Gli accordi in vista della crisi matrimoniale
L’espressione “accordi in vista della crisi matrimoniale” comprende due diverse fattispecie, ovvero quella degli accordi prematrimoniali e quella degli accodi divorzili.
Le due diverse tipologie di accordo sono accomunate dalla medesima funzione, distinguendosi per il momento in cui avviene la stipulazione: entrambi, in particolare, sono finalizzati a disciplinare l’intero assetto ovvero un singolo aspetto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi in caso di scioglimento del vincolo matrimoniale; gli uni, tuttavia, sono conclusi dai nubendi prima del matrimonio, mentre gli altri sono stipulati successivamente in vista della separazione o del divorzio.
Tanto premesso, ci si interroga in ordine alla compatibilità di tali accordi con i principi generali dell’ordinamento e in particolare con le disposizioni in materia di doveri coniugali, le quali sono considerate dalla legge come inderogabili.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale in passato prevalente, siffatti negozi sarebbero nulli per illiceità causale o comunque per impossibilità dell’oggetto.
In primo luogo la nullità deriverebbe dalla violazione dell’art. 160 c.c., la cui norma costituisce la massima espressione dell’assoluta indisponibilità dei diritti e doveri che scaturiscono dal matrimonio e del conseguente divieto di commercializzazione dello stato di coniuge, il quale è per sua stessa natura indisponibile.
D’altra parte, l’invalidità degli accordi in vista della crisi matrimoniale sarebbe dovuta alla violazione del diritto di difesa, finendo per limitare la capacità del coniuge di esercitare tale prerogativa nel successivo giudizio di divorzio.
La legittimità di essi, inoltre, non può certo desumersi dall’ammissibilità del divorzio congiunto, posto che in tale ipotesi le intese raggiunte dalle parti sull’assetto economico attengono ad un divorzio a cui le stesse hanno già deciso di pervenire.
Tale concezione, tuttavia, risulta ad oggi superata dalla prevalente giurisprudenza, la quale è pervenuta a valorizzare maggiormente la libertà di autodeterminazione dei coniugi, anche in vista della crisi matrimoniale.
Si contestano, nello specifico, i due postulati posti alla base dell’orientamento precedente, ovvero l’indisponibilità dei diritti e dei doveri coniugali, la quale opererebbe solo in peius, e la sussistenza di una violazione del diritto di difesa, esclusa in assenza di clausole che impegnino il coniuge a tenere determinati comportamenti processuali diretti ad influire sullo status coniugale.
Secondo questa impostazione, dunque, il riferimento temporale al fallimento della società coniugale, quale evento condizionante l’efficacia dell’accordo, rappresenta una condizione sospensiva lecita, in quanto conforme alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume e non meramente potestativa, apposta ad un negozio atipico nel perseguimento di interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento e dunque nel legittimo esercizio dell’autonomia contrattuale delle parti, così come ad esse riconosciuta dall’art. 1322 c.c.
Sulla base di quanto affermato, la giurisprudenza inizia così ad ammettere la validità di quelle pattuizioni che non intendano regolare l’intero assetto economico delle parti e nemmeno un profilo specificatamente disciplinato dalla legge, bensì singoli aspetti diversi ed ulteriori.
In materia di separazione personale, in particolare, si suole distinguere tra atti integrativi, anteriori, coevi o successivi all’accordo di separazione poi omologato, ed atti modificativi dell’accordo medesimo.
I primi sono stati ritenuti validi ed efficaci nel caso in cui non interferiscano con le disposizioni dell’intesa omologata, andando a riguardare un aspetto da questa non disciplinato e comunque ponendosi in posizione di compatibilità con quanto in essa previsto.
Quanto agli accordi modificativi, invece, si è ritenuto siano validi ed efficaci, a prescindere dall’intervento del giudice ex art. 710 c.p.c. per la modifica formale del provvedimento di separazione, qualora non superino il limite di derogabilità consentito dall’art. 160 c.c., e siano pertanto diretti a modificare le pattuizioni contenute nell’accordo omologato in misura maggiormente favorevole per gli interessi tutelati.
Non pongono particolari problemi di compatibilità con l’ordinamento, invece, i patti meramente esecutivi, attraverso i quali i coniugi si limitano a dare attuazione alle prescrizioni contenute nell’accordo di separazione omologato, nonché gli accordi raggiunti dai consorti in sede di separazione di fatto, stante la mancata correlazione di questi con il mutamento dello status.
Le medesime argomentazioni effettuate in materia di accordi stipulati in vista della separazione, d’altronde, valgono con riferimento agli accordi di divorzio, ovvero quei negozi stipulati dai coniugi al fine di disciplinare l’assetto patrimoniale della famiglia in relazione alla fase successiva allo scioglimento del vincolo matrimoniale, i quali devono ritenersi altrettanto ammissibili nei limiti delle condizioni indicate.
Detto questo, parte della giurisprudenza più recente compie un ulteriore passo in avanti verso il completo riconoscimento della validità giuridica degli accordi in vista della crisi matrimoniale, ritenendo pienamente efficaci, in quanto non contrastanti con l’art. 160 c.c. né tantomeno con l’ordine pubblico, anche quelli disciplinanti l’intero assetto economico delle parti o comunque un profilo rilevante, come per esempio il diritto al mantenimento.
A sostegno di tale impostazione si richiama, anzitutto, l’istituto delle convenzioni matrimoniali, le quali sono appunto intese dirette a disciplinare l’assetto economico delle parti in occasione del matrimonio, e la cui efficacia è quindi subordinata al mutamento di status dei nubendi.
D’altra parte, si osserva, è lo stesso istituto della donazione obnuziale a confermare la validità di tali accordi, e in particolare a ribadire la possibilità di considerare il mutamento di status quale condizione di efficacia del negozio, così come avviene negli accordi pre o post matrimoniali.
Del resto, con particolare riferimento al diritto al mantenimento, non si vede la ragione per la quale nella c.d. fase patologica del rapporto coniugale possano cessare la maggior parte dei diritti e dei doveri matrimoniali, mentre tale diritto debba invece permanere intatto e nulla in merito ad esso possa essere determinato dalle parti.
L’art. 160 c.c., inoltre, dal quale è fatto derivare il principio dell’incommerciabilità dello stato di coniuge, non sembra poter essere automaticamente esteso anche al divorzio, essendo esso riferito specificatamente ed esclusivamente agli sposi.
Infine, si evidenziano le analogie sussistenti tra gli accordi in vista della crisi matrimoniale e quelli stipulati in tema di annullamento del matrimonio, sui quali la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata più volte in senso favorevole.
In conclusione, secondo l’orientamento ad oggi dominante si deve pervenire a riconoscere piena validità ed efficacia agli accordi stipulati dai coniugi in vista della crisi matrimoniale: stante la meritevolezza dell’interesse con essi perseguito, essi costituiscono infatti legittima espressione dell’autonomia contrattuale delle parti, alle quali deve essere garantita la possibilità di predeterminare le condizioni economiche e patrimoniali di un’eventuale separazione o divorzio.
L’unico limite a tali accordi, in particolare, deve essere individuato nella inderogabilità in peius dei diritti e dei doveri coniugali, così come desunta da quanto previsto dall’art. 160 c.c., mentre nessuna importanza dovrebbe invece assumere il fatto che gli stessi abbiano ad oggetto un profilo rilevante ovvero tutti o parte dei rapporti economici concernenti le parti.
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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo.
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Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale.
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