Fotografia: tra diritto d’autore e privacy

Fotografia: tra diritto d’autore e privacy

Sommario: 1. Brevi cenni storici – 2. La distinzione tra “opere fotografiche” e “fotografie semplici” – 3. La tutela della fotografia tra diritto d’autore e diritti connessi – 4. La tutela del ritratto ed i profili relativi alla privacy – 5. I possibili rimedi in caso di violazioni (cenni)

1. Brevi cenni storici

La tutela della fotografia nel nostro ordinamento ha vissuto momenti altalenanti, per poi arrivare a trovare una sistemazione “definitiva” a seguito del D.P.R. 8 gennaio 1979 n. 19.

In particolare, la prima legge in materia (R.d.l. 7 novembre 1925 n. 1950) qualificava la fotografia come opera dell’ingegno (e, in specie, quale “opera artistica”) e – come tale – la fotografia veniva tutelata dal diritto d’autore.

Dipoi, con l’entrata in vigore della c.d. legge sul diritto d’autore (Legge 22 aprile 1941 n. 633), la fotografia è venuta ad esser tutelata semplicemente quale oggetto di diritto connesso all’esercizio del diritto d’autore, ai sensi del Titolo II della medesima legge.

Infine, con il D.P.R. 19/1979 (“Applicazione della convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche, riveduta da ultimo con atto firmato a Parigi il 24 luglio 1971”) sono state apportate delle modifiche alla legge sul diritto d’autore del 1941, andando ad enucleare la distinzione fondamentale tra “opere fotografiche” e “semplice fotografia”.

2. La distinzione tra “opere fotografiche” e “fotografie semplici”

Si è detto che oggi la legge sul diritto d’autore distingue le opere fotografiche dalle c.d. fotografie semplici. Ma in cosa consiste tale distinzione?

Anzitutto, è da premettere che l’inquadramento di una fotografia entro l’una o l’altra categoria è di fondamentale rilevanza, poiché diversa sarà l’applicabilità della disciplina e, di conseguenza, differente sarà la relativa tutela. Ma su questo aspetto torneremo più avanti.

Qui preme rilevare come, in verità, non sia affatto agevole trovare dei criteri obiettivi che possano consentire di qualificare una data fotografia quale opera fotografica piuttosto che come semplice fotografia.

La legge sul diritto d’autore, a tal proposito, non è di aiuto, poiché non ci fornisce alcuna espressa indicazione, limitandosi a stabilire che sono comprese nella protezione di cui al Titolo I “le opere fotografiche e quelle espresse con procedimento analogo a quello della fotografia sempre che non si tratti di semplice fotografia protetta ai sensi delle norme del capo V del titolo II”.

Possiamo peraltro affermare che dovrebbero rientrare nella categoria delle opere fotografiche tutte quelle fotografie caratterizzate da una certa dose di “creatività”. Sul punto, giurisprudenza e dottrina sono concordi nel ritenere che – al fine della distinzione tra le due categorie in parola – è senz’altro necessario indagare se sussista o meno un atto creativo seppur minimo, che sia “espressione di un’attività intellettuale preponderante rispetto alla tecnica materiale” (così da ultimo, ex multis, Trib. Roma, sent. n. 10041/2022). Ma, ciò posto, è da capire poi cosa debba intendersi per “atto creativo”. Nella pratica, invero, non è sempre così semplice individuare quell’aspetto creativo che consentirebbe di distinguere, appunto, l’opera fotografica dalla semplice fotografia.

A tal riguardo, emblematico è il caso della celebre fotografia raffigurante i magistrati Falcone e Borsellino scattata nel 1992 durante un convegno a Palermo, la quale è stata di recente qualificata dal Tribunale di Roma (sent. n. 14758/2019) come “fotografia semplice”, escludendosene quindi il carattere creativo.

In particolare, secondo i giudici della Capitale lo scatto in parola non sarebbe caratterizzato da una “particolare scelta di posa, di luci, di inquadramento, di sfondo”, ma sarebbe semplicemente “una testimonianza, a mo’ di cronaca, di una situazione di fatto, il momento di sorriso e di rilassamento di due colleghi magistrati durante un congresso”.

Come si vede, dunque, uno degli scatti più celebri della storia sarebbe – ciò nonostante – qualificabile, almeno secondo il Tribunale di Roma, come fotografia semplice.

