Furto in abitazione: necessaria sussistenza del nesso finalistico

Furto in abitazione: necessaria sussistenza del nesso finalistico

Tra i reati contro il patrimonio assume sicuramente particolare rilievo quello del furto in abitazione, di cui all’art. 624 bis co. 1 c.p.

Introdotto dalla Legge 26 marzo 2001, n. 128, l’art. 624 bis c.p. ha abrogato le due originarie aggravanti del furto in abitazione e del furto con strappo, contenute ai nn. 1 e 4 dell’art. 625 c.p., dando vita ad un nuovo ed autonomo titolo di reato, che ricalca la struttura delle circostanze anzidette.

Le ragioni sottese a tale decisione sono da rinvenire nella volontà del legislatore di accentuare il rigore sanzionatorio per queste ipotesi di furto, di grande allarme sociale ed ampia diffusività, sottraendole al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.

La struttura del reato citato in apertura ricalca in toto quella prevista per il furto c.d. semplice, discostandosene soltanto per la particolare modalità di realizzazione della condotta tipica, consistente nell’impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri “mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa”.

Per quanto concerne il bene giuridico tutelato, si ritiene che la norma intenda approntare tutela non soltanto all’interesse patrimoniale leso dalla condotta altrui di sottrazione, ma anche alla sicurezza individuale ed alla sfera personale di inviolabilità e riservatezza; si tratta, pertanto, di un reato plurioffensivo.

La condotta si sostanzia nell’introdursi con la propria persona all’interno della dimora altrui ed ivi commettere il furto.

Da un’attenta lettura della norma si può notare come la condotta tipica consista nella sottrazione e nell’impossessamento, i quali rappresentano due momenti dell’agire criminoso, talvolta coincidenti, ma comunque distinti, oggetto di autonomo accertamento.

Con il termine sottrazione ci si riferisce generalmente all’azione non violenta né realizzata con minaccia, che si risolve nel privare altri, in assenza del suo consenso, della disponibilità di una determinata res.

Per impossessamento si allude all’acquisto, da parte dell’agente, di un potere autonomo e di signoria sulla medesima res.

Naturalmente, è opportuno sottolineare che la condotta di cui sopra presuppone necessariamente l’altrui detenzione, da intendersi, secondo l’orientamento maggioritario, nell’accezione di materiale disponibilità della cosa, cui si ricollega un potere di signoria autonomo e di fatto sulla medesima, indipendentemente dall’animus e dal titolo (comunque lecito) su cui si fonda.

Con riferimento all’elemento soggettivo, oltre al dolo di furto (che consiste nella consapevolezza e volontà di sottrarre la cosa mobile altrui e di impossessarsene al fine specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto), occorre anche la consapevolezza e la volontà di introdursi in luogo destinato all’altrui dimora.

Analizzando la fattispecie del furto in abitazione, è doveroso soffermarsi sul concetto di privata dimora e, in tal senso, richiamare la pronuncia n. 31345 del 22 giugno 2017, con la quale le Sezioni Unite hanno tracciato le coordinate per individuare nel caso concreto tale nozione. Sul punto, si può affermare che detto concetto poggia indefettibilmente sui tre seguenti elementi: utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata, in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; durata apprezzabile del rapporto tra luogo e persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare.

La legge 23 giugno 2017 n. 103 ha introdotto un nuovo comma all’art. 624 bis c.p. prevedendo, in deroga agli ordinari criteri di bilanciamento fra circostanze, che le attenuanti diverse da quelle previste nell’articolo 98 e 625 bis c.p., non possono mai essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto alle aggravanti di cui all’art. 625 c.p.

Quella del furto in abitazione rappresenta una fattispecie criminosa che in determinate ipotesi può apparire prima facie configurata, tuttavia analizzando con maggiore attenzione le intenzioni e, soprattutto, la volontà del soggetto agente può non trovare applicazione, lasciando spazio ad altre figure criminose contemplate nel nostro codice penale.

Per meglio comprendere tale affermazione è necessario soffermarsi su un caso concreto. A tal fine, si pensi al reo che si introduca nella dimora altrui per ragioni estranee a quelle che reggono la fattispecie in commento (ad esempio, il senza tetto che si introduca nell’altrui privata dimora con l’esclusiva finalità di  trascorrere una serata al riparo dalle intemperie) e vi si trattenga per il sopraggiungere dell’intenzione furtiva.

In tale ipotesi, si avrà un concorso tra il furto semplice, ex art. 624 c.p., e quello di violazione di domicilio, ex art. 614 c.p.

A fondamento di tale affermazione, infatti, risiede il fatto che il reato di furto in abitazione, ex art. 624 bis c.p., richiede necessariamente la sussistenza del c.d. nesso finalistico, e non un collegamento occasionale, fra l’introduzione nell’abitazione della persona offesa e l’impossessamento da parte del colpevole della cosa sottratta.

Pertanto, il reato di furto in abitazione assorbe quello di violazione di domicilio solo e soltanto se ricorre il nesso finalistico di cui sopra.

A conferma di ciò, si richiama la pronuncia della Cassazione n. 18792/2019 la quale rileva che proprio la dizione “mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora” esprime chiaramente una strumentalità dell’introduzione nell’edificio, quale mezzo al fine di commettere il reato. In altri termini, secondo la Cassazione, la mera occasionalità è insufficiente a configurare la fattispecie di cui all’art. 624 bis c.p.

Da ultimo, anche con la pronuncia n. 19982/19 la Cassazione ha evidenziato nuovamente la necessaria sussistenza del predetto nesso finalistico affinché venga a configurarsi la fattispecie de qua. Più nel dettaglio, con riguardo al furto di due telefoni cellulari, la Corte ha confermato la condanna riqualificando il fatto ai sensi degli artt. 624 e 61 n. 11 c.p., sul presupposto che l’imputato, in quanto fratellastro della persona offesa, aveva libero accesso all’abitazione di questa e dei suoi genitori.


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