Gli effetti del Covid-19 nel rito del lavoro. Spunti di riforma
Nonostante l’emergenza da covid-19 sembra ormai finita, quanto vissuto non può essere considerato una mera parentesi da lasciarsi alle spalle senza trarne insegnamenti per regolare le situazioni future.
Il covid-19 non ha risparmiato nemmeno il settore della giustizia, infatti, anche in tale ambito si sono rese necessarie l’adozione di svariate misure atte a contrastare le conseguenze del virus.
I vari interventi normativi emergenziali adottati dal Governo nel settore della giustizia possono essere suddivisi in due macro categorie: a) disposizioni per il processo civile; b) disposizioni per il processo penale.
Non sono state previste delle regole specifiche destinate al processo del lavoro, occorre, quindi, fare riferimento alle disposizioni emanate per i giudizi civili in generale.
I primi provvedimenti – D.L. n.9; n. 18; n.23; del 2020 – hanno previsto la sospensione dei termini processuali e delle udienze. Detta sospensione ha operato per tutte le controversie, salvo i casi delle c.d. controversie «urgenti» individuate dall’art 83., Comma 6, del D.L. n.18 del 2020. I provvedimenti, appena richiamati e quelli che vedremo in seguito, hanno posto numerose questioni interpretative. In ambito giuslavoristico le questioni che destano maggior interesse sono quelle che concernono: a) l’effettiva sospensione dei termini nel processo del lavoro; b) l’individuazione dei procedimenti «urgenti» sempre nell’ambito del rito del lavoro; c) il rispetto del principio dell’oralità, corollario del rito ex 409 cpc, a seguito dell’udienza figurativa.
L’effettiva sospensione dei termini nel processo del lavoro. Il Governo ha introdotto, nel prevedere la suddetta sospensione, una tipologia di sospensione molto più ampia rispetto a quella classica, che ricorre nel periodo feriale, ex art. 92 D.P.R. n.12 del 1941, le uniche eccezioni sono quelle individuate ope legis e ope iudicis.
I primi problemi interpretativi, dovuti alla suddetta sospensione, potrebbero sorgere circa la corretta verifica dell’instaurazione del contraddittorio. La norma, infatti, ha previsto un mero rinvio delle udienze per cui nei casi in cui vi sia il dubbio che il convenuto non sia venuto a conoscenza del rinvio dell’udienza non può trovare applicazione l’art. 164 c.p.c nell’ipotesi in cui prevede la nullità dell’atto di citazione per vizio di vocatio in ius. In tal caso l’attore avrà l’onere di notificare il decreto di differimento.
La sospensione opera su tutte le scadenze processuali, si ricomprendono, quindi, le scadenze previste per gli atti necessari ad instaurare un giudizio di cognizione ovvero esecutivo. Tale orientamento, confermato dalla Cassazione con relazione n.28 del 1.3.2020, conferma l’idea secondo cui la nozione “termine processuale” non può limitarsi ad indicare gli atti successivi all’introduzione del processo bensì deve ricomprendere anche quelli preliminari all’instaurazione del giudizio.
Per quel che concerne i termini a ritroso, ad esempio quelli che riguardano la costituzione del convenuto (ex. art 416 c.p.c che prevede la costituzione dieci giorni prima dell’udienza fissata per la discussione), l’art. 83 co. 2 D.L. 18 del 2020 prevede che se detto termine ricade nel periodo di sospensione l’udienza deve necessariamente essere differita. La norma in commento opera una deroga a quanto previsto in via generale. Infatti, nel caso in cui il termine a ritroso ricada nel periodo di sospensione feriale i termini vengono anticipati (Cass. 14.09.2017 n. 21335).
L’individuazione dei procedimenti «urgenti» sempre nell’ambito del rito del lavoro. La sospensione dei termini “emergenziale” non ha riguardato le controversie individuate all’art. 83 co. 3, D.L. n. 18 del 2020.
Tale disposizione individua alcune fattispecie tipiche e due macro-ipotesi: a) «procedimenti cautelari» con riguardo ai diritti fondamentali della persona; b) «provvedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti». Gli interpreti giuslavoristici si sono chiesti quali controversie del lavoro rientrino nelle ipotesi appena dette.
Poiché nelle ipotesi specifiche il legislatore non ha previsto nessuna fattispecie lavoristica e previdenziale, gli esperti del settore si sono sforzati di capire quali controversie potessero rientrare nelle macro categorie inerenti il “grave pregiudizio” e i “diritti fondamentali”. Partendo dall’assunto secondo cui il diritto al lavoro rappresenta sicuramente un diritto fondamentale della persona si sarebbero potuti trattare tutti i provvedimenti in cui vi era il diritto alla riammissione in servizio ovvero casi in cui in si potrebbe palesare l’urgenza ex lege, in procedimenti lavoristici, di reprimere condotte antisindacali.
Difatti, il processo del lavoro è andato avanti a pieno regime, nei limiti del possibile, anche durante la fase più acuta dell’emergenza sanitaria. Tutte le misure governative emergenziali che, in qualunque modo, si sono trovate ad intaccare il mondo del lavoro hanno creato l’instaurazione di molti contenziosi civili tra il lavoratore ed il datore di lavoro. In piena pandemia lo strumento più utilizzato dal lavoratore per adire il sindacato del Giudice è stato il ricordo cautelare ex art. 700 c.p.c.
