Giudicato amministrativo, riedizione del potere, sopravvenienze normative

Giudicato amministrativo, riedizione del potere, sopravvenienze normative

Sommario1. La nozione di giudicato nel processo Amministrativo – 2. Il giudicato a formazione progressiva – 3. Il rapporto tra la forza della res iudicata e la continuità del potere amministrativo: “one shot” e “one shot temperato” – 4. Il giudicato amministrativo e il giudicato penale

1. La nozione di giudicato nel processo Amministrativo

La questione della tenuta del giudicato amministrativo impone preliminarmente di soffermarsi sulla definizione di giudicato nell’ambito del diritto amministrativo.

L’assenza nel Codice del processo amministrativo( d.lgs 2 luglio 2010, n.104)di una specifica nozione normativa di giudicato amministrativo, rende necessario il rinvio a due norme della disciplina civilistica e processual-civilistica: l’art 2909 c.c e 324 c.p.c, quali parametri di riferimento.

Anche se la nozione di giudicato risulta compatibile con il rito amministrativo, non si possono trascurare i profili di specialità perché il processo amministrativo vede quale parte necessaria il soggetto pubblico e persegue interessi di matrice pubblicistica.

Alla luce della prima disposizione, afferente alla nozione di giudicato sostanziale, si individuano gli effetti di tipo sostanziale, che si ricollegano ad un accertamento giurisdizionale incontrovertibile.

La seconda permette invece di stabilire quando, dal punto di vista processuale, una sentenza può dirsi passata in giudicato, quando la stessa risulti inoppugnabile.

Il giudicato accerta incontrovertibilmente le situazioni giuridiche sostanziali e realizza le esigenze di certezza e di stabilità.

Venendo ad un profilo molto rilevante che è quello su cui si sofferma l’Ad. Plen. 4/2019, per il giudicato amministrativo vale la regola prevista per il giudicato civile perché non c’è una norma ad hoc che disciplina gli effetti sul piano soggettivo. Si richiama l’art 2909 c.c. per cui il giudicato produce effetti tra le parti, oltre che nei confronti degli eredi e degli aventi causa. Vale il principio della res inter alios acta non nocet e non prodest, cioè chi non è parte del giudizio non può beneficiare degli effetti del giudicato.

Vale questa regola della relatività degli effetti del giudicato salvo eccezioni: ci sono casi in cui il giudicato amministrativo produce effetti ultra partes, anche nei confronti di soggetti che non sono parti del giudizio.

Gli effetti ultra partes sono effetti eccezionali che si producono come conseguenza dell’inscindibilità degli effetti dell’atto impugnato e del vizio dedotto e accertato in giudizio. Il giudicato di annullamento non può che produrre effetti ultra partes,  anche nei confronti dei soggetti che non l’hanno impugnato per l’inscindibilità degli effetti dell’atto e delle posizioni giuridiche dei soggetti destinatari.

2. Il giudicato a formazione progressiva

Il giudicato amministrativo è inserito nell’ ambito di un processo dinamico e progressivo, che dialoga con i pubblici poteri e cura interessi che sono mutevoli nel tempo, di cui non è possibile una preventiva cristallizzazione. Nel sistema del diritto amministrativo vige il principio di legalità debole, per cui emerge l’incapacità della legge ordinaria di regolare dettagliatamente le modalità con cui la Pubblica Amministrazione deve perseguire le sue finalità di matrice pubblicistica. L’autorità di cosa giudicata cede dinanzi alla stessa garanzia di verità. Si parla di cedevolezza e di flessibilità del giudicato amministrativo.

Questa flessibilità del giudicato che deriva dall’inesauribilità del potere amministrativo si ripercuote sul giudizio di ottemperanza.

Il giudizio di ottemperanza, disciplinato dall’art 112 cpa, è lo strumento da attivare per ottenere l’esecuzione di una sentenza pronunciata nei confronti della P.A sulla quale grava quindi l’obbligo di conformarsi. E’ una delle ipotesi ancora residuali nel nostro ordinamento di giurisdizione estesa al merito, in cui il giudice amministrativo si sostituisce alla Pubblica amministrazione inadempiente nell’adozione di provvedimenti necessari a dare attuazione alla pronuncia giurisdizionale non eseguita. Con un recente orientamento giurisprudenziale (Cons Stat. A. Plen 15 Gennaio 2013 n2) s’è chiarito che il Giudizio d’ottemperanza ha carattere polisemico diversamente dal giudizio esecutivo civile che ha contenuto meramente esecutivo.

