Fonti dell’arbitrato e diritti disponibili
L’istituto dell’arbitrato è previsto dal codice di procedura civile al libro IV, titolo VIII agli articoli da 806 a 840 comprendendo, in prima battuta, tutta la disciplina rilevante della materia.
E ciò non a caso, visto che dagli albori del fenomeno codicistico, gli avvocati e i giudici dovevano in modo integerrimo ed esclusivo ricorrere – per la difesa e la decisione dei casi- alla sola normativa codicistica.
In una nuova era di ‘’ius commune’’ come qualcuno ha tentato di definire la nostra il fenomeno è stato intaccato dalla legislazione alluvionale che ha interessato in particolare l’ultimo sessantennio della nostra storia contemporanea, dovuto in primis ad un’abnorme produzione normativa ‘’extracodici’’, in gran parte causata dalla mole immensa delle richieste provenienti dai diversi settori della società nonché da una volontà spasmodica del legislatore italiano di darvi seguito.
Accantonata per un attimo quella che risulta una considerazione a tutto tondo per qualsiasi settore giuridico si vada a trattare si deve prendere le mosse dai limiti di indagine che regolamentano lo svolgimento del giudizio arbitrale sottolineando che la disciplina dell’arbitrato è stata profondamente riformata con il D. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, entrato in vigore il 2 marzo 2006 che segue le precedenti modifiche dell’istituto introdotte con L. 9 febbraio 1983, 28 e con L. 5 gennaio 1994, n. 25.
E’ fatto divieto di ricorrere all’arbitrato per materie relative al diritto di famiglia e per quelle che non possono formare oggetto di transazione ma l’art. 806 c.p.c. – rubricato ’’controversie arbitrabili’’ – nell’aprire il Capo I pone quale unico vero limite all’arbitrato il carattere dell’indisponibilità del diritto statuendo che ‘’le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge’’.
Si badi che prima della recente riforma era fatto divieto agli arbitri di decidere controversie ‘’che non possono formare oggetto di transazione’’: oltre alla più pronta sintonia della formulazione con la Convenzione di New York del 10 giugno 1958 la novità ( e non solo terminologica) è stata recepita con favore da molta dottrina mentre la giurisprudenza di legittimità, nello svolgimento delle proprie funzioni nomofilattiche ha ben compreso che non vi sarebbero più stati problemi interpretativi. Dalla Relazione illustrativa della novella infatti, si chiarisce che la disponibilità è riferita al solo diritto azionato, restando escluse le‘’ questioni che si pongano nel percorso logico-giuridico della decisione, salvo che si tratti di questioni che per legge debbano essere decise con autorità di giudicato’’ (o c.d. questioni pregiudiziali).
I diritti indisponibili (o non disponibili) sono quei diritti soggettivi che non possono essere trasmessi in modo alcuno dal soggetto titolare ad un altro e possono estinguersi con la morte del titolare.
Altro carattere precipuo degli stessi è che il titolare non può rinunciarci. Sono diritti indisponibili, ad esempio, i diritti della persona come il diritto alla libertà personale e il diritto alla libera manifestazione del proprio pensiero oltre che diritti aventi contenuto o carattere patrimoniale derivanti da rapporti familiari come il diritto agli alimenti.
Il limite è centrale (e non a caso!) nello studio del fenomeno arbitrale – che lo Stato non solo riconosce, ma favorisce ad ogni occasione – per comprendere come l’intervento dei ‘’giudici privati’’, gli arbitri appunto, trovi degli insormontabili scogli ogniqualvolta vengano in gioco interessi e/o posizioni soggettive giuridicamente rilevanti che l’ordinamento riconosce come superiori, o per meglio dire più importanti di altre, perché consustanziate nella natura stessa dell’essere umano in tutte le sue molteplici sfaccettature e prospettive.
Il principio desunto dalla nuova formulazione dell’art. 806 c.p.c. supera dunque il precedente riferimento alle controversie che possono formare oggetto di transazione introducendo quale limite unico al deferimento della quaestio ad arbitri, l’indisponibilità del diritto oggetto della stessa.
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