“La fotografia quale opera d’arte presuppone difatti – scrive il Tribunale di Roma – una lunga accurata scelta da parte del fotografo del luogo, del soggetto, dei colori, dell’angolazione, dell’illuminazione e si concretizza in uno scatto unico, irripetibile nel quale l’autore sintetizza la sua visione del soggetto. Il fotografo deve quindi avere in mente un obiettivo pittorico e creativo di valore artistico ed innovativo che tende a realizzare in una rappresentazione che non è grafico-pittorica bensì fotografica. In sostanza i presupposti per riconoscere ad una fotografia valore di opera d’arte sono i medesimi che devono essere ascritti ad un quadro. La fotografia deve essere l’espressione di un progetto artistico, di uno stile, di un momento creativo”.

3. La tutela della fotografia tra diritto d’autore e diritti connessi

Veniamo adesso al secondo profilo cui si accennava, quello relativo all’applicabilità della relativa disciplina alle opere fotografiche e alle fotografie semplici.

Per completezza, vi è anzitutto da precisare che le categorie di fotografie prese in considerazione dalla legge sul diritto d’autore sono tre: oltre alle due già citate, vi è poi anche quella delle mere riproduzioni fotografiche di scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili, che sono prive di qualsivoglia tutela.

Quanto alle opere fotografiche, invece, (solo) queste godono della piena tutela di cui all’art. 2, n. 7) della legge sul diritto d’autore. Le opere fotografiche, cioè, sono l’unico tipo di fotografia cui sono applicabili le stesse regole previste in generale per le opere dell’ingegno e – ad esempio – i diritti di utilizzazione economica dell’opera fotografica durano sino al termine del settantesimo anno dopo la morte dell’autore (art. 32-bis l.d.a.).

Per ciò che concerne le c.d. fotografie semplici, viceversa, la loro tutela è disciplinata, sulla base dei cc.dd. diritti connessi, dagli artt. 87-92 della legge sul diritto d’autore, che prevedono – ad esempio – che “il diritto esclusivo sulle fotografie dura vent’anni dalla produzione della fotografia” (art. 92).

In relazione a quanto anticipato, risulta perciò adesso evidente l’importanza di qualificare una certa fotografia quale “opera fotografica” piuttosto che quale “semplice fotografia”.

4. La tutela del ritratto ed i profili relativi alla privacy

Un ultimo aspetto di particolare rilievo – soprattutto in un mondo, come quello odierno, caratterizzato ormai da un’elevata interconnessione ed un utilizzo su vasta scala dei cc.dd. social network – è ad avviso di chi scrive quello relativo all’utilizzo e alla tutela dei ritratti.

Ora, l’art. 88 della legge sul diritto d’autore prevede che “spetta al fotografo il diritto esclusivo di riproduzione, diffusione e spaccio della fotografia, salve le disposizioni stabilite dalla sezione seconda del capo sesto di questo titolo, per ciò che riguarda il ritratto”. In tema di ritratto di una persona, dunque, sono stabilite specifiche norme, nell’evidente intento di contemperare gli interessi del fotografo con i diritti alla riservatezza e all’immagine spettanti alla persona ritrattata.

Più in particolare, l’art. 96 l.d.a. prevede il principio generale per cui “il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa”. Di base, dunque, per l’utilizzazione del ritratto di una persona è sempre necessario ottenere il previo consenso della persona ritrattata.

Il successivo art. 97 l.d.a. prevede peraltro alcune eccezioni al principio generale: si stabilisce, infatti, che “non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico” (1° comma); salvo specificare, al 2° comma, che “il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata”.

Infine, all’art. 98 l.d.a. si stabilisce che “salvo patto contrario, il ritratto fotografico eseguito su commissione può dalla persona fotografata o dai suoi successori o aventi causa essere pubblicato, riprodotto o fatto riprodurre senza il consenso del fotografo, salvo pagamento a favore di quest’ultimo, da parte di chi utilizza commercialmente la riproduzione, di un equo corrispettivo”, precisando che “il nome del fotografo, allorché figuri sulla fotografia originaria, deve essere indicato”.

Ebbene, il profilo di maggior interesse è sicuramente quello del rapporto tra una possibile pubblicazione di un ritratto ed il consenso della persona ritrattata.

In primo luogo, peraltro, è bene chiarire cosa debba intendersi per ritratto. Possiamo affermare che il ritratto fotografico di una persona consiste in quello scatto raffigurante il volto riconoscibile di una persona. Di talché, è viceversa da escludere che possa essere qualificato come ritratto lo scatto raffigurante, ad esempio, una persona lontana girata di spalle o una persona il cui volto sia camuffato.

