Focus sul reato di diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti. Revenge Porn, scandalo Telegram 2020

Focus sul reato di diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti. Revenge Porn, scandalo Telegram 2020

In questi difficili giorni, torna ad animare lo scenario sociale e giuridico una problematica molto preoccupante, legata all’uso improprio dei social network.

Recentemente infatti, è stata riscoperta l’esistenza di un canale di messaggistica istantanea e broadcasting, nello specifico Telegram, utilizzato tuttavia in maniera impropria.

Attraverso suddetta app è possibile la trasmissione diretta di audio, foto e video verso i membri che si uniscono alla medesima chat di interesse.

Nei giorni scorsi è emerso un dato tanto inquietante quanto sconcertante sull’utilizzo dell’app in questione, di cui usufruiscono ad oggi circa 40.000 persone.

Sono stati spiacevolmente accertati l’esistenza ed il contenuto di uno specifico canale, covo di soggetti virtualmente riuniti al fine di scambiare reciprocamente e diffonde materiale a contenuto esplicito, segnatamente pornografico o pedopornografico.

La chat all’interno della quale migliaia di persone, ogni giorno,pongono in scena il rito collettivo dello “stupro virtuale” di gruppo pullula di foto di ex compagne, fidanzate, mogli, ma anche di contenuti espliciti aventi quali protagonisti soggetti minori di età.

Il tutto è posto in essere all’interno di uno spazio virtuale online, dunque accessibile a chiunque possa  rovinare una vita per sempre attraverso una becera “vendetta”.

Scavando nello spazio ospitato dal servizio di messaggistica dell’app in questione è addirittura possibile reperire  numeri di cellulare e recapiti di account social delle vittime, divulgati ad opera di soggetti che richiedono esplicitamente agli utenti di “rendere la vita impossibile” alle ex partner, ad esempio, possibilmente inviando loro gli stessi scatti intimi di cui hanno perso definitivamente il controllo e minando la serenità delle medesime.

Una spirale alquanto perversa, che culmina in alcuni casi nella pubblicazione di materiale pedopornografico: video di minori  destinati a diventare oggetto di trattativa privata.

Nelle ultime ore il caso è giunto all’attenzione degli utenti di tutto il mondo ed ha puntato i riflettori su una fattispecie di reato di recente introduzione all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, in forza del fatto che l’utilizzo in tal senso di Telegram importa delle condotte penalmente rilevanti.

Nonostante le condotte perpetrate dagli utenti delle chat di cui sopra siano le più svariate e per questo  necessitino di accurata disamina al fine di poter esser sussunte all’interno di una determinata fattispecie di reato, meritevole di attenzione è certamente la condotta punibile ai sensi del disposto di cui all’art. 612 ter c.p.

Si tratta di uno strumento giuridico  molto prezioso, che concretizza la necessità di tutelare le vittime di violenza in rete.

Di fatti, il disposto di cui al citato articolo di legge, innalza a partire dal 9 agosto del 2019, il comportamento che di seguito sarà oggetto di disamina a fatto costituente reato.

Il 2 aprile 2019 la Camera dei Deputati ha approvato, nell’ambito del d.d.l. recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, l’emendamento che ha introdotto nel corpo del codice penale l’art. 612-ter sul c.d. revenge porn, l’odiosa e tristemente diffusa pratica consistente nel vendicarsi dell’ex partner diffondendo, spesso via internet, materiale pornografico che lo ritrae.

Il delitto è stato introdotto al fine di contrastare la spregevole attitudine alla diffusione di foto e video hard realizzati con il consenso del soggetto ritratto nei medesimi documenti, che vengono però spiacevolmente diffusi, senza nessuna autorizzazione del soggetto rappresentato, ledendo dunque la privacy, la reputazione e la dignità della vittima medesima.

La collocazione sistematica dell’art. 612ter all’interno del titolo XII, sezione III, dei delitti contro la libertà morale, suggerisce che il bene giuridico tutelato sia, in primis, la libertà di autodeterminazione dell’individuo.

Tuttavia la fattispecie in esame è da considerarsi verosimilmente plurioffensiva, in quanto tutela altresì l’onore, il decoro, la reputazione e la privacy, nonché il c.d. “onore sessuale” della singola persona, attinente alla sfera intima e alla reputazione di cui ella gode.

Di tutta evidenza, poi, la continuità ideologica con cui si pone rispetto al delitto di atti persecutori ex art. 612- bis, nell’ottica di contrastare in maniera più efficace la violenza, anche di matrice morale, perpetrata nei confronti delle donne.

Il primo comma dell’articolo 612 ter c.p. punisce chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate negli stessi.

La condotta materiale è dunque descritta con metodo molto analitico, essendo tipiche le modalità di estrinsecazione del reato, restando quindi esclusa la mera detenzione del materiale ad uso personale.

Trattasi di reato comune, il cui soggetto attivo del reato non è necessariamente l’autore materiale delle riprese o degli scatti, essendo ricompresa nella fattispecie anche l’ipotesi di sottrazione e successiva divulgazione.

È bene specificare a tal proposito che per “sottrazione” non può che intendersi quella compiuta con metodo violento o fraudolento, restando esclusa dal primo comma l’ipotesi in cui sia lo stesso soggetto passivo a cedere volontariamente il materiale all’agente, eventualità che, stando ad una prima lettura della norma, rientrerebbe nell’alveo del secondo comma.

