Gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis Legge Fallimentare
a cura di Paolo Ferone
L’accordo di ristrutturazione dei debiti sancito all’art 182-bis è un accordo stragiudiziale tra debitore e creditori.
Cosa occorre per proporre un accordo di ristrutturazione dei debiti:
Lo stato di crisi, inteso come difficoltà di far fronte alle obbligazioni assunte;
L’adesione del 60% dei creditori (art. 182-bis 1° co.);
Il deposito della documentazione di cui all’art. 161 L.F.;
Una relazione redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, 3° comma lett. d), sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.
Questo tipo di accordo non può tuttavia essere ricondotto alle procedure concorsuali per motivi di carattere sia strutturale che procedurale:
Non è stabilito un vero e proprio procedimento, ne tantomeno un procedimento di apertura;
Non si assiste alla nomina di organi quali un commissario, un amministratore giudiziale, un giudice delegato od un comitato dei creditori;
Non vi è il coinvolgimento di tutti i creditori e neppure un’efficacia erga omnes (al netto di qualche, seppur autorevole dottrina minoritaria);
Gli stessi creditori non sono organizzati come una collettività;
Il debitore conserva pieni poteri nell’impresa, anche perché non si verifica alcuna forma di spossessamento nei suoi confronti.
L’accordo di ristrutturazione dei debiti, dunque è un accordo contrattuale che il debitore stipula con il creditore, una volta raccolta l’accettazione dei creditori.
L’accordo tra i creditori non coinvolge, né è finalizzato a coinvolgere, l’insieme dei creditori. Invero, gli effetti dell’accordo sono limitati ai sottoscrittori dell’accordo stesso, in quanto, proprio perché configurato come un contratto si applica la disciplina dell’art 1372 c.c., il quale stabilisce che gli effetti dell’accordo sono vincolanti solo per le parti, cosi come stabilito anche all’art 182-bis il quale conferma che i creditori estranei debbono conseguire l’integrale pagamento del proprio credito.
Il Tribunale deve effettuare una valutazione in ordine alla solvibilità oltre che dei crediti aderenti all’accordo, anche di quelli che non hanno aderito?
L’art. 182-bis al 1° comma è chiaro nello stabilire che la valutazione in ordine al reale soddisfacimento dei crediti deve essere esteso anche ai creditori non aderenti (“L’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’articolo 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d) sulla veridicità dei dati aziendali e sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori.”).
Se un creditore aderisce ma non si raggiunge la maggioranza necessaria, ossia il 60%, il suo credito subisce ugualmente l’eventuale rimessione parziale del credito?
No, perché la rimessione parziale si realizza nell’ipotesi di conclusione dell’accordo, essendo il raggiungimento della maggioranza del 60% condizione per la configurazione di tale contratto il credito resta immutato.
A questo punto ci si potrebbe la domanda in ordine alla convenienza per il creditore all’adesione di tale accordo. La risposta a tale interrogativo deriva dalla prassi. Infatti, se nessuno dei creditori aderisse all’accordo, la situazione di crisi di liquidità del debitore comporterebbe uno stato di insolvenza consolidato e, dunque, ad un suo eventuale fallimento, con tutto quello che tale situazione comporta in capo ai creditori. Di converso, l’effetto degli atti abdicativi dei creditori aderenti consente l’estinzione regolare delle obbligazioni verso gli estranei e questo consentirà al debitore di far fronte alle obbligazioni ormai “ristrutturate” verso gli aderenti.
Il creditore non aderente e dunque estraneo resta comunque coinvolto nell’accordo di ristrutturazione. Ad esempio ben potrebbe accadere che le previsioni convenute nel piano o nell’omologa non risultino adeguate per consentire la soddisfazione dei suoi crediti. A questo punto egli ha a disposizione lo strumento dell’opposizione all’omologa con il quale egli potrà far valere la mancata coerenza o attendibilità o sufficienza delle risorse per la soddisfazione dei propri crediti. Dunque, per evitare di incorrere in simili situazioni è fondamentale predisporre una relazione che preveda coperture appropriate. Il creditore estraneo pur non avendo a disposizione i rimedi previsti contrattualmente nell’accordo, ha comunque la possibilità di utilizzare gli strumenti di diritto comune. Potrà dimostrare il fumus ed utilizzare strumenti cautelari, cosi come potrà sfruttare ogni istituto messo a disposizione dall’ordinamento per la tutela del contratto, ivi inclusa la proposizione della domanda di fallimento.
La funzione incentivante dell’omologazione dell’accordo
La disciplina dell’art. 182-bis L.F. attraverso l’omologazione consente di rimuovere i rischi di revocatoria e penali potenziali in capo a coloro che aderiscono all’accordo. L’omologazione del Tribunale, senza dubbio concretizza un grado di affidabilità dell’accordo stesso scaturente dalla relazione del professionista e dalla valutazione in ordine alla ragionevolezza dell’accordo per il soddisfacimento dei creditori estranei.
Ma fin quando i creditori possono esperire azioni su beni del debitore?
L’impronta marcatamente negoziale di tale accordo lascia emergere spazi di vulnerabilità del patrimonio del debitore in tutta la fase antecedente la presentazione dell’accordo ed al suo deposito presso il registro delle imprese. Invero durante la fase delle trattative è ben possibile, da parte dei creditori, acquisire prelazioni sul patrimonio del debitore, intraprendere azioni cautelari, come anche azioni esecutive.
L’art. 182-bis stabilisce che Il giudice “Nel corso dell’udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui al primo comma e delle condizioni per l’intergale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista a norma del primo comma.”
Orbene la stessa norma prevede che “Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma può essere richiesto dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente ai sensi dell’articolo 9 la documentazione di cui all’articolo 161, primo e secondo comma lettere a), b), c) e d), e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), circa la idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare.”
Da quando acquista efficacia l’accordo?
L’accordo acquista efficacia dal giorno della pubblicazione nel registro delle imprese e per sessanta giorni i creditori per titolo anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari od esecutive sul patrimonio del debitore. Il perché di tale blocco va ravvisato nella necessità del Tribunale di esaminare l’istanza, senza rischi di modificazioni patrimoniale derivanti dalle summenzionate azioni. Dunque si assiste ad una cristallizzazione del patrimonio volta ad una assoluta corrispondenza tra situazione reale e quella prevista nell’accordo.
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