Basti pensare, infatti, che, spesso, la legislazione d’urgenza è stata caratterizzata dal caos più totale dovuto dalla sovrapposizione di continui aggiornamenti legislativi e, inevitabilmente, la conseguenza di ciò è stata quella che gli stessi datori di lavoro hanno iniziato ad adottare delle misure volte a evitare qualsivoglia responsabilità che gli deriva, fra le tante norme, anche dall’articolo 2087 c.c.. Disposizione che nell’imporre al datore di lavoro la sicurezza del lavoratore e dei luoghi di lavoro è stata invocata per giustificare qualsiasi provvedimento volto a sospendere il lavoratore.
Il rispetto del principio dell’oralità, corollario del rito ex 409 c.p.c., a seguito dell’udienza figurativa. Per non bloccare del tutto la macchina della giustizia sono stati previsti degli strumenti speciali per gestire le udienze non rinviate.
Molti di questi strumenti sono ancora utilizzati e il D.L. 30.12.2021 n.228 li ha prorogati sino al 31.12.2022. Questi strumenti, se da un lato stanno consentendo lo svolgimento dei processi in modo da contrastare la diffusione del virus, dall’altro, rischiano di pregiudicare le parti processuali poiché si pongono in contrasto con alcuni principi propri del rito del lavoro. L’art. 83 del decreto “Cura Italia” ha previsto l’udienza con una partecipazione figurativa, la quale si attua attraverso il deposito telematico di note scritte. Tale strumento è utilizzabile solo per le udienze dove non occorre «la presenza di soggetti diversi dai difensori dalle parti». Ergo, tale modalità di svolgimento figurata non è utilizzabile nelle udienze in cui si richiede la comparizione personale delle parti, in quelle dove vengono escussi i testimoni ovvero nelle udienze dove il consulente tecnico d’ufficio deve prestare giuramento. Dall’utilizzo di questo strumento derivano dubbi di compatibilità in tutte quelle ipotesi in cui si prevede espressamente la discussione orale della causa. Per quanto qui di interesse nel rito del lavoro, l’art. 429 c.p.c. dispone che il giudice dopo aver udito le conclusioni delle parti pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio. Ebbene, il problema che sorge è di duplice natura; in primis verrebbe meno il principio dell’oralità e, secondariamente, le disposizioni emergenziali prevedevano la successiva adozione fuori udienza del provvedimento. In merito a questi dubbi si registrano numerose sentenze che sanciscono la nullità della stessa laddove venga omessa la lettura in udienza. Per porre rimedio a tale errore legislativo, il governo, con la L. n. 77 del 2020, ha eliminato la possibilità di adottare il provvedimento fuori l’udienza ma non ha risolto il dubbio circa la legittimità di utilizzare la trattazione scritta in quei riti in cui è prevista la discussione orale della causa. Per alcuni, infatti, una deroga al principio dell’oralità costituisce, in re ipsa, una lesione del diritto di difesa. Soprattutto nei casi in cui – ad esempio l’art. 281-quinques c.p.c – si prevede che le parti abbiano diritto ad un termine unico per depositare le difese conclusive. Limitando la difesa al deposito delle sole note scritte si impedirebbe alle parti di esercitare compiutamente il diritto di replica. I singoli Tribunali, per prassi, hanno proceduto a concedere un termine per le repliche scritte. Tutto ciò in realtà non fa altro che stravolgere il principio dell’oralità quale presupposto dell’immediatezza processuale che a sua volta si traduce nel principio del giusto e della ragionevole durata del processo (artt. 24 e 111 Cost.).
Per altri, invece, non bisogna accettare le critiche appena esposte per i seguenti motivi. In primis il legislatore ha previsto la possibilità per le parti di chiedere, attraverso un’istanza, la trattazione orale della causa. Anche se tale istanza non deve essere motivata sarà in questa sede che il difensore potrà manifestare le ragioni per le quali ritiene la discussione orale di fondamentale importanza.
Secondariamente, il principio dell’oralità non assurge, almeno direttamente, a canone di rango costituzionale (a differenza del diritto alla salute), per cui, proprio in riferimento alle cause di lavoro e previdenziali che sono caratterizzate da un alto tecnicismo giuridico e per questo affidate al giudice del lavoro si può ipotizzare una discreta probabilità di successo dell’udienza a trattazione scritta. La censura di chi lamenti che operando in tal senso possa venir meno il criterio della pubblicità dell’udienza e, conseguentemente, che si possa pervenire ad una giustizia “chiusa e non egualitaria”, trova, sicuramente, più riscontro in sede penale che in quella civile soprattutto se facciamo riferimento all’alto tecnicismo proprie delle cause civili in ambito previdenziale e lavoristico (così come anche confermato dalla CEDU).
Sicuramente, se la prassi giuridica porterà ad ottimi risultati non è escluso che la trattazione scritta possa diventare uno strumento comune. Ciò forse è anche nelle intenzioni del legislatore, in quanto ha prorogato questi strumenti speciali fino al 31 dicembre del 2022, data di gran lunga più lontana rispetto a quella effettiva in cui è stato dichiarato cessato lo stato emergenziale (31.03.2022).
In conclusione, bisogna, anche in questo caso, prendere l’aspetto positivo di questa legislazione emergenziale. Con questo non si intende sostenere una completa dematerializzazione del processo “ordinario”, ma si pensa al fatto che gli strumenti ivi accennati, a cui si aggiungono le udienze da remoto o quelle miste, possano portare ad un concreto sviluppo della “macchina processuale”. Ad esempio, la trattazione scritta o remota potrebbe essere usata per superare quelle udienze considerate un inutile orpello, quali ad esempio quelle fissate per la precisazione delle conclusioni ovvero quelle dove si trattano questioni puramente formali come il giuramento del consulente tecnico. In queste ipotesi, le modalità cartolari non intaccano i valori del processo e potrebbero ridurre di gran lunga i tempi processuali.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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