Gli effetti della Brexit sui contratti in corso e futuri

Gli effetti della Brexit sui contratti in corso e futuri

La disanima degli effetti della Brexit sui contratti in corso e sui contratti futuri è in gran parte vincolata ai futuri accordi che la Gran Bretagna concluderà con l’Unione Europea durante il periodo di almeno due anni di trattative con le Istituzioni europee ( come previsto dall’art. 50 TUE).

Con molta probabilità, la legge inglese in materia di contratti non sarà particolarmente influenzata dalla Brexit, in quanto la materia contrattuale anglosassone è regolata principalmente dai principi di common law e dal principio cardine che vige nel Regno Unito del “freedom of contract”, che riconosce la prevalenza dell’accordo raggiunto dalle parti[1].

Nonostante tale premessa, vi sono alcuni aspetti della prassi contrattuale che saranno inevitabilmente inficiati dall’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, tra cui:

  • Clausole relative alla legge applicabile al contratto;

  • Clausole che indicano l’Unione europea come campo di applicazione del contratto;

  • Clausole di proroga della giurisdizione a favore di un giudice inglese;

  • Nuovi/futuri contratti.

Clausole relative alla legge applicabile al contratto

I Regolamenti Roma I ( Regolamento (CE) n.593/2008 in tema di legge applicabile alle obbligazioni contrattuali in materia civile e commerciale) e Roma II ( Regolamento (CE) n. 864/2007 in tema di legge applicabile alle obbligazioni non derivanti da contratto) impongono al giudice di qualsiasi Stato membro di rispettare la scelta effettuata dalle parti circa la  legge applicabile al contratto.

Per quanto riguarda la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, l’art. 2 del Regolamento Roma I dispone che “la legge designata dal presente Regolamento si applica anche ove non sia quella di uno Stato membro” (c.d. carattere universale del Regolamento).

Tale dato normativo, unitamente alla similitudine dei principi previsti dal common law e dal Regolamento in materia di obbligazioni contrattuali, conducono i primi commentatori a sostenere che la Brexit non dovrebbe apportare cambiamenti significativi ai contratti in corso sul profilo della legge applicabile.

Ne consegue che le parti contraenti potranno continuare a scegliere il diritto inglese come legge disciplinante il contratto e le eventuali future controversie, anche nel momento in cui il Regno Unito non sarà più parte dell’UE.

Clausole che indicano l’Unione Europea come campo di applicazione del contratto

Tali clausole dovranno necessariamente essere rimodulate scorporando il Regno Unito dall’Unione Europea. Ciò assumerà un particolare rilievo per i contratti quali il franchising, la distribuzione e l’agenzia nei quali solitamente l’indicazione dell’ambito di applicazione rappresenta un aspetto essenziale.

Inoltre, in tali contratti dovranno essere rivalutati anche i costi relativi agli spostamenti delle persone e di beni, dal momento che il Regno Unito non farà più parte dello spazio di libera circolazione delle persone, delle merci, servizi e capitali.

Più nello specifico, per quanto concerne il contratto di agenzia, occorre ricordare che la Direttiva CEE n.653 del 18 dicembre 1986 riguardante gli agenti di commercio e il loro diritto all’indennità di fine rapporto è applicabile solo se l’agente svolge la sua attività in un paese UE.[2]

Ne consegue che a seguito della Brexit tale direttiva non sarà più applicabile agli agenti operanti nel Regno Unito che, peraltro, ha recepito la predetta direttiva con il Commercial Agent Regulations n.3053/1993.

Tuttavia, anche a seguito della Brexit, la  legge del 1993 continuerà ad essere valida, finché il Regno Unito non deciderà se modificarla o meno.

Clausole di proroga della giurisdizione a favore di un giudice inglese

L’art. 36 del Regolamento Bruxelles 1bis prevede un regime di pieno riconoscimento e libera circolazione delle sentenze ottenute in uno Stato dell’UE in tutti gli altri Stati che ne fanno parte        ( “la decisione emessa in uno Stato membro è riconosciuta in un altro Stato membro senza che sia necessario il ricorso ad alcuna procedura particolare”).

Senz’altro la Brexit inciderà su questo aspetto della contrattazione.

Invero, colui che abbia concluso un accordo di giurisdizione in favore del giudice inglese, gallese, scozzese e nord irlandese, contando sulla validità ed efficacia dell’accordo, nonché sulla circolazione della sentenza eventualmente emanata dal Regno Unito, sarà costretto a riconsiderare l’opportunità della sua scelta.

