Frodi fiscali: assoggettamento al diritto unionale o affermazione dell’identità nazionale?

Frodi fiscali: assoggettamento al diritto unionale o affermazione dell’identità nazionale?

Affrontare la questione oggetto del presente contributo consente di spaziare e sviscerare i rapporti esistenti tra diritto interno e diritto comunitario in specie con riguardo alla disciplina penalistica da sempre – a buon diritto – ritenuta branca particolarmente sensibile del nostro come di qualsivoglia Ordinamento che sia ispirato a principi di democrazia e laicità entro il cui perimetro i consociati possano muoversi.

La quaestio è divenuta di spiccata rilevanza a seguito di un’indagine, iniziata nel 2004, che ha portato alla scoperta di una condotta criminis, posta in essere da un’associazione criminale, a mezzo della quale venivano acquistate partite di champagne omettendo scientemente il versamento allo Stato del contributo d’imposta sul valore aggiunto realizzando, di fatto, una vera e propria lesione dei principi in materia economica e di tenuta degli equilibri di mercato.

Giunta all’attenzione del GUP di Cuneo, lo stesso, ravvisando una paventata violazione tra la nostra disciplina in materia di prescrizione e l’art. 325 TFU  ha sospeso il giudizio rimettendo la questione innanzi la Corte di Giustizia dell’Unione Europea; così facendo ha dato seguito ad un’accesa querelle tra Ordinamenti, interno e comunitario, che probabilmente – ma il condizionale è d’obbligo – potrebbe dirsi definitivamente chiusa con la Sentenza n. 115 pronunciata dalla Corte Costituzionale nell’aprile scorso.

In via del tutto preliminare al fine di comprendere il punto focale della questione occorre evidenziare quale sia stata la normativa interna che ha fatto destare dei dubbi di compatibilità in capo al GUP di Cuneo: il riferimento è agli artt. 160 e 161 c.p. in materia di prescrizione ritenuta, detta disciplina, eccessivamente garantista e non idonea a consentire e assicurare la giusta e dovuta punibilità al reo atteso che, anche laddove si fosse provveduto all’applicazione della sospensione sul termine di prescrizione in nessun caso i termini di cui all’art. 157 possono essere prolungati oltre quelli di cui all’art. 161 c.p. eccezion fatta per i reati di cui all’art. 51 c. 3 bis e 3 quater c.p.p.

Ebbene la disciplina testé riportata sarebbe risultata incompatibile con l’art. 325 TFU nonché idonea a ledere principi ritenuti sacri ed inviolabili sul piano comunitario.

È bene evidenziare come un siffatto atteggiamento, riscontrabile in capo al Giudice rimettente, abbia destato in via preliminare un senso di inadeguatezza del nostro Ordinamento, una incapacità a garantire la punibilità e, conseguentemente, un’ esigenza di riscrittura della disciplina esistente in materia di prescrizione stante la paventata violazione della normativa comunitaria.

Introdotte le questioni nevralgiche intorno alle quali ruota l’intera vicenda è bene guardare alla stessa da un’ottica retrospettiva ed analizzare – seppur per grandi linee – i difficili e complessi rapporti che vi sono tra Diritto interno e sovranazionale in materia penale alla luce della teoria dei controlimiti e osservare come essa sia intimamente connessa con il principio di bilanciamento dei diritti.

Ciò detto è opportuno volgere l’attenzione ai rapporti tra ordinamenti cui sopra accennato e porsi un interrogativo ovvero se esista una competenza in capo agli Organi dell’Unione Europea di incidere con propri atti e norme su diritto penale dei singoli Stati membri.

Ben si comprenda che non è una questione di poco conto atteso che la materia penale presenta risvolti decisamente importanti stante l’idoneità ad incidere su aspetti sensibili della vita del cittadino limitandone la libertà personale e/o intaccando principi e garanzie fondamentali qualora lo stesso risulti colpevole di aver commesso un fatto penalmente rilevante.

Fornire adeguata risposta a quanto esposto significa trattare del principio di legalità e dei corollari da esso discendenti: Riserva di legge, determinatezza, divieto di analogia in malam partem e principio di successione di leggi penali nel tempo che costituiscono l’architrave su cui si fonda la disciplina penalistica interna.

