Gli effetti indiretti delle sentenze della Corte EDU nei settori che presentano punti di frizione rispetto ai principi CEDU

Gli effetti indiretti delle sentenze della Corte EDU nei settori che presentano punti di frizione rispetto ai principi CEDU

Sommario: Premessa – 1. Il ruolo degli accordi internazionali nel sistema interno delle fonti del diritto – 2. Il ruolo della fonte CEDU: l’incidenza indiretta nel diritto amministrativo – 3. La casistica applicativa – 3.1. Gli effetti della Corte EDU in materia di espropri e di procedimenti sanzionatori resi dinnanzi alle Autorità Indipendenti (in particolare la CONSOB)

 

 

 

 

Premessa

L’ordinamento italiano non può essere concepito in maniera atomistica, bensì come un sistema complesso che vive e interagisce con altri ordinamenti, rispetto ai quali esso può prevalere o adeguarsi.

Questo necessario coordinamento viene regolato secondo rapporti di gerarchia tra le fonti interagenti, i quali consentono all’interprete di stabilire la forza d’una fonte rispetto all’altra e il tipo di efficacia che queste possiedono entrando in contatto con ordinamenti diversi.

Uno di questi è certamente quello internazionale, il quale trova applicazione nell’ordinamento interno quante volte quest’ultimo lo recepisce attraverso una propria legge ordinaria.

Il diritto internazionale è un ambito la cui precipua funzione è quella di regolare i rapporti tra Stati mediante l’impiego di fonti c.d. pattizie, alla cui efficacia il comune cittadino resta pressoché estraneo, trattandosi di norme che non attribuiscono diritti o doveri direttamente azionabili dai singoli.

Detto ordinamento può ritenersi altresì acefalo dal punto di vista dell’assetto giurisdizionale, essendo privo di un organo giudiziario al quale i singoli soggetti possono rivolgersi per garantire l’effettività delle prescrizioni sancite negli specifici accordi.

Per tali caratteristiche così essenzialmente esposte, le norme internazionali si ritengono direttamente applicabili ma non direttamente efficaci, in quanto non azionabili dal cittadino né dinnanzi ad un tribunale internazionale, né dinnanzi ad un tribunale ordinario.

È evidente che il diritto internazionale in quanto tale, di cui fanno parte consuetudini e accordi tra stati, non ha particolare rilevanza nei rapporti tra p.a. e cittadini, per il semplice fatto che esso non coinvolge diritti soggettivi o interessi legittimi.

È piuttosto un diritto che si diverso e distinto da quello nazionale, la cui funzione è invece quella di assicurare ai consociati tutti gli strumenti necessari per tutelare le proprie pretese.

Nell’ambito di siffatto ordinamento trova collocazione un settore dotato di caratteristiche del tutto peculiari: la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

La natura della CEDU, ritenuta pattizia in via maggioritaria, non impedisce che l’attività dell’organo giurisdizionale, la “Corte europea dei diritti dell’uomo”, produca un effetto conformatore nell’ordinamento interno mediante sentenze produttive di un’efficacia erga omnes.

Da ciò ne consegue che l’ordinamento nazionale non può contrastare con quell’insieme dei diritti fondamentali rivolti sì ai cittadini, ma allo stesso tempo da essi non direttamente invocabili, se non nella misura in cui venga chiesto il ristoro risarcitorio allo Stato-legislatore che non si è attenuto al rispetto dell’ordinamento CEDU.

In questi casi l’effetto della giurisprudenza convenzionale sarà indiretto sul diritto nazionale, potremmo dire un effetto di censura e di monito al cambiamento.

La trattazione dell’“efficacia indiretta” impone quindi di far luce sull’attuale assetto giuridico delle fonti e, nella specie, comprendere quale posizione ricoprono le fonti internazionali e la CEDU.

1. Il ruolo degli accordi internazionali nel sistema interno delle fonti del diritto

L’art.10 Cost. è la norma cui fanno riferimento le fonti in questione, laddove stabilisce che “l’ordinamento italiano si conforma alle norme internazionali generalmente riconosciute”.

Accanto all’art.10 Cost. si colloca il nuovo art.117 comma 1 Cost., così come riformato con Legge 18 ottobre 2001, n.3, il quale non solo consolida il rango sovra-costituzionale del diritto comunitario, ma cristallizza l’esatto ruolo gerarchico assunto dagli accordi internazionali e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

All’uopo l’art.117 chiarisce che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto […] dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali”.

