Garanzia per vizi nella vendita . Natura, disciplina e riparto dell’onere probatorio
Sommario: 1. Inquadramento della problematica – 2. Le azioni edilizie – 3. Natura della garanzia per vizi – 4. La giurisprudenza sulla ripartizione dell’onere probatorio – 5. La pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 11748/2019 – 6. Conclusioni
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza 3 maggio 2019 n. 11748 torna sull’annoso problema della natura della garanzia per vizi nella vendita e, in particolare, essa si sofferma sul riparto dell’onere probatorio.
1. Inquadramento della problematica
L’art. 1476 c.c.[1] individua le obbligazioni principali del venditore e prevede espressamente l’’obbligo di consegnare la cosa al compratore o di fare acquistare a questi la sua proprietà, nel caso di contratto che non produca effetti traslativi immediati, nonché quello di garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa.
L’obbligo di consegnare la cosa, in virtù del principio consensualistico, sorge a seguito del consenso validamente prestato ma l’art. 1476 n. 3 parla anche di “garanzia per vizi”, ed è questa la parte più problematica della norma . Il successivo art. 1477 co 1 c.c. chiarisce, infatti, che la cosa va consegnata nello stato in cui si trovava al momento della vendita e, quindi, anche eventualmente viziata. Per tale motivo si sono posti molti dubbi, sia in dottrina che in giurisprudenza, circa la natura della garanzia per vizi. In proposito, infatti, “mancano soluzioni chiare e suggestioni storiche e concettuali concorrono a rendere il problema uno dei momenti di più incerta comprensione nello studio della vendita”[2]. La risoluzione di tale problema non è priva di conseguenze pratiche in quanto da essa deriva l’individuazione del regime applicabile alla vicenda anche in punto di riparto dell’onere probatorio. L’incertezza che affascia la natura di tale garanzia si è ripercossa, infatti, anche sulle azioni volte ad eliminare tali vizi e, cioè, le c.d. azioni edilizie.
2. Le azioni edilizie
Le azioni edilizie, di cui all’art 1492 c.c.[3], nascono nel diritto romano e sono così definite in quanto erano contenute negli editti degli edili curuli. Esse tutelano il compratore nel caso in cui questi abbia acquistato una cosa affetta da vizi preesistenti rispetto alla conclusione del contratto, e sono l’azione di riduzione del prezzo o azione estimatoria (Actio quanti minoris) e l’azione di risoluzione del contratto o azione redibitoria. Esse costituiscono un unicum del sistema in quanto vengono in rilievo per vizi non giuridici ma materiali presenti prima della stipula del contratto.
L’azione estimatoria costituisce esercizio di un diritto potestativo volto alla modificazione del contratto ed è, quindi, un rimedio manutentivo teso a salvaguardare il sinallagma e risponde, dunque, ad un principio di conservazione del contratto. L’azione redibitoria, invece, tende alla caducazione del contratto ed è quindi assimilabile alla risoluzione anche se, a differenza di questa, non richiede la colpa e si prescrive in un termine molto breve. Come avviene per la risoluzione, ad essa conseguono gli effetti restitutori propri dello scioglimento del vincolo negoziale. Il venditore, inoltre, può essere tenuto anche al risarcimento del danno ex art. 1494 c.c., se non prova di aver ignorato senza colpa i vizi, ma mentre le azioni edilizie prescindono dall’elemento psicologico, la responsabilità risarcitoria presuppone la colpa del venditore. Dato che, normalmente, l’azione di eliminazione dei vizi non è ricondotta nell’alveo delle obbligazioni principali del venditore , anche se con ricostruzioni differenti, per quanto riguarda un eventuale impegno del venditore a procedere alla loro eliminazione, si era posto un dubbio circa una possibile interferenza sulle azioni edilizie e, in particolare, su una possibile incidenza sul loro termine di prescrizione. In proposito si discuteva, in particolare, se l’assunzione di un tale obbligo da parte del venditore comportasse una novazione dell’obbligazione principale di questi. A partire dalla pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 2005[4], ribadita dalla pronuncia delle Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2012[5], però, l’orientamento prevalente è nel senso che l’eventuale impegno del venditore di eliminare i vizi, non ritenuto, appunto, un obbligo principale , comporta il nascere di una autonoma obbligazione di facere che si affianca all’obbligazione originaria e non la nova né la estingue ,per cui non ne altera la disciplina. L’impegno di eliminare i vizi, infatti, non costituisce un quid novi con effetto modificativo-estintivo della garanzia, ma un quid pluris che ne amplia le modalità di attuazione . In tal modo per quanto riguarda le azioni edilizie il regime della prescrizione resta quello ordinario di cui all’art. 1495 c.c. mentre il diritto all’eliminazione del vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale. Una volta chiariti gli effetti dell’azione di eliminazione dei vizi , però, non si sono sopiti i dubbi in merito alla natura della garanzia per vizi.