Scrigno normativo degli stessi è l’art. 25 Cost. in virtù del quale nessuno può essere punito per un fatto che ha commesso se non in forza di una legge anteriore allo stesso che lo preveda come reato: un dictat dirompente e garantista per il cittadino che può ben veicolare il proprio agire verso determinate condotte sapendo, a priori, quali siano idonee a configurare un reato penalmente punito ex lege; a garanzia dell’azione dei consociati vi è la c.d. legittimazione popolare, ossia aver conferito, tramite l’esercizio del diritto di voto, il potere al Parlamento di legiferare e, quindi, di operare introducendo anche dei limiti, tuttavia giustificati da un rapporto diretto esistente tra cives ed eletti.

Principio di legalità da tradursi, pertanto, con un assoggettamento dei consociati alla Legge perché gli stessi esponenti del potere legislativo sono stati scelti e voluti dal popolo; altresì da intendere come dovere di agire nel rispetto delle regole ponendo in essere condotte rispettose dei principi supremi dell’Ordinamento e delle regole in esso contenute.

Individuata la c.d. forza popolare che giustifica e autorizza un intervento in materia penale nel nostro sistema, è opportuno compiere un’opera di simmetria e indagare se la medesima legittimazione sia riscontrabile presso gli Organi dell’Unione Europea.

Sul punto non v’è dubbio che la risposta non può essere affermativa: manca qualsivoglia rapporto elettivo tra i cittadini degli Stati membri, e quindi dell’Unione, e coloro che siedono al Parlamento e al Consiglio Europeo; ne discende – sotto un profilo intuzionistico – che manchi nell’Ordinamento sovranazionale un potere/diritto di incidere sulla disciplina penale interna ancor più se in maniera negativa.

Nonostante quanto detto sarebbe errato asserire che l’Unione sia o debba essere indifferente in materia penale, invero per quanto gli interventi che nel tempo vi sono stati si siano caratterizzati per una timida incidenza deve darsi atto di una crescita e di una sempre maggiore presa di posizione – anche a livello sovraordinato – di voler dettare il perimetro di azione e di repressione di taluni grandi fenomeni la cui gestione assume rilevanza non solo per il singolo Stato ma anche per la Comunità tutta.

La capacità di intervento dell’Unione in materia penale deve essere trattata guardando alla fase antecedente il trattato di Lisbona e a quella immediatamente successiva.

Con il Trattato di Maastricht e di Amsterdam, invero, si è registrata una volontà di ampliare gli interessi dell’allora Comunità Europea da un ambito prettamente economico – nel quale prediligere il libero mercato di merci, persone, servizi e capitali – ad un ambito afferente la giustizia e le libertà fondamentali: si deve al primo Trattato l’istituzione del terzo pilastro il GAI in materia di giustizia e affari interni e poi al successivo il merito di aver esteso l’area di intervento introducendo taluni principi fondamentali in materia di lotta al terrorismo, alla corruzione, allo spaccio di stupefacenti al fine di proteggere con una rete sinergica internazionale i cittadini della Comunità e l’aver riconosciuto poteri sanzionatori in capo alle Istituzioni Europee; tuttavia, continuava ad escludersi una competenza sovraordinata ad incidere sulla vita dei singoli emettendo poteri a carattere sanzionatorio.

È un percorso ancora acerbo, timoroso per certi versi che viene liberalizzato con la stipula del Trattato di Lisbona, la conseguente redazione del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e il contenuto dell’art. 83 il quale riconosce al Parlamento Europeo e al Consiglio il potere di deliberare e determinare singole sanzioni da applicare a quelle condotte ritenute particolarmente gravi e riconducibili in talune macro-aree individuate dall’UE: traffico di essere umani, terrorismo, spaccio e traffico di sostanze stupefacenti. Sono queste le aree ritenute sensibili la cui lotta non può essere appannaggio dello Stato singolo ma obiettivo comune della Comunità, a tal fine vengono elaborati principi e linee guida volti alla lotta di detti fenomeni criminali talché lo Stato è tenuto ad uniformarvisi: si introduce, per la prima volta, una competenza penale indiretta sovraordinata capace di incidere sui singoli ordinamenti interni anche in una materia così delicata quale quella penale.