Sulla scorta di questo quadro costituzionale può ritenersi che il diritto internazionale ricomprende le consuetudini generali e gli accordi internazionali tra Stati, comprensivi questi ultimi anche della CEDU, per le ragioni di seguito esposte.

Le consuetudini, rispetto agli accordi, possiedono un rango sovra-costituzionale analogo al diritto comunitario, il quale consente ad esse di prevalere sulla Costituzione stessa, entro i margini dei diritti fondamentali, opportunamente definiti contro-limiti a partire dalla sentenza della Consulta n.170/1984, meglio nota come sentenza “Granital”.

La tecnica di redazione delle norme consuetudinarie è normalmente quella dell’adeguamento speciale o per “rinvio” permanente, ovvero un meccanismo che, rinviando sic et simpliciter alle disposizioni internazionali sia consuetudinarie che pattizie, consente un adeguamento dell’ordinamento interno più efficace rispetto alla pedissequa riscrittura della norma esterna, grazie al fatto che, con il semplice rinvio, la norma interna muterà al mutare della norma internazionale.

Differentemente, gli accordi internazionali assumono un rango inferiore, assurgendo a parametri interposti di legittimità costituzionale, secondo il disposto dell’art.117 comma 1 Cost.

Ciò significa che il legislatore interno vi si deve conformare, nonostante che tali norme continueranno a rimanere subordinate a tutte le disposizioni costituzionali e non solo ai contro-limiti.

Ivi si colloca anche l’ordinamento CEDU, le cui peculiarità rispetto al diritto pattizio, gli ha riservato nel tempo un’incerta qualificazione, la quale non ha mai consentito all’orientamento maggioritario di superare la natura di vero e proprio “accordo internazionale”.

Si può ritenere che, a prescindere dal rango d’appartenenza della CEDU, le fonti internazionali tutte si caratterizzano per la mancanza di un’efficacia diretta del nostro ordinamento, trattandosi di norme che non attribuiscono ai consociati posizioni soggettive direttamente invocabili dinnanzi al giudice naturale.

In particolare, sia le consuetudini generali che accordi esauriscono la loro portata applicativa nei soli rapporti interstatali, tanto che un’eventuale violazione non condurrà mai il singolo consociato dinnanzi a una Corte internazionale, non potendo questa tutelare un diritto da lui non direttamente invocabile.

La mancanza di efficacia diretta nei rapporti verticali si accompagna tuttavia al dovere del legislatore ordinario di adeguarsi al parametro internazionale, pena l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge italiana per violazione dell’art.117 comma 1 Cost.

Questo meccanismo di legittimità, così detto a “sindacato accentrato” della Corte costituzionale esclude che il giudice a quopossa disapplicare la norma interna contrastante con il parametro internazionale, tale parametro possedendo applicabilità diretta per effetto dell’art.117 cost. ma non anche “efficacia diretta”.

In ciò si ravvisa la fondamentale discrepanza col diritto comunitario, la cui efficacia diretta è frutto di quella primazia normativa specchiata nell’art.11 Cost.

Tale efficacia trova ragione proprio nella capacità delle norme comunitarie c.d. self executing di attribuire ai cittadini comunitari diritti e doveri direttamente invocabili dinnanzi al giudice naturale, il quale a fronte di un’improduttiva interpretazione conforme, ben potrà disapplicare la norma interna in contrasto.

In estrema sintesi, la differenza tra le due categorie di fonti sfocia nel tipo di sindacato: accentrato per le norme internazionali e diffuso per quelle comunitarie ad efficacia diretta.

2. Il ruolo della fonte CEDU: l’incidenza indiretta nel diritto amministrativo

Tanto premesso in termini generali, è necessario porre maggior attenzione all’ordinamento CEDU, del quale si è chiarita la natura pattizia, ma anche accennata l’esistenza di peculiarità che lo rendono unico nel panorama internazionale.

L’attenzione al diritto CEDU, più che al diritto internazionale vero e proprio, è giustificata dal fatto che solo esso ha inciso in maniera significativa nei rapporti tra p.a. e cittadini, in particolare per il tramite di una copiosa giurisprudenza produttiva di effetti tanto indiretti quanto, talvolta, vincolanti sulla produzione normativa.

La disamina che segue circa gli effetti indiretti nel sistema amministrativo dovrà dunque essere circoscritta alla Convenzione e non anche alle fonti internazionali, posto che queste ultime non toccano i diritti soggettivi o gli interessi legittimi, limitandosi a regolamentare i rapporti tra Stati.