Ai fini della sussistenza del reato, il fatto deve essere commesso “senza il consenso delle persone rappresentate”.

Il secondo comma punisce con le stesse sanzioni le condotte di invio, consegna, cessione, diffusione o pubblicazione delle immagini o dei video di cui sopra da parte di chi li ha a sua volta ricevuti o comunque acquisiti. Rileva dunque il dolo specifico del fine di recare nocumento alle persone rappresentate.

Il terzo comma inasprisce le sanzioni nel caso in cui l’autore del reato sia il coniuge, anche separato o divorziato, della persona offesa o soggetto che è o è stato ad essa legato da relazione affettiva, ovvero se i fatti sono commessi mediante strumenti informatici o telematici (c.d. aggravante social).

Il quarto comma sancisce che “la pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza”.

Il quinto ed ultimo comma della disposizione in esame ricalca sostanzialmente l’ultimo comma dell’art. 612-bis, prevedendo un termine maggiore per la proposizione di querela, nonché sei mesi, l’irrevocabilità della querela se non in sede processuale, nonché la procedibilità d’ufficio nei casi di cui al quarto comma o quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si debba procedere d’ufficio.

Il fenomeno del revenge porn è indissolubilmente legato a quello del sexting, nonché alla condotta che si concreta nello scambio di contenuti sessualmente espliciti attraverso smartphone e computer, comportamento spiacevolmente molto in voga soprattutto tra gli adolescenti.

Il sexting è un fenomeno essenzialmente  basato sulla libera volontà delle parti di scambiarsi messaggi caratterizzati da un determinato contenuto e non costituisce un illecito.

Circostanza ben differente e sicuramente giuridicamente rilevante, quella per la quale il contenuto sessualmente esplicito venga invece divulgato a terzi senza il consenso del soggetto ritratto nel medesimo, in questa ipotesi si configura il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti o revenge porn.

Soggetto autore del reato di cui sopra è chi essendo in possesso dei contenuti sessualmente espliciti, li diffonde, pubblica o cede in modo indebito, vale a dire senza il consenso delle persone ritratte oppure i terzi che ne hanno la disponibilità perché il contenuto è stato messo in circolazione.

La legge punisce la diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti, sottoponendo alla stessa pena sia chi ha diffuso il materiale perché lo aveva realizzato, (ad esempio il fidanzato che scatta alcune foto alla fidanzata e poi le pubblica), sia chi entrato in possesso dei contenuti, contribuisca alla loro diffusione.

Non può esser identificato quale autore del reato ex art. 612 ter c.p. il soggetto rappresentato nel documento a contenuto esplicito che abbia originariamente e liberamente inviato il file che lo ritrae ad altro soggetto e quest’ultimo però, non lo abbia privatamente custodito, divulgandolo in assenza del consenso del medesimo soggetto rappresentato.

La legge dispone che la stessa pena prevista per chi ha realizzato o sottratto le immagini compromettenti e le ha diffuse si applica anche a chi, ricevendo o acquistando le immagini o i video in questione li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di danneggiarli.

Anche chi aiuta ed accelera la diffussione delle immagini o dei video sessualmente espliciti commette reato, ed è punito con la stessa pena, vale a dire con la reclusione da uno a sei anni e la multa da cinquemila a quindicimila euro.

Quali altre fattispecie di reato potrebbero concretarsi attraverso condotte errate sul web?

Come precedentemente accennato, i comportamenti posti in essere in rete dagli utenti sono caratterizzati da molteplici aspetti e necessitano, per tale ragione, di un’attenta e meticolosa disamina, al fine di poter esser agevolmente inquadrati all’interno di una fattispecie tipizzata quale illecito dal codice penale italiano.

Certo è però che, a seguito di una sommaria valutazione degli eventi e dei casi recentemente verificatisi, queste paiono le ipotesi di fattispecie delittuose slegate dalla fattispecie appena analizzata di cui all’art. 612 ter c.p. che potrebbero realizzarsi sul web, specificando che le puntualizzazioni che seguono prescindono dalle fattispecie concrete ed analizzano l’inquadramento penalistico di condotte puramente ipotetiche:

1) A seguito del rinvenimento online di un contenuto sessualmente esplicito e privato ritraente se stessi se ne chiede all’utente la rimozione e si è soggetti a minaccia da parte di quest’ultimo: la condotta del soggetto che abbia pubblicato il contenuto impropriamente sarà penalmente rilevante ai sensi del disposto di cui all’art. 612 c.p.  rubricato “Minaccia” ai sensi del quale “Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 1.032 euro.Se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno.Si procede d’ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339“;

2) Il soggetto al quale la persona rappresentata nel contenuto esplicito richiede la rimozione dello stesso condiziona la rimozione medesima al versamento di denaro in suo favore: la condotta del soggetto che ha pubblicato il contenuto sarà perseguibile ai sensi dell’art. 629 c.p. rubricato “Estorsione”, ai sensi del quale “Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000. La pena è della reclusione da sette a venti anni e della multa da da euro 5.000 a euro 15.000, se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente”; 

3) Si scoprono delle conversazioni offensive a danno di terzi o taluni post di natura infamante: rileverà la condotta di cui all’art. 595 c.p., rubricato “Diffamazione”, ai sensi del quale “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate“.


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Avv. Eleonora Deborah Iannello

Avvocato, docente di diritto e redattore di articoli giuridici in materi di diritto civile e penale.

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