Sciorinati i passaggi cruciali che hanno portato all’affermazione di una competenza penale propria dell’Unione europea è allora possibile addentrarci nell’analisi delle frode fiscali commesse in ambito nazionale sindacando sulla presunta contrarietà della normativa in materia di prescrizione.

A seguito del rinvio pregiudiziale operato dal GUP di Cuneo innanzi alla Corte di Giustizia Europea, quest’ultima ha, ipso iure, propeso per una chiara violazione dei principi comunitari in materia economica laddove fosse previsto – sul piano interno – una punibilità soggetta ad un termine di prescrizione ritenuto breve e inidoneo a consentire la punibilità del reo sicché l’Ordinamento italiano nella Sentenza in commento – nota come Taricco 1 – venne tacciato di pressapochismo e leggerezza nel sanzionare un grave fenomeno criminoso nonché di condotta normativa contrastante con il disposto di cui all’art. 325 TFUE tale che, al fine di evitare ulteriori violazioni, in casi analoghi il Giudice interno avrebbe dovuto disapplicare la normativa in materia di prescrizione in favore di un presunto ossequio della disciplina comunitaria.

La decisione in commento, recepita presso le nostre Istituzioni, non fu scevra di malcontenti. Per comprenderne le ragioni è doveroso analizzare la disciplina della disapplicazione come essa è regolata nell’ordinamento nazionale e soprattutto come essa si ponga quale antitesi del principio di determinatezza o tassatività in materia penale.

Disapplicare, invero, non significa procedere ad abrogatio criminis, significa tutt’altro: ovvero mantenere nell’ordinamento interno una norma che risulti contrastante con la disciplina comunitaria, che non possa essere oggetto di interpretazione conforme e che debba, pertanto, essere non applicata per quella determinata fattispecie concreta in quanto non adatta.

La tecnica della disapplicazione è stata elaborata al fine di combinare i rapporti tra ordinamenti e quindi tra fonti del diritto in specie quando, a seguito del predetto espediente, si consenta l’applicazione di una norma attributiva di diritti e posizioni giuridiche di favore nei confronti del cittadino; nasce come operazione di favore, idonea ad ampliare l’apparato garantistico del singolo individuo.

Viene recepita e letta come un’operazione posta a vessillo del cittadino, foriera di una superiorità del diritto dell’unione su quello interno ma giustificata dal riconoscimento di posizioni di favore.

Discorso diverso e, quindi, conclusioni diverse, debbono aversi ove la disapplicazione si intenda in malam partem ossia quale operazione capace di privare il cittadino di garanzie previste a livello di normazione ordinaria e costituzionale: è un novum quello che introduce la Corte di Giustizia Europea perché impone al Giudice Ordinario di disapplicare una norma sostanziale, garantista quale è quella della prescrizione, coperta da riserva di legge, ponendo in essere un atto chiaramente contrastante con i principi supremi del nostro sistema.

Ne discende, ergo, la necessità di procedere ad un bilanciamento tra i principi comunitari e quelli interni in specie ove questi ultimi possano essere minacciati dalla deriva sovranazionale; è sorta la necessità di risvegliare la coscienza interna, lo spirito di protezione delle nostre garanzie fondamentali.

Per quanto ci si potesse attendere una presa di posizione maggiormente enfatica da parte della Consulta, questa si è limitata a rinviare la questione – ancora una volta – alla CGUE con Ordinanza n. 24/2017 nella quale, assunti taluni corollari indissolubili poneva altrettanti quesiti all’Organo giudiziario Europeo.