3. Natura della garanzia per vizi
Come rilevato, secondo i più, la garanzia per vizi pur essendo espressamente prevista dall’art. 1476 n. 3, non rientra tra le obbligazioni principali del debitore. A tale norma si è negata, infatti, natura precettiva rilevando che essa, invero, non identifica la natura giuridica di tale garanzia[6]. In proposito sono venute in rilievo svariate ricostruzioni.
Secondo un primo orientamento nel caso in cui sia presente un vizio viene in rilievo un errore sull’effettiva consistenza della cosa e, quindi, un vizio del consenso[7]. Questa soluzione, però, è criticata da chi rileva che l’errore come vizio del consenso può venire in rilievo solo se riconoscibile dall’altro contraente, mentre la garanzia opera anche nel caso di ignoranza dei vizi da parte del debitore. Per tale motivo altri hanno ricondotto la responsabilità per vizi all’interno della presupposizione. In tal caso il vizio farebbe si che la cosa non coincida con la rappresentazione di essa comune ad entrambe le parti ed inciderebbe sulla corrispettività delle prestazioni[8]. Anche in tal caso,però, si è rilevato che la garanzia opera anche quando il venditore conosce i vizi e, quindi, non può richiamarsi lo schema della presupposizione. Per tale motivo altri ancora ritengono che la garanzia per vizi costituisce un effetto della vendita e, in particolare, è un inadempimento non dell’obbligazione da esso nascente ma da un punto di vista della consistenza qualitativa della cosa. Per tale motivo il vizio comporta la violazione della lex contractus e la garanzia potrebbe ricondursi nell’ambito dell’assicurazione contrattuale di un dato risultato dalla quale discenderebbe un obbligo indennitario[9]. Anche questa soluzione, però, è soggetta a revisione critica da pare di chi rileva che, a differenza di quanto avviene per le azioni edilizie, il risarcimento del danno presuppone, ex art 1494 cc, una violazione colpevole del venditore mentre nell’assicurazione l’obbligazione indennitaria prescinde dalla colpevolezza. Per tale motivo autorevole dottrina accoglie un’altra impostazione in virtù della quale la garanzia per vizi deriva si da una responsabilità contrattuale ma non per violazione dell’obbligazione principale, bensì per l’inesatta esecuzione della prestazione, in quanto comporta un’anomalia dell’attribuzione traslativa[10]. In particolare, si sostiene che l’effetto reale difforme rispetto all’esatto risultato promesso non è vicenda estranea alla sfera dell’adempimento contrattuale, ma rappresenta la violazione dell’impegno traslativo del venditore[11]. Ed è questa la soluzione accolta di recente dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite la quale ha chiarito che in tal caso viene in rilievo una responsabilità contrattuale sui generis. In particolare, il problema della natura della garanzia per vizi comporta importanti conseguenze pratiche in punto di ripartizione dell’onere probatorio ed è in merito a tale questione che si segnala tale pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite.
