Giudicato a formazione progressiva e ius superveniens di matrice comunitaria

Giudicato a formazione progressiva e ius superveniens di matrice comunitaria

Secondo la teoria del giudicato a formazione progressiva, elaborata e valorizzata dalla giurisprudenza amministrativa, anche le statuizioni contenute nelle sentenze rese in sede di ottemperanza sono idonee al giudicato, integrando quello della sentenza di cognizione.

La ratio giustificatrice della teoria de qua non è imperniata sul tessuto normativo del vigente codice del processo amministrativo, dal quale non si evince da alcuna disposizione;  bensì è individuata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, alla luce del periodo storico della sua genesi, in considerazione del processo amministrativo come processo di stampo impugnatorio – caducatorio.

Invero, tradizionalmente, la tutela demolitoria e in particolare quella di annullamento, unitamente a quella risarcitoria e cautelare tipica, rappresentano le uniche forme satisfattive dell’ interesse legittimo.

Dunque, considerata, in quel periodo storico, la natura tipica delle azioni esperibili nel processo amministrativo; il giudizio di ottemperanza consentiva un’ integrazione della sentenza del giudizio amministrativo, che si limitava ad annullare il provvedimento, senza che la P.A. potesse conoscere le esatte modalità esecutive con cui avrebbe dovuto rieditare il proprio potere pubblicistico.

Recentemente, la teoria del giudicato a formazione progressiva è stata messa in dubbio dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato che ha rimesso alla Adunanza Plenaria la questione concernente l’ attualità, alla luce del sistema processuale delineato dal codice del processo amministrativo, della concezione di un giudicato elastico, suscettibile di completamento in sede di ottemperanza.

In altri termini, il giudice amministrativo ha ventilato la possibilità di limitare il giudicato alle sole statuizioni della sentenza di merito e di interpretare il giudizio di ottemperanza come un’ azione di tipo, perentoriamente, più esecutivo.

A sostegno di questo orientamento giurisprudenziale, si pone in rilievo il cambio di prospettiva del processo amministrativo che, nato come processo sull’ atto e volto al suo annullamento, si è tramutato in un processo sul rapporto.

Confermano, inoltre, questo indirizzo giurisprudenziale: a) il meccanismo dei motivi aggiunti che consente al giudice di approfondire il thema decidendum, b) l’ introduzione della tutela cautelare ante causam e la possibilità di valutare la fondatezza dell’ istanza nel rito avverso il silenzio, in caso di attività vincolata o comunque laddove non vi siano margini di discrezionalità amministrativa, c) l’ esperibilità dell’azione di esatto adempimento, prevista dalla lettera c dell’ articolo 34 c.p.a. come modificata dal d.lgs. 160 del 2012, che ha consacrato definitivamente l’ ammissibilità di un’azione di condanna al rilascio del provvedimento richiesto dal ricorrente, d) l’ esperibilità dell’azione di accertamento, che oltre ad involgere il silenzio dell’ amministrazione, viene generalizzata alla stregua del combinato disposto di cui agli articoli 31 e 34, comma 3, c.p.a..

Ne consegue che il vigente principio di atipicità delle azioni processuali, esperibili dal ricorrente, permette al giudice amministrativo di pervenire ad una sentenza specifica e dettagliata, di guisa che il rimedio dell’ ottemperanza non si pone più in chiave di completamento del dictum del giudice amministrativo bensì è finalizzato a garantire                    l’ esecuzione della sentenza da parte della pubblica amministrazione.

Pertanto, la Sezione rimettente, richiamando e criticando la tesi del giudicato a formazione progressiva, ha chiesto all’ Adunanza Plenaria di stabilire in astratto uno o più criteri, certi e ripetibili, per definire il discrimine tra statuizioni della sentenza di ottemperanza suscettibili di passare in giudicato e mere misure esecutive; in seconda battuta, ha chiesto all’ Adunanza Plenaria di stabilire, anche alla luce del principio di diritto enunciato dalla Corte di Giustizia, nella sentenza pregiudiziale interpretativa del 2014, se il diritto nazionale conosca dei rimedi per ritornare sul giudicato che ha condotto ad una situazione contrastante con la normativa dell’ Unione Europea.

Con la pronuncia n. 11/2016, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, modifica l’ordine delle questioni a essa sottoposte dalla Quinta Sezione.