Al fine di ridurre l’impatto di queste problematiche, il governo britannico potrebbe optare per differenti opzioni nel corso delle negoziazioni di uscita.[3]

Il governo potrebbe seguire il modello danese, concludendo un accordo con l’Unione Europea sulla competenza e il reciproco riconoscimento delle sentenze, che nella sostanza estenda l’ambito di applicazione del regime Bruxelles al Regno Unito.

Un’altra opzione potrebbe essere rappresentata dalla negoziazione dell’adesione del Regno Unito alla Convenzione di Lugano, sempre che vi sia il consenso degli altri Stati contraenti.

Si tratta tuttavia di una opzione di difficile realizzazione in quanto la possibilità di aderire alla predetta Convenzione è riservata esclusivamente agli Stati che siano parte dell’EFTA.

Infine, la terza possibilità è rappresentata dalla ratifica della Convenzione dell’Aia del 2005 sugli accordi di scelta del foro, che disciplina il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni nelle controversie derivanti dalle transazioni commerciali cui si applicano gli accordi di scelta del foro esclusivi.

Infatti, allo stato attuale, la Convenzione dell’Aia non è più applicabile al Regno Unito in quanto quest’ultimo ne faceva parte per effetto della ratifica posta dall’Unione Europea nel 2009 per conto degli Stati membri (ad esclusione della Danimarca).

Naturalmente, resta inteso che in caso di mancato accordo sulla circolazione delle sentenze tra l’UE e il Regno Unito occorre individuare la soluzione più pertinente al caso di specie.

La prima soluzione sarebbe quella di scegliere come foro competente uno degli Stati membri dell’UE o della Convenzione di Lugano.

In seconda istanza si potrebbe optare per riconoscere competenza non esclusiva alle Corti inglesi, di modo che, al momento dell’eventuale applicazione della scelta, se la sentenza britannica non fosse facilmente eseguibile al di fuori del Regno Unito si potrebbe fare ricorso al diverso foro alternativo prescelto dalle parti.

L’ultima opzione impone invece di ricorrere all’arbitrato, in virtù della portata pressoché universale della Convenzione di New York sull’esecuzione dei loro arbitrali stranieri.

Poiché gli Stati membri sono parte della predetta Convenzione, i lodi britannici continueranno a venire facilmente riconosciuti ed eseguiti dalle giurisdizioni europee.

Nuovi/futuri contratti

Le numerose incertezze sul futuro causate dalla Brexit impongono di adottare cautela e prudenza nella contrattazione futura.

In particolare, è possibile che la normativa inglese e quella europea finiscano per divergere in materie fondamentali, quali le norme in materia di concorrenza, di privacy, trattamento dei dati personali, protezione del consumatore e antiriciclaggio.

Al di là di tale classificazione, occorre senz’altro tener conto di ulteriori profili che interessano le operazioni di M&A[4].

In particolare, sul piano contrattuale degli accordi di acquisizione, è possibile minimizzare il rischio di un impatto negativo della Brexit  disciplinando con clausole di forza maggiore ( le c.d. MAC, Material Adverse Clause) la possibilità che l’acquirente receda dai contratti al verificarsi di specifici eventi quali ad esempio:  variazioni valutarie della sterlina, situazioni e circostanze che danneggiano la conduzione del business o creano le condizioni che legittimano una sopravvenuta mancanza di interesse dell’acquirente ad acquisire la target.

La previsione di questo tipo di clausole deve poi disciplinare le conseguenze che derivano da una loro attivazione e che possono consistere in rimedi indennitari a favore dell’acquirente oppure nell’impegno delle parti a rinegoziare i termini dell’operazione – ove possibile – mediante l’inserimento di clausole di hardship che impongono un termine perentorio per il raggiungimento di un nuovo accordo e che, in mancanza di quest’ultimo, legittimano il recesso della parte adempiente.


[1] Avv. Giulia Comparini, Gli effetti della Brexit sui contratti, a cura dello studio legale Cocuzza & Associati di Milano.

[2] Alberto Trapani, “ I contratti con gli agenti e con i distributori del Regno Unito dopo la Brexit”, FTA avvocati.

[3] Pietro Michea, “Londra rischia di perdere il suo appeal di foro di elezione per le controversie internazionali?”, http://www.dejalexonbrexit.eu/, studio legale De berti Jacchia Francini Forlani.

[4] Avv. Milena Prisco, “Brexit: l’impatto nelle operazioni di M&A”, Studio Preveti.


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Rita Claudia Calderini

Avvocato abilitato presso la Corte di Appello di Napoli. Dottoressa in giurisprudenza con votazione 110 e lode presso l'Università Federico II. Specializzata in professioni legali. Attualmente risiede a Milano in quanto partecipante del master Diritto e Impresa presso la Business school del Sole24ore.

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