Funzione nomofilattica dell’Adunanza Plenaria sent. n. 4/18, questioni processuali e sostanziali

Funzione nomofilattica dell’Adunanza Plenaria sent. n. 4/18, questioni processuali e sostanziali

Sommario1. Profili introduttivi: incertezze normative e criticità applicative – 2. La questione della rilevabilità ex officio del giudice d’appello delle condizioni dell’azione – 3. La questione dell’immediata impugnabilità del bando di gara – 4. Profili conclusivi: Esiti dell’azione amministrativa

 

1. Profili introduttivi: incertezze normative e criticità applicative

Il Consiglio di Stato con l’ord. n. 5138 del 7 novembre 2017 ha investito l’Ad.Plenaria nella soluzione di questioni oggetto di contrasto giurisprudenziale attinenti la partecipazione alle gare pubbliche. La normativa di settore presenta delle incertezze interpretative ed applicative ad origine di conflitto tra gli interessi degli operatori economici ad avere garantito la partecipazione rispetto all’azione amministrativa nella scelta del migliore contraente.

La questione principale riguarda l’ammissibilità dell’impugnazione del bando ed in specie delle clausole non escludenti dalla gara, quale il criterio di aggiudicazione, da parte dell’operatore economico, anche se non ha presentato domanda di partecipazione alla gara. L’Ad. Plen. nella sent. del 26/04/2018, n. 4, pur avendo ravvisato l’opportunità di non pronunciarsi definitivamente, ha espresso in motivazione principi rispetto questioni sostanziali e processuali emerse, dirimendo il contrasto giurisprudenziale e conformandosi all’indirizzo maggioritario giurisprudenziale.

2. La questione della rilevabilità ex officio del giudice d’appello delle condizioni dell’azione

La prima questione processuale riguarda il potere del Giudice di appello di rilevare ex officio i presupposti e le condizioni per la proposizione del ricorso di I grado (in merito alla condizione relativa alla tempestività del ricorso), non potendo ritenere che si possa formare un giudicato implicito, preclusivo alla deduzione officiosa della questione. L’Ad. Plen. rileva che in antecedenza al Codice del processo amministrativo, in base al d. lgs. n. 104 del 2010, secondo la giurisprudenza “il giudice amministrativo, in qualsiasi stato e grado, ha il potere e il dovere di verificare se ricorrono le condizioni cui la legge subordina la possibilità che egli emetta una decisione nel merito, né l’eventuale inerzia di una delle parti in causa, nel rilevare una questione rilevabile d’ufficio, lo priva dei relativi poteri-doveri officiosi, atteso che la legge non prevede che la mancata presentazione di un’eccezione processuale degradi la rilevabilità d’ufficio in irrilevabilità, che equivarrebbe a privarlo del dovere di verifica dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione[1].La questione è risolta dalla giurisprudenza, in base ad un’interpretazione letterale degli art. 35 e 9 del c.p.a.. Per un verso, l’art. 35 affida al potere officioso del giudice il rilievo dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione, non escludendo il giudizio di appello. Per altro verso, l’art. 9 del c.p.a. limita il principio del giudicato implicito, impedendo il rilievo officioso in appello, alle questioni relative alla giurisdizione. Inoltre, l’art. 104 del c.p.a. (come previsto dall’art. 345 c. II c.p.c.) rende prospettabile nel II grado “eccezioni rilevabili d’ufficio”, e sulla scorta di ciòè individuabile “un sistema fondato sulla regola del possibile rilievo ex officio delle questioni (condizioni dell’azione e presupposti processuali), che condizionano la possibilità di pervenire ad una pronuncia di merito”ed un’espressa eccezione, relativa al formarsi di un “giudicato implicito” in merito alla spettanza della giurisdizione al giudice adito.