Invero, il massimo consesso della giustizia amministrativa, ritiene necessario, prima di stabilire se le statuizioni contenute nelle sentenze rese in sede di ottemperanza costituiscono giudicato (e se, in caso di risposta positiva a tale quesito, esistono strumenti per impedire che il giudicato produca effetti anticomunitari), delimitare esattamente il contenuto e la portata conformativa delle sentenze di cui si chiede l’ ottemperanza.

Dalla fattispecie esaminata dall’Adunanza Plenaria (vicenda processuale avente ad oggetto la realizzazione della Cittadella della Giustizia presso il Comune di Bari da parte dell’ impresa Pizzarotti) non può trarsi la definizione di una regola puntuale di comportamento; infatti nell’ipotesi di azione di annullamento di un provvedimento discrezionale e di azione avente ad oggetto attività discrezionale non ancora esercitata dall’amministrazione, si assiste alla formazione di un giudicato che contiene una regola incompleta, e che il sindacato non può estendersi all’intero rapporto controverso.

In riferimento alla sentenza ottemperanda, i giudici ritengono che la medesima non abbia riconosciuto all’ impresa il diritto incondizionato alla stipula del contratto e alla realizzazione dell’ opera: da essa deriva solo un obbligo procedimentale e strumentale (quello di portare a conclusione il procedimento), non un obbligo sostanziale e finale (quello di concluderlo riconoscendo il diritto alla stipula del contratto o, addirittura, alla realizzazione dell’ opera).

Di conseguenza, l’intervenuta sopravvenienza  -nella specie, una pronuncia della Corte di giustizia, considerata equiparabile ad una sopravvenienza normativa-, incidendo su un procedimento ancora in corso di svolgimento e su un tratto di interesse non coperto dal giudicato, ha determinato non un conflitto ma una successione cronologica di regole che disciplinano la medesima situazione giuridica.

Nel caso di specie, dunque, la prevalenza della regola sopravvenuta (rispetto al tratto di rapporto non coperto dal giudicato) si impone già in base ai comuni principi che regolano secondo il diritto nazionale il rapporto tra giudicato e sopravvenienze.

L’Adunanza conclude il proprio ragionamento con considerazioni relative a evitare in via preventiva l’insorgenza di un contrasto tra il diritto europeo e il giudicato amministrativo nazionale.

Richiamando recenti orientamenti delle Sezioni Unite del Giudice di legittimità (ordinanza 8 aprile 2016, n. 6891, che richiama la sentenza 6 febbraio 2015, n. 2403), il massimo consesso asserisce che l’interpretazione da parte del giudice amministrativo di una norma di diritto interno in termini contrastanti con il diritto dell’Unione Europea, secondo quanto risultante da una pronunzia della Corte di Giustizia successivamente intervenuta, dà luogo alla violazione di un limite esterno della giurisdizione, rientrando in uno di quei casi estremi in cui il giudice adotta una decisione anomala o abnorme, omettendo l’esercizio del potere giurisdizionale per errores in iudicando o in procedendo che danno luogo al superamento del limite esterno.

Ne deriva, conclusivamente, il dovere del giudice dell’ottemperanza di interpretare la sentenza portata ad esecuzione e delinearne la portata dispositiva e conformativa evitando di desumere da esse regole contrastanti con il diritto comunitario.

La dinamicità e la relativa flessibilità che spesso caratterizza il giudicato amministrativo nel costante dialogo che esso instaura con il successivo esercizio del potere amministrativo permettono al giudice dell’ottemperanza -nell’ambito di quell’attività in cui si sostanzia l’istituto del giudicato a formazione progressiva- non solo di completare il giudicato con nuove statuizioni integrative, ma anche di specificarne la portata e gli effetti al fine di impedire il consolidamento di effetti irreversibili contrari al diritto sovranazionale.

Il giudizio di ottemperanza, in quest’ottica, può rappresentate una opportunità ulteriore offerta dal sistema processuale anche per evitare che dal giudicato possano trarsi conseguenze anticomunitarie che darebbero vita a quei casi estremi in cui, richiamando gli insegnamenti delle Sezioni Unite, la sentenza diventa abnorme e supera i limiti esterni del potere giurisdizionale.


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Giuseppe Vito Anzelmo

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