L’ordinamento CEDU nasce nel 1950 quale accordo tra gli Stati reduci dalla Seconda Guerra Mondiale, espressione di una sofferta esigenza di ristabilire la pace, l’ordine e l’inviolabilità dei più sacri diritti umani, calpestati dall’odio e dagli effetti irreversibili d’una incontrollabile politica raziale.

È quindi evidente che l’oggetto dell’accordo non era rappresentato da prescrizioni interstatali dalle quali il cittadino sarebbe rimasto estraneo, bensì da diritti fondamentali per l’uomo ma non diretti all’uomo; una peculiarità, questa della CEDU, unica rispetto al comune diritto internazionale. A tale prerogativa si accompagnava il ruolo assunto dall’organo giurisdizionale deputato a vigilare sul rispetto da parte degli Stati firmatari dei diritti fondamentali: la Corte europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo.

Questo importante quanto atipico organo, a differenza delle corti internazionali, consente, invero, al cittadino di poter invocare la violazione di un diritto da parte della legge nazionale, andandosi così ad instaurare un meccanismo di giurisdizione ad efficacia verticale-unilaterale, azionabile dal cittadino verso lo Stato, ma non viceversa.

L’adizione della Corte EDU conduce quindi alla promulgazione di sentenze che, in deroga al nostro principio di relatività degli effetti, hanno efficacia sempre erga omnes, così gravando sul giudice naturale un obbligo di interpretazione conforme anche alle stesse, nei limiti della preesistenza di un “consolidato orientamento”.

L’efficacia erga omnes della sentenza, chiaramente evocativa di un’uniformità tra civil e common law, è il mezzo attraverso cui il diritto CEDU agisce e interagisce indirettamente nell’ordinamento italiano.

Se da un lato, in sede di giudizio, il giudice a quo è tenuto a adire la Corte costituzionale per violazione dell’art.117 Cost. da parte della norma interna la quale può essere espunta dall’ordinamento, dall’altra il cittadino leso dalla norma interna convenzionalmente illegittima con sentenza passata in giudicato potrà adire la CEDU, la cui sentenza avrà in suo favore portata risarcitoria.

L’efficacia indiretta risiede quindi nell’esigenza di adeguamento costante da parte del legislatore nazionale, affinché il cittadino possa ottenere una tutela rinforzata di quei valori fondamentali previsti dalla Convenzione.

Si è anche discusso di un’eventuale recezione della CEDU da parte dell’ordinamento comunitario, affinché la prima acquisisse quella posizione di primazia atta a determinare una sua applicazione diretta e sostitutiva della norma in conflitto. In termini ci si è chiesti se la CEDU, in vista delle sue peculiarità, possa essere ricompresa nell’art.11 cost.

La soluzione positiva, minoritaria, ha avuto modo di affermarsi alla luce dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009, modificativo del vecchio art.6 TUE.

Questa norma ora, nella parte in cui sancisce che l’unione aderisce alla CEDU, sembra elevare la stessa al medesimo rango giuridico dei Trattati.

In realtà si è opportunamente osservato che la norma, lungi dall’attribuire alla CEDU valore primario ad effetto diretto, si è limitata a riconoscere la Carte di Nizza (CDFUE) come normativa primaria e aderire, ma non anche sancire ai diritti fondamentali previsti dalla Convenzione, senza però precludere una futura soluzione in tal senso.

Altro tentativo di equiparazione è stato fatto richiamando proprio l’art.52 CDFUE laddove al comma 3 sancisce che i diritti contenuti nella Carta corrispondenti a quelli CEDU sono uguali e assumono il medesimo significato.

Tuttavia non è precluso all’Unione attribuire a questi diritti una portata più estesa.

Ancora una volta la norma deve essere interpretata non nel senso di sancire la CEDU, ma di aderire e conformarsi a quei suddetti principi, limitatamente alle materie di competenza unionale.

Alla luce di questa disamina sul ruolo della CEDU, resta da scandagliarne le modalità attraverso cui essa dispiega efficacia indiretta nel settore amministrativo.

All’uopo, accanto alle prescrizioni costituzionali, si può immediatamente richiamare l’art.1 d.lgs.104/2010 (Codice del processo amministrativo).

Il legislatore, nel sancire la soggezione della giurisdizione amministrativa al “diritto europeo” ha inteso utilizzare una formula giuridica ampia, idonea a ricomprendere sia il diritto comunitario che il diritto convenzionale.