In riferimento alla correlata questione della giurisdizione l’Ad. Plen. afferma i seguenti principi: a) la definitiva pronuncia sulla giurisdizione deve intervenire nel più breve tempo possibile;b) la parte che in modo erroneo individua il giudice competente non deve subire preclusioni o limiti di tutela in osservanza del principio della translatio iudicii, ai sensi dell’art. 59 l. n. 69/2009, evitando di incorrere in preclusioni e decadenze derivanti dalle incertezze nell’individuazione del giudice fornito di giurisdizione[2]; c) il giudice che declina la giurisdizione deve indicare il plesso giurisdizionale,così consentendo la trasmigrazione del processo nel termine perentorio presso quel giudice (tenuto a sollevare il conflitto, se non ritiene che la giurisdizione sia stata individuata dal giudice rimettente, perché ritiene che spetti a quest’ultimo o ad un terzo e diverso plesso.[3]L’art. 9 c.p.a. codifica il principio espresso dalle Sezioni Unite nella sent. 9 ottobre 2008, n.24883, in merito all’estensione anche a controversie in appello introdotte anteriormente all’entrata in vigore del nuovo codice[4]. Si evidenzia che la disciplina del processo amministrativo dopo la declaratoria di difetto di giurisdizione consente al giudice amministrativo di trarre argomenti di prova dall’istruttoria espletata dal giudice sprovvisto di giurisdizione (art. 11, c. 6, c.p.a.). La questione di giurisdizione, nei gradi successivi al primo, ricondotta al potere dispositivo delle parti ex 112 c.p.c., sottratta al rilievo d’ufficio del giudice è da affrontare alla luce della volontà legislativa, come anticipata dalla giurisprudenza. Al riguardo, la tempistica del rilievo officioso della questione non pregiudica la tutela processuale delle parti a cui non è precluso l’individuazione del giudice.

Infine, la formazione del giudicato implicito per inerzia delle parti ed omesso rilievo officioso del giudice di I grado consegue una statuizione di un plesso privo di giurisdizione, non produttiva di conseguenze “contra ius”, mentre precludere al giudice di appello il rilievo officioso dell’assenza dei presupposti processuali o delle condizioni dell’azione ha conseguenze negative quali la delibazione di un ricorso tardivo, o proposto da un soggetto non legittimato. Alla stregua di quanto espresso e dell’univoco tenore letterale degli artt. 9, 35 e 104 c.p.a. l’Ad.Pl. ammette la possibilità per il giudice di appello di rilevare ex officio la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado in carenza di pronuncia del giudice di primo grado.

3. La questione dell’immediata impugnabilità del bando di gara

In riferimento alla questione in merito all’onere dell’immediata impugnabilità del bando di gara l’Ad. Plen. conferma l’orientamento maggioritario espresso in altre pronunce, quali l’Ad. Plen. del 29 gennaio 2003 n. 1 e del 7 aprile 2011 n. 4[5]. L’Ad. Plen. individua la regola nell’art. 100 c.p.c., in base all’interesse ad agire quale presupposto della tutela processuale, per cui soltanto chi ha partecipato alla gara è legittimato ad impugnare l’esito, allorquando è individuabile una situazione giuridica da tutelare. A contrario, non sussistono ragioni per ritenere che il soggetto che non presenta domanda di partecipazione possa esser legittimato ad impugnare clausole del bando non “escludenti”. In tale ipotesi, l’operatore non partecipante potrebbe essere portatore di un interesse di mero fatto nel caducare l’intera gara, al fine di presentare l’offerta in ipotesi di riedizione di una nuova procedura. Tale interesse “strumentale” è da considerare “ipotetico”, in quanto non è in grado di dimostrare l’interesse “differenziato” alla base della legittimazione ed è smentito dall’omessa presentazione dell’offerta dell’operatore del settore. Inoltre, l’Ad. Plen. afferma che i bandi di gara e concorso e le lettere di invito sono da impugnare unitamente agli atti applicativi, in quanto solo questi ultimi rendono concreta la lesione della situazione soggettiva dell’interessato e come tale rende individuabile l’interesse ad agire del soggetto leso dal provvedimento di aggiudicazione a terzi.