Invero la nostra Consulta, con un atteggiamento tacciabile come particolarmente ossequioso, invitava a riflettere i Giudici Comunitari: previo riconoscimento della superiorità del diritto Unionale su quello interno a seguito di una voluta limitazione di sovranità nazionale ex artt. 11 e 117 Cost., ha posto all’attenzione della CGUE la portata dell’art. 325 TFUE e, in specie, se esso potesse ritenersi norma dotata di efficacia diretta tale da giustificare la disapplicazione di una normativa interna a carattere sostanziale. Del resto – ha continuato la Consulta – gli artt. 160 e 161 c.p. non possono non considerarsi norme a carattere sostanziale, a favore di ciò depone la stessa collocazione sistematica contenuta nel codice penale e non anche in quello processuale; ed ancora ha evidenziato come si tratti di norme la cui portata sostanziale è indiscutibile: da un regime di applicazione della prescrizione discende la punibilità o meno del soggetto nonché – in caso di dichiarata prescrizione – la perdita di interesse dell’ordinamento a vedere soddisfatta la propria pretesa punitiva; ne discende che – trattandosi di norma sostanziale – sia fortemente ancorata al principio di legalità e riserva di legge, principi caldi nel nostro sistema che non possono essere derogati dalla disciplina sovranazionale.

L’ordinanza di rimessione in commento, velatamente, fa riferimento alla nota teoria dei controlimiti posta a vessillo dell’Autorità Nazionale, delle garanzie del nostro diritto dalle tirannie dispotiche che costantemente possano essere avanzate dal Diritto Comunitario; teoria, del resto, elaborata dalla nostra Consulta quale scudo e contraltare a seguito della dichiarata limitazione di sovranità in favore di un ordine normativo sovranazionale.

Stante la presa di posizione, rectius, il palesare dei dubbi sopra esposti innanzi alla CGUE, la stessa con successiva Sentenza n. 42/2017 ha rivisto il proprio dictat tornando a parlare di disapplicazione non più doverosa ma discrezionale, mostrando un atteggiamento di maggior rispetto nei confronti del nostro diritto e dei principi supremi in esso contenuti statuendo che il Giudice interno in caso di contrasto con i principi comunitari non sempre e non per forza è tenuto alla disapplicazione della disciplina in materia di prescrizione, tutt’altro, non dovrà procedervi qualora ciò possa comportare una diretta violazione dei principi cardine ritenuti inviolabili per l’identità Italiana.

Si ammette, quindi, che in caso di frodi fiscali – per quanto il mancato versamento dell’imposta sul valore aggiunto – possa configurare una violazione dei principi comunitari, l’Autorità Giudicante interna non è tenuta a procedere ad alcuna disapplicazione degli artt. 160 e 161 c.p. atteso che detta operazione violerebbe il principio di legalità anche ove qualora detta scelta dovesse tradursi con un contrasto con il diritto Unionale.

Ulteriore passaggio di una vicenda così intricata quanto perigliosa è stato tracciato dalla Consulta con la recentissima Sentenza n. 115 dell’Aprile del 2018, si segnala per il pregevole contenuto in essa riportato atteso che è stata plasticamente ribadita l’intangibilità del principio di legalità quale corollario del principio di determinatezza nella misura in cui la norma penale, e la tassatività da cui essa è assistita, impone che sia prevedibile ex ante e non ex post a seguito di processi di interpretazione e stratificazione anche correttiva svolti dall’opera del Supremo Consesso; viene sacrificato il potere interpretativo del Diritto vivente pur di tutelare le colonne portanti del nostro Sistema; altresì si palesa la volontà chiara e granitica di tutelare la nostra identità di Paese di Civil Law e non di Common Law ponendo, pertanto, un chiaro freno all’attività interpretativa e innovativa di un diritto sovraordinato talvolta dispotico che ha preteso, invano, che un mero orientamento giurisprudenziale potesse diventare Legge in luogo della norma scritta certamente più garantista e in linea con i dettami dei Nostri Padri Costituenti.


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Avv. Maria Erica Gangi

Laureata presso l'Università degli Studi di Palermo il 26.10.2012 con votazione 110/110; ha conseguito l'abilitazione forense in data 29.10.2015; iscritta all'albo Avvocati del Tribunale di Agrigento in data 10.12.2015. Tutt'oggi impegnata nell'esercizio della professione forense e nello studio e conseguente preparazione del concorso in Magistratura.

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