Anche l’art.1 della L.241/90, inerente ai principi generali dell’attività amministrativa, nel richiamare l’ordinamento comunitario può ritenersi far riferimento anche ai principi CEDU che l’art.52 CDFUE applica alle materie di competenza dell’Unione.

Fermi i suddetti richiami normativi si può in ogni caso affermare che il tema dei rapporti tra p.a. e cittadini ha rappresentato da sempre il campo elettivo per l’ingerenza della Corte EDU.

Ciò in particolare in tutti quei settori ove vengono in giuoco diritti concepiti dalla CEDU come fondamentali, ma anche laddove il diritto amministrativo trova il suo punto di intersezione con quello penale.

È d’obbligo il richiamo al settore delle sanzioni formalmente amministrative ma sostanzialmente penali, inflitte dalle Autorità indipendenti, delle quali si è avuta una significativa ricaduta in tema di giusto processo.

Questa maggior incisività della giurisprudenza EDU nella materia amministrativa si consolida con la lapidaria sentenza delle Sezioni Unite n.500/99, la quale concentra la sua essenza rivoluzionaria nell’aver elevato gli interessi legittimi al rango dei diritti soggettivi, riconoscendo per i primi una tutela “piena e effettiva”, sia in ambito processuale che risarcitorio.

Talché, pur essendo l’interesse legittimo una locuzione estranea al di fuori dei confini italiani, mediante l’equiparazione trova spazio anche per essi la copertura convenzionale.

Ci si domanda a questo punto cosa accade se l’atto amministrativo nell’incidere sull’interesse legittimo o sul diritto soggettivo va a ledere un diritto sancito dalla CEDU.

Applicando le coordinate sopra enunciate relative all’efficacia indiretta, non si può certo ritenere che l’atto sia impugnabile per annullabilità dovuta a violazione di legge, ai sensi degli artt.21 octies L.241/90 e 30 CPA., posto che la violazione di legge, invero, presuppone la diretta efficacia della norma CEDU che si assume violata da una legge interna attributiva del potere.

Analogo discorso può essere fatto con riferimento all’annullabilità d’ufficio in autotutela ex art.21 nonies L.241/90, che tra le cause d’annullamento per ragioni di pubblica utilità include ancora la violazione di legge.

Il rimedio applicabile dall’interessato può essere quindi il ricorso diretto alla Corte EDU avverso lo Stato legislatore, che si è reso inadempiente all’obbligo di conformità convenzionale, cosicché la sentenza, comprensiva della condanna dello Stato al risarcimento del danno, potrà essere idonea a produrre gli effetti indiretti di seguito descritti.

Va in primo luogo chiarito che, stante il carattere non direttamente efficace dei diritti in giuoco, la sentenza della Corte non potrà essere soggetta al rito dell’ottemperanza.

La ragione risiede ovviamente nel carattere funzionale di tale rito, il quale presuppone la mancata esecuzione da parte della p.a di una sentenza del giudice nazionale passata in giudicato e quindi la diretta invocabilità per il cittadino del diritto/interesse legittimo leso.

Si deve perciò escludere che il giudicato della Corte EDU possa essere inquadrabile nell’art.112 comma 2 lettera d) CPA, ove si parla genericamente di sentenze passate in giudicato per le quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza.

Il solo rimedio potrà dunque consistere nella condanna dello Stato a risarcire il danno al privato per non aver adottato una normativa rispettosa dei diritti fondamentali.

Alla condanna risarcitoria si affianca l’effetto conformatore della giurisprudenza, volto a esortare il legislatore affinché provveda a modificare la norma interna illegittima che possa risultare lesiva dei diritti convenzionali; una norma che, allo stato dell’arte, risulta essere a tutti gli effetti incostituzionale per violazione dell’art.117 comma 1 Cost.

3. La casistica applicativa

3.1. Gli effetti della Corte EDU in materia di espropri e di procedimenti sanzionatori resi dinnanzi alle Autorità Indipendenti (in particolare la CONSOB)

Ebbene, dal punto di vista concreto è possibile analizzare i vari ambiti ove l’opera interpretativa dell’ordinamento CEDU ha prodotto, nel sistema amministrativo italiano, i suoi effetti ampliativi o restrittivi e allo scopo si può subito richiamare la materia degli espropri.

Senza dover ripercorrere l’evoluzione storica di tale disciplina a partire dalla Legge espropri del 1865, ci si