Il giudizio di ottemperanza ha una doppia natura di cognizione e di esecuzione.

Il giudizio di cognizione consta di una pluralità di azioni, che possono essere alternative tra loro.

Si può tradurre in un’azione di annullamento del provvedimento, oppure in una sentenza determinativa volta ad individuare il mezzo necessario a rendere effettivo l’ordine di esecuzione oppure in una attività interpretativa che specifica, integra, dettaglia la regola contenuta nel giudicato, contenente una statuizione incompleta e elastica, da renderlo compatibile col diritto dell’unione europea, a condizione che il contrasto sia sanabile. L’integrazione del giudicato amministrativo, è esercizio di una attività cognitiva del giudice dell’ottemperanza che non si limita ad una mera esecuzione dello iussum, ma esplica una attività di verifica della corretta esecuzione del decisum da parte della p.a.

Da qui discende la natura di formazione progressiva del giudicato e viene in considerazione il rapporto tra effetto conformativo del giudicato e il riesercizio del potere da parte della Pubblica Amministrazione retto dai principi di continuità dell’azione amministrativa e d’inesauribilità  del potere esercitato.

L’effetto tipico del giudicato amministrativo è quello demolitorio, vale a dire la caducazione del provvedimento impugnato con efficacia retroattiva. La sentenza di annullamento può, inoltre, produrre l’effetto conformativo, orienta la successiva azione amministrativa, obbligata al rispetto delle prescrizioni contenute nel dictum giudiziale. Sussiste anche un effetto preclusivo , per cui la P.A non può reiterare il provvedimento con gli stessi vizi rilevati durante il giudizio impugnatorio.

Il giudicato a formazione progressiva è uno strumento che consente, in sede di esecuzione, di rendere il giudicato compatibile con la sopravvenienza normativa europea e con l’interpretazione del diritto dell’unione fornita dalla sentenze della Corte di Giustizia,  producendo non sono effetti costitutivi o preclusivi, ma anche conformativi e richiedendo, pertanto, il successivo intervento della P.A, che è chiamata alla riedizione del potere.

3. Il rapporto tra la forza della res iudicata e la continuità del potere amministrativo: “one shot” e “one shot temperato”

Dottrina   giurisprudenza hanno tentato di definire compiutamente il rapporto tra la forza della res iudicata e la continuità del potere amministrativo.L’esecuzione del giudicato amministrativo (sebbene quest’ultimo abbia un contenuto poliforme), non può essere il luogo per tornare a mettere ripetutamente in discussione la situazione oggetto del ricorso introduttivo di primo grado, su cui il giudicato ha, per definizione, conclusivamente deciso.

Se si accogliesse questa affermazione il processo, rischierebbe di non avere mai termine, e sarebbe in radicale contrasto con il diritto alla ragionevole durata del giudizio, all’effettività della tutela giurisdizionale, alla stabilità e certezza dei rapporti giuridici consolidatesi, alla stregua del principio del legittimo affidamento. (Cons. di Stato, Sez. VI, 17 marzo 2016, n. 1105).

Per evitare il riesercizio all’infinito del potere amministrativo, senza arrivare a un accertamento definitivo sulla spettanza o meno del bene amministrativo del privato, è stata introdotta la regola cd one shot.

La prima opzione ermeneutica dottrinale è denominata “one shot”in forza della  quale L’Amministrazione  può pronunciarsi negativamente  una sola volta facendo emergere  in detta  circostanza  tutte  le possibili motivazioni che s’oppongono  all’ accoglimento dell’istanza del privato.

Non può essere riconosciuto in ottemperanza un diritto nuovo e ulteriore rispetto a quello fatto valere ed affermato con sentenza da eseguire. La necessità di un’opera di integrazione affiora con evidenza allorquando la sopravvenienza sia rappresentata da una norma europea, in tale situazione fattuale l’opera di adeguamento discende dal primato dei principi dell’unione europea. Dopo il giudicato di annullamento l’amministrazione può riesercitare il potere una sola volta e può negare il bene della vita una sola volta mettendo in evidenza, in quel contesto, tutti i profili che ostacolano l’accoglimento dell’istanza del privato per cui l’amministrazione non può riesercitare una seconda volta il potere negativamente. L’amministrazione, dopo il giudicato di annullamento, può riesercitare negativamente per il privato il potere una sola volta dopo di che non può.

