Giudizio abbreviato: necessità di rinnovazione in appello della prova dichiarativa
La recente sentenza delle Sezioni Unite n.18620 del 2017 delinea i confini di valutazione delle prove orali assunte in sede di rito abbreviato. In particolare, la Seconda Sezione penale con ordinanza del 28 ottobre-9 novembre 2016 ha rilevato la sussistenza di un contrasto interpretativo sulla questione dell’applicabilità, anche al procedimento con rito abbreviato non condizionato, dell’obbligo del giudice di appello, che ritenga di dover optare per un diverso apprezzamento della prova dichiarativa, stimata inattendibile dal giudice di primo grado, di disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per escutere nuovamente la fonte dichiarativa.
In merito è possibile delineare due tesi interpretative: la prima secondo cui il giudice di appello, investito dell’impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado (anche se emessa a seguito di giudizio abbreviato), non potrebbe riformare la sentenza impugnata optando per l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, senza aver proceduto ex art. 603 comma 3 c.p.p. a rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’audizione dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (Cass. Pen. Sez. Un. del 6 luglio 2016, n. 27620). La seconda tesi, al contrario, sostiene che, alla luce di un diverso apprezzamento degli apporti dichiarativi, il giudice di appello qualora voglia procedere alla riforma dell’assoluzione pronunciata in primo grado, non è obbligato a rinnovare l’istruttoria attraverso un nuovo esame dei dichiaranti, nel caso in cui lo reputi necessario per superare, in concreto, ogni ragionevole dubbio (Cass. Pen. Sez. III del 12 luglio 2016 n. 43242).
La questione rimessa alle Sezioni Unite può essere così enunciata: “se nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento emessa all’esito del giudizio abbreviato per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, il giudice di appello che riforma la sentenza impugnata debba avere precedentemente assunto l’esame delle persone che hanno reso tali dichiarazioni”.
Sul punto, i giudici di legittimità confermano con la recente sentenza oggetto di analisi l’orientamento già espresso dalla sentenza n. 27620/2016, che ha esteso anche al giudizio abbreviato la regola in base alla quale se il pubblico ministero propone appello avverso una sentenza di proscioglimento per motivi relativi alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice di appello deve disporre la rinnovazione dell’esame dei dichiaranti.
La suesposta sentenza fa perno su un criterio generale all’interno del processo penale direttamente collegato al principio costituzionale della presunzione di innocenza. È stato evidenziato, infatti, che il canone “oltre ogni ragionevole dubbio” si orienta nel ritenere che, in mancanza di elementi sopravvenuti, l’eventuale rivisitazione in senso peggiorativo compiuta in appello debba essere sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive lacune nella decisione assolutoria, la quale deve rivelarsi non più sostenibile. L’interpretazione di tale assunto fonda la sua ratio nel fatto che per riformare un’assoluzione “non basta una diversa valutazione di pari plausibilità rispetto alla lettura del primo giudice, occorrendo invece “una forza persuasiva superiore”, capace di far cadere ogni ragionevole dubbio, perché mentre la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza, bensì la mera non certezza della colpevolezza” (Cass. Pen. Sez. Un. n. 18620 del 14.04.2017).
Secondo quanto sostenuto dalla Suprema Corte, la regola “oltre ogni ragionevole dubbio” pretende dunque argomentazioni motivate circa le opzioni valutative della prova, giustificazione razionale della decisione, essendo necessario riconoscere che il diritto alla prova, quale espressione del diritto di difesa, riguarda principalmente il diritto delle parti ad una completa e razionale valutazione della prova. Talché, appare ragionevole che anche nell’ambito del giudizio abbreviato risulterebbe operativo l’imperativo della motivazione rafforzata basata sull’effettuazione obbligatoria di un’istruttoria, quantunque non espletata nel giudizio di primo grado e con l’assunzione per la prima volta in appello di una prova dichiarativa decisiva.
Dunque, è il rispetto della presunzione di innocenza che impone di riassumere le prove decisive attraverso il metodo dell’oralità e dell’immediatezza attraverso l’apprezzamento diretto degli apporti probatori dichiarativi rivelatisi decisivi per il proscioglimento in primo grado, ciò qualora il giudice di appello nutra dubbi sull’esito decisivo al quale la suddetta prova abbia dato corso.
I giudici di legittimità precisano, infatti, che di fronte ad un risultato dichiarativo cartolare (tipico del giudizio abbreviato non condizionato) il giudice di appello, al quale non può essere riconosciuto un potere maggiore rispetto a quello del primo grado, possa pronunciare, in riforma di quella assolutoria, una sentenza di condanna fondata solo sul rapporto mediato che esso ha con le prove e senza il diretto esame delle fonti dichiarative. In tale caso, l’appello non si risolve in una mera sede di valutazione critica, in fatto e in diritto dei percorsi logici e motivazionali del giudice di primo grado, ma in un giudizio asimmetrico nel quale è necessaria un’integrazione probatoria che supera la presunzione di esaustività dell’accertamento avvenuta in primo grado.
In conclusione, le Sezioni Unite affermano il seguente principio di diritto: “è affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett.e), c.p.p., per mancato rispetto del canone di giudizio al di là di ogni ragionevole dubbio, di cui all’art. 533, comma 1, c.p.p., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all’esito di un giudizio abbreviato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all’esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni”.
Dunque, in linea con quanto affermato dai giudici di legittimità è possibile concludere sostenendo che un accertamento cartolare in grado di appello a seguito di impugnazione del pubblico ministero di sentenza di proscioglimento è incompatibile con il superamento del limite del “ragionevole dubbio”, posto che una condanna che non si è nutrita dell’oralità nell’assunzione della base probatoria confligge con la presunzione di non colpevolezza quale principio costituzionale di cui all’art. 27, secondo comma.
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