4. La giurisprudenza sulla ripartizione dell’onere probatorio
Con riguardo al riparto dell’onere probatorio è necessario richiamare i precedenti arresti giurisprudenziali. Risulta fondamentale in proposito una pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni unite del 2001[12]. Con essa la Corte aveva, infatti, individuato due principi fondamentali in materia di responsabilità contrattuale: il principio di persistenza del diritto e quello di vicinanza. In virtù del principio di persistenza del diritto quando sussiste un titolo e, quindi, una obbligazione, il relativo diritto si presume e , dunque, non va provato. Il principio di vicinanza comporta, invece, che deve essere la parte che ha più faciltà a dare la prova a fornirla. E’, dunque, il debitore che deve provare di aver adempiuto, in quanto è più facile per questi provare il fatto positivo dell’adempimento. Per tali motivi, dunque, nel caso di responsabilità contrattuale il creditore prova il diritto e allega l’inadempimento mentre spetta al debitore provare l’eventuale adempimento. La responsabilità contrattuale viene, in tal modo, individuata si come una responsabilità soggettiva per colpa ma presunta, a differenza della responsabilità extracontrattuale. Si tratta di un indirizzo confermato anche successivamente[13] il quale comporta che “è a carico del venditore (debitore), in virtù del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di avere consegnato una cosa che sia conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene ; ove sia stata fornita tale prova, sarà allora onere del compratore dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa, ascrivibile al venditore”. Il problema che si è posto, però, riguarda l’applicazione di tali principi anche nel caso di garanzia per vizi della cosa. Ci si è chiesti, in particolare, se essi siano applicabili anche in tal caso o se , in tal caso, la configurazione dei rimedi, quale emerge dall’esame della giurisprudenza, giustifichi una soluzione differente. Sul punto di è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza del 2019.,
5. La pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 11748 /2019
La Corte accoglie l’orientamento in virtù del quale la presenza di un vizio, pur non costituendo inadempimento dell’obbligazione principale, comporta una responsabilità contrattuale. In particolare, essa chiarisce che si tratta di una responsabilità contrattuale speciale e sui generis in quanto si ha inadempimento contrattuale senza che vi sia inadempimento dell’obbligazione. In tal caso , infatti, la responsabilità non deriva dall’inadempimento dell’obbligazione del debitore-venditore, ma da una anomalia che si sostanzia in una imperfetta attuazione del risultato traslativo. Dato che, poi, nella azioni edilizie si prescinde dalla colpa, lo schema è quello della responsabilità oggettiva.
Una volta individuata la natura della garanzia la Corte si sofferma, poi, sul riparto dell’onere della prova e chiarisce che, in virtù della sua peculiarità, tale responsabilità non segue in toto lo schema individuato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2001. Nel caso di responsabilità per vizi, infatti, pur venendo in rilievo una responsabilità contrattuale non c’è una obbligazione e, dunque, non può applicarsi il principio di presunzione. La Corte di Cassazione chiarisce che in tal caso vengono in rilievo le regole generali in materia di riparto dell’onere della prova di cui all’art 2697 c.c. L’onere della prova , dunque, incombe su chi agisce e, quindi, sul compratore. E’ questi che deve provare i fatti che costituiscono il fondamento della propria azione e, quindi, il vizio. In tal modo è rispettato il principio di vicinanza, in quanto il bene è nella disponibilità dell’acquirente, ma non quello di persistenza del diritto.
6. Conclusioni
La soluzione adottata dalla Corte non appare in linea con quelle che sono le “esigenze di omogeneità del regime probatorio” affermate dalla Corte di Cassazione nel 2001. Essa risponde, invece, agli auspici di parte delle dottrina che sosteneva la necessità di una rivisitazione della regola di riparto degli oneri probatori, ritenendo i principi espressi dalla Corte inidonei ad essere applicati a tutte le ipotesi di inesatto adempimento.
[1] Art 1476 c.c. “Le obbligazioni principali del venditore sono: 1) quella di consegnare la cosa al compratore; 2) quella di fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l’acquisto non è effetto immediato del contratto; 3) quella di garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa”.
[2] Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato di dir. Civ. italiano, Cit., 699
[3] Art. 1492 c.c. “Nei casi indicati dall’art. 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione. La scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale. Se la cosa consegnata è perita in conseguenza dei vizi, il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto; se invece è perita per caso fortuito o per colpa del compratore, o se questi l’ha alienata o trasformata, egli non può domandare che la riduzione del prezzo”.
[4] Cassazione Civile, Sezioni Unite, 21/06/2005 sent. N. 13294
[5] Sezioni Unite sent. 13 novembre 2012, n. 19702
[6] Tra gli altri, Rubino, La Compravendita, in Tratt. Dir. Civ. e comm., diretto da Cicu-Messineo, XXIII, Milano, 1971,634
[7] Vedi Mirabelli, Della Vendita, cit., 90 e ss.
[8] V. Martorano, la tutela del compratore per vizi della cosa, Napoli 1959, 177 ss.
[9] V. Mengoni , I, Diritto civile, Milano, 1995 , 404-406
[10] V. Rubino, La compravendita, cit., 630 e ss.
[11] V. Bianca, op. cit., 709 e 710
[12] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 13533/2001
[13] Tra le altre v. Corte di Cassazione 20110/2013
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Avv. Olga Paola Greco
Avvocato presso la Corte d'appello di Napoli, si occupa di diritto penale e di diritto civile. E' autrice di numerosi articoli di contenuto scientifico.
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