La seconda tesi invece, conosciuta come“one shot temperato”, cioè sono fatti salvi i fatti sopravvenuti. Se dopo l’esercizio del potere sopravvengono fatti nuovi, diversi e aggiuntivi, l’amministrazione può riesercitare una seconda volta il potere negando al privato il bene della vita in forza delle sopravvenienze

Da queste premesse discendono i seguenti corollari: a) L’esecuzione del giudicato amministrativo (sebbene quest’ultimo abbia un contenuto poliforme), non può essere il luogo per tornare a mettere ripetutamente in discussione la situazione oggetto del ricorso introduttivo di primo grado, su cui il giudicato ha, per definizione, conclusivamente deciso; se così fosse, il processo, considerato nella sua sostanziale globalità, rischierebbe di non avere mai termine, e questa conclusione sarebbe in radicale contrasto con il diritto alla ragionevole durata del giudizio, all’effettività della tutela giurisdizionale, alla stabilità e certezza dei rapporti giuridici (valori tutelati a livello costituzionale e dalle fonti sovranazionali alle quali il nostro Paese è vincolato); da qui l’obbligo di esecuzione secondo buona fede e senza che sia frustrata la legittima aspettativa del privato alla stabile definizione del contesto procedimentale; b) l’Amministrazione soccombente a seguito di sentenza irrevocabile di annullamento di propri provvedimenti ha l’obbligo di ripristinare la situazione controversa, a favore del privato e con effetto retroattivo, per evitare che la durata del processo vada a scapito della parte vittoriosa; c) questa retroattività dell’esecuzione del giudicato non può essere intesa in senso assoluto, ma va ragionevolmente parametrata alle circostanze del caso concreto ed alla natura dell’interesse legittimo coinvolto (pretensivo, oppositivo, procedimentale); d) tale obbligo, pertanto, non incide sui tratti liberi dell’azione amministrativa lasciati impregiudicati dallo stesso giudicato e, in primo luogo, sui poteri non esercitati e fondati su presupposti fattuali e normativi diversi e successivi rispetto a quest’ultimo; e) nella contrapposizione fra naturale dinamicità dell’azione amministrativa nel tempo ed effettività della tutela, un punto di equilibrio è stato tradizionalmente rinvenuto nel principio generale per cui l’esecuzione del giudicato può trovare limiti solo nelle sopravvenienze di fatto e diritto antecedenti alla notificazione della sentenza divenuta irrevocabile; sicché la sopravvenienza è strutturalmente irrilevante sulle situazioni giuridiche istantanee, mentre incide su quelle durevoli nel solo tratto dell’interesse che si svolge successivamente al giudicato, determinando non un conflitto ma una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica medesima; f) anche per le situazioni istantanee, però, la retroattività dell’esecuzione del giudicato trova, peraltro, un limite intrinseco e ineliminabile (che è logico e pratico, ancor prima che giuridico), nel sopravvenuto mutamento della realtà – fattuale o giuridica – tale da non consentire l’integrale ripristino dello status quo ante (come esplicitato dai risalenti brocardi factum infectum fierinequit e ad impossibilia nemo tenetur ) che semmai, ove ne ricorrano le condizioni, può integrare il presupposto esplicito della previsione del risarcimento del danno, per impossibile esecuzione del giudicato, sancita dall’art. 112, co. 3, c.p.a.”

4. Il giudicato amministrativo e il giudicato penale

Il giudicato penale, a differenza del giudicato amministrativo, si pone a presidio di beni giuridici di rango e spessore costituzionale e vanta del crisma dell’ intangibilità, nonostante si siano prospettate aperture verso la riapertura del processo alla luce di un corretto bilanciamento tra la certezza della pena e la tutela dell’inviolabilità della libertà personale limitatamente alle ipotesi fattuali in cui la norma che fonda il giudicato si riveli incostituzionale oppure abroga una determinata fattispecie incriminatrice, alla luce dell’art 2 comma 2 cp. Lo strumento processuale più idoneo a consentire l’intervento correttivo sul giudicato, per le Sezioni Unite è l’incidente di esecuzione previsto dall’art 673 c.p.p. Non si richiede un nuovo accertamento di merito che imponga la riapertura del processo, ma occorre semplicemente incidere sul titolo esecutivo per sostituire la pena inflitta con quella conforme alla Cedu, corretta costituzionalmente.


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