Furto al supermercato e consumazione “in loco” dei beni sottratti
Trib. Como, sentenza 14 giugno 2017, n. 963
La sentenza in parola si pone nel solco di un annoso contrasto giurisprudenziale riguardante il momento consumativo del reato di furto al supermercato; infatti, la Cassazione, si è nel tempo dovuta confrontare con il seguente quesito: in quale momento può dirsi consumato, e non già meramente tentato, il furto commesso da chi preleva merce dagli scaffali di un supermercato, dotato di un sistema di sorveglianza e controllo (es: sistema di videosorveglianza – sistema c.d. antitaccheggio)?
nel momento in cui l’agente occulta la merce sulla propria persona?
quando supera la barriera delle casse?
quando supera gli apparati di controllo predisposti dai gestori del supermercato, in particolare la barriera delle casse?
Due i principali orientamenti creatisi sul punto:
ORIENTAMENTO MINORITARIO: il reato di furto può dirsi consumato nell’istante in cui l’agente occulta o nasconde la merce, essendo tale condotta volta a predisporre le condizioni per oltrepassare la barriera delle casse senza pagare. Occorre fin da subito constatare che le sentenze che aderiscono a questo orientamento[1], sovrappongono il momento della sottrazione con quello dell’impossessamento, che viene fatto coincidere con la sola disponibilità materiale del bene da parte del reo, a prescindere dal fatto che il bene stesso esca dalla sfera di dominio e vigilanza del soggetto passivo. Pertanto, non assume alcun rilievo, la circostanza che l’azione delittuosa avvenga sotto il costante controllo del personale di sorveglianza, né il mancato superamento della barriera delle casse e di eventuali sistemi di allarme; in tale ottica, il superamento delle linee di cassa renderebbe manifesta la volontà del soggetto agente di non pagare la merce sottratta dagli scaffali, operando pertanto più sul piano della prova che su quello dell’integrazione degli elementi tipici.
ORIENTAMENTO MAGGIORITARIO: è indubbio che il prelevamento della merce dai banchi di vendita dei grandi magazzini e l’allontanamento senza pagare il prezzo realizzino il furto consumato; tuttavia, quando l’addetto al controllo sorvegli le fasi dell’azione furtiva, sì da poterla interrompere in ogni momento, il delitto non è consumato neanche se vi è stato l’occultamento della cosa sulla persona del colpevole[2]. In tal caso il furto è solo tentato perché il bene sottratto non è ancora uscito dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto dell’offeso, che pertanto è in grado di esercitare su di esso la propria signoria: non vi è stato, cioè, l’impossessamento del bene sottratto[3]. Pertanto, questo orientamento, in primo luogo, differenzia il momento della sottrazione da quello dell’impossessamento e, in secondo luogo, attribuisce fondamentale rilievo alla presenza di un soggetto incaricato alla sorveglianza o di apparati di controllo antitaccheggio.
Il predetto contrasto giurisprudenziale è, infine, stato risolto dalla Cassazione a Sezioni Unite n. 52117 del 16.12.14, che nel pronunciarsi sull’ordinanza di rimessione del 22.01.2014 della V sezione di Cassazione, ha affermato il seguente principio di diritto: “il monitoraggio nella attualità della azione furtiva avviata, esercitato sia mediante la diretta osservazione della persona offesa (o dei dipendenti addetti alla sorveglianza o delle forze dell’ordine presenti in loco), sia mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce, e il conseguente intervento difensivo in continenti, a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del delitto di furto, che resta allo stadio del tentativo, in quanto l’agente non ha conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo”.
Tale pronuncia ha evidenziato che la definizione dell’azione di impossessamento della cosa altrui, cui all’art. 624 c.p., è caratterizzata dal sintagma impossessamento – sottrazione, ed è a questo che occorre riferirsi pur in presenza di una condotta dell’agente che, oltrepassando la cassa senza avere provveduto al pagamento, dimostra un incontestabile intento furtivo; infatti, la Corte ha sostenuto che in mancanza del perfezionamento del possesso della refurtiva a favore dell’agente, il reato non può dirsi consumato.