L’Adunanza affronta un’altra questione relativa all’individuazione del dies a quo, ossia dell’immediata o differita l’impugnazione avverso le clausole del bando prive di efficacia immediatamente lesiva in quanto di per sé non “escludenti”. Al riguardo, nella pronunzia in commento è espressa l’esigenza di una trattazione unitaria e concentrata, confermata nell’art. 120, c. 7, c.p.a. (eccezione per le controversie disciplinate dal rito appalti, che impone il ricorso ai motivi aggiunti impropri quando si debbano impugnare nuovi provvedimenti della stessa gara). La Plenaria aggiunge che né il vecchio né il nuovo Codice degli appalti consente di affermare che debba imporsi all’offerente di impugnare immediatamente la clausola del bando ove la ritenga errata, in quanto si versa nella fase iniziale della procedura. In tale fase, per un verso non potrebbe essere provato che l’impugnante non sarebbe aggiudicatario, per altro verso, s’imporrebbe all’offerente di impugnare la clausola del bando sulla scorta di un’ipotetica lesione, nel perseguire l’interesse strumentale alla riedizione della gara, subordinato a quello ad essere aggiudicatario. A tutela della concorrenza la giurisprudenza individua delle eccezioni, che ammettono l’impugnazione immediata del bando, riconoscendo la legittimazione ad agire anche a chi non ha proposto la domanda di partecipazione, quando si contestano non solo le clausole escludenti, ma anche la legittimità di un affidamento diretto.

4. Profili conclusivi ed esiti dell’azione amministrativa

In attesa della pronunzia della Corte di Giustizia, la sentenza in commento è di rilievo in quanto consente agli operatori del diritto di individuare le conseguenze derivanti dalle incertezze interpretative della normativa sia sostanziale che processuale sopra esposta, derivanti dall’immediata impugnazione delle clausole previste nel bando[6].Gli offerenti potrebbero immediatamente impugnare il bando con censure alle prescrizioni non escludenti, considerando di non poterle più proporre. Nell’ipotesi, in cui i ricorrenti non si rendessero aggiudicatari, quest’ultimi hanno l’interesse strumentale alla riedizione della procedura di gara incentrato sul ricorso proposto avverso il bando.

Per contro, nel garantire le legittimità dell’azione amministrativa, le stazioni appaltanti possono seguire due percorsi. La prima è di sospendere le operazioni di gara in attesa della decisione del ricorso proposto avverso il bando, con conseguente rallentamento nell’espletamento delle procedure di acquisizione oggetto di contenzioso. Nelle more del processo, la stazione appaltante potrebbe proseguire ad espletare la gara ed aggiudicare a favore dei ricorrenti che di conseguenza di ciò rinuncerebbero all’azione processuale e  con conseguente cessazione della materia del contendere.

 

 


[1]Consiglio di Stato, sez. V, 6 settembre 2017, n. 4215; sez. VI, 21luglio 2016, n. 3303; Sez. VI, 22 febbraio 2013, n. 1094; Sez. VI, 5 settembre 2017, n. 4196; sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4157.
[2]Corte costituzionale n. 77 del 2007, per una completa ricostruzione, si v.Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 940 del 21 febbraio 2012.
[3] Tale sistema è “anticipato” dalle S. Un. sent.n.24883/2008, che ha escluso la contestabilità ex officio della giurisdizione affermata per implicito dal primo giudice in assenza di motivo di impugnazione.
[4]Cons. Stato Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1769.
[5]L’orientamento minoritario del Cons. Giust. Amm., sez. giur., n. 589/2005 individua l’interesse ad agire verso una competizione fondata su regole legittime e ragionevoli, riconosce all’operatore economico la legittimazione ad impugnare il bando anche quando non presenta domanda di partecipazione alla procedura.
[6]T.A.R., Liguria – Genova, sez. II, ord. n. 263 del 29 marzo 2017, ha sollevato alla Corte di Giustizia il quesito se “gli artt. 1, parr. 1, 2 e 3, e l’art. 2, par. 1, lett. b),dir. n. 89/665 CEE, ad oggetto il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, ostino alla normativa nazionale che riconosca la possibilità di impugnare gli atti di una procedura ai soli operatori economici che hanno presentato domanda di partecipazione alla gara stessa, anche quando la domanda giudiziale sia volta a sindacare la procedura, derivando dalla disciplina un’elevata probabilità di non ottenere l’aggiudicazione.

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