso di specie una valutazione del significato di quanto riferito dalla p.o. e dall’imputato e del contenuto dell’e – mail del 29/7/2013, diversa rispetto a quella, pure assolutamente ragionevole e plausibile, illustrata dai giudici del merito (Sez. 5. 8094/2007, rv. 236540; Sez. 2, n. 7986/2016, Rv. 269217).

Parimenti generiche sono state considerate le doglianze difensive relative alla dosimetria della pena di cui ai punti terzo e quarto del ricorso.

Qui tutto finisce per il ricorrente.


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