Sul punto non vi è dubbio che l’impossessamento richieda il raggiungimento della piena signoria sul bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte del soggetto, autore del furto, condizione chiaramente esclusa dalla concomitante vigilanza della persona offesa, dimostrata dall’intervento esercitato a difesa del bene, certamente appreso, ma non ancora uscito completamente dalla sfera di controllo del soggetto passivo del reato. Inoltre, a sostegno di questa tesi, le SS. UU. hanno altresì richiamato il principio di offensività che ulteriormente giustifica il collegamento della consumazione del reato alla completa rescissione della “signoria che sul bene esercitava il detentore”.
Orbene, stante queste premesse, la sentenza del Tribunale di Como del 14 giugno 2017, n. 963, può apparire in contrasto con quanto fin ora affermato in merito al momento in cui può dirsi consumato il reato di furto al supermercato; il fatto riguardava un soggetto che aveva consumato mentre ancora si trovava all’interno del supermercato alcuni dei beni sottratti (in particolare, tre bibite in lattina, che abbandonava poi vuote sugli scaffali del supermercato e una bottiglietta d’acqua, che riponeva in parte ancora piena nella tasca della giacca che indossava), che aveva poi omesso di pagare al passaggio dalle casse, il tutto sotto il costante controllo del soggetto addetto alla sicurezza dell’esercizio commerciale.
Il giudice di merito, nonostante la richiesta del P.M. in sede di conclusioni di riqualificare il delitto nella forma tentata, ha deciso di condannare l’imputato per furto consumato, e non solo tentato, nonostante l’azione furtiva fosse stata costantemente monitorata da un addetto alla sicurezza, motivando tale pronuncia alla luce dell’impossibilità per la persona offesa di riottenere la merce non pagata.
Nel caso di specie, infatti, il giudice di merito ha deciso di non applicare il principio affermato dalle Sezioni Unite affermando che: il superamento delle casse senza pagare la merce sottratta dagli scaffali non costituisce momento rilevante per ritenere il furto pienamente consumato, quando l’azione furtiva sia stata costantemente monitorata, divenendo, invece, tale nel momento in cui la merce sia stata preventivamente consumata all’interno del supermercato, perché ciò determina la materiale impossibilità per la persona offesa di riottenere i prodotti che non sono stati pagati.
[1] Ex multis cfr. Cass. pen., sez. V, 30 marzo 2012, n. 30283; Cass. pen, sez. V, 19 gennaio 2011, n. 7086.
[2] Sul punto cfr. Cass. SS.UU., sentenza 16/12/2014 n° 52117: l’aggravante dell’uso di un mezzo fraudolento, di cui all’art. 625, comma primo, n. 2, cod. pen. delinea una condotta, posta in essere nel corso dell’iter criminoso, dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, volta a sorprendere la contraria volontà del detentore ed a vanificare le difese che questi ha apprestato a difesa della cosa. Tale insidiosa e rimarcata efficienza offensiva non si configura nel mero occultamento sulla persona o nella borsa di merce esposta in un esercizio di vendita a self service, trattandosi di banale, ordinario accorgimento che non vulnera in modo apprezzabile le difese apprestate a difesa del bene.
[3] Ex pluris cfr. Cass. pen., sez. V, 6 maggio 2010, n. 21937; Cass. pen., sez. V, 20 dicembre 2010, n. 7042; Cass. pen., sez. IV, 16 gennaio 2004, n. 7235; Cass. pen, sez. I, 21 gennaio 1999.
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Susanna Maderna
Laureata presso l'università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con una tesi di diritto civile dal titolo "Nuovi profili della responsabilità medica".
Attualmente in Tirocinio formativo presso il Tribunale di Milano, Sezione VI Penale, specializzata in "criminalità organizzata".