Passando all’aspetto del consenso della persona ritrattata, vi è poi da specificare che una cosa è il consenso alla produzione dello scatto, mentre altra cosa è il consenso alla sua pubblicazione: si vuol dire, cioè, che se un soggetto dà il suo assenso allo scatto della fotografia, ciò non implica affatto che stia dando il consenso anche per la pubblicazione della foto stessa.

Fatte queste precisazioni, è altresì opportuno soffermarsi un attimo sulle possibili forme di manifestazione del consenso alla pubblicazione della fotografia. A tal proposito, invero, la legge sul diritto d’autore non specifica quali debbano essere tali forme, cosicché è possibile ritenere che – oltre alla “classica” liberatoria scritta – potrebbe essere ad esempio idoneo allo scopo anche un video ove la persona ritrattata espressamente afferma di acconsentire alla diffusione dello scatto.

Operate tali doverose premesse, vi è poi da approfondire un ulteriore aspetto. Abbiamo detto che sono previste alcune eccezioni al principio generale del consenso della persona ritrattata, ed in particolare – per quanto qui interessa – non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è “collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”. Ebbene, affinché possa operare detta eccezione – e dunque non occorra il consenso della persona ritrattata – bisogna che la fotografia in questione rappresenti realmente l’evento svoltosi in pubblico. Si intende dire, cioè, che non potrebbe certo ritenersi esonerato dall’ottenere il consenso della persona ritrattata il fotografo che – in ipotesi – stringa talmente tanto l’inquadratura sul volto del soggetto cosicché, seppur quest’ultimo si trovi in effetti nel mezzo di una manifestazione pubblica, verrebbe in sostanza ad aversi il ritratto puro e semplice di una persona, del tutto scollegato dall’evento pubblico.

L’ultimo aspetto da tenere in considerazione è quello relativo alla possibile revoca del consenso. A tal proposito la Corte di cassazione ha in talune occasioni chiarito che “il consenso alla pubblicazione della propria immagine costituisce un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalienabile, all’immagine, che in quanto tale non può costituire oggetto di negoziazione, ma soltanto l’esercizio di tale diritto. Il consenso in parola, pertanto, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, resta tuttavia distinto ed autonomo dalla pattuizione che lo contiene, con la conseguenza che esso è sempre revocabile, quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita, ed a prescindere dalla pattuizione del compenso, che non costituisce un elemento del negozio autorizzativo in questione, stante la natura di diritto inalienabile e, quindi, non suscettibile di valutazione in termini economici rivestita dal diritto in discussione” (così Cass. civ. n. 1748/2016). Naturalmente resta in questo caso aperto il problema di un possibile risarcimento del danno cui potrebbe sottostare la parte che revoca il consenso.

5. I possibili rimedi in caso di violazioni (cenni)

Per concludere, è necessario accennare a quelli che sono i possibili rimedi in caso di violazione della normativa sul diritto d’autore.

Sia nell’ipotesi di una pubblicazione non autorizzata del proprio ritratto che in quella della diffusione non autorizzata di un proprio scatto fotografico, infatti, si realizzano condotte illecite che possono dar luogo a diversi scenari.

In particolare, al di là degli aspetti penalistici o delle sanzioni amministrative che potrebbero investire la vicenda, i rimedi a disposizione della persona che ha subito la condotta illegittima altrui sono fondamentalmente due.

Il primo è costituito dall’azione inibitoria, volta all’immediata rimozione dell’immagine dal luogo ove è stata pubblicata o – comunque – alla cessazione del comportamento lesivo.

Il secondo rimedio è rappresentato, invece, dall’azione volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dell’illegittima pubblicazione.

Per ciò che concerne, in particolare, il c.d. diritto all’immagine, si ricorda del resto che anche il Codice civile prevede – all’art. 10 – che “qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”.

Seppur sia sempre più difficile, nella società odierna, tenere sotto controllo tutti i profili connessi alla propria immagine, come si vede non mancano comunque appositi strumenti che l’ordinamento appresta per tutelare diritti che sono ormai pacificamente da qualificare di rango costituzionale.


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Avv. Michael Costantini

Avvocato con Studio in Pisa, iscritto all'Albo dell'Ordine degli Avvocati di Pisa. Esercito la professione forense con particolare riferimento al settore del diritto civile, ed in specie con riguardo alla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, alle procedure esecutive, alla contrattualistica, nonché al diritto delle nuove tecnologie. Attraverso mirate attività di formazione e mediante la concreta esperienza professionale ho maturato specifiche competenze nella contrattualistica informatica, nella materia del diritto d’autore e proprietà industriale, oltre che nella materia del diritto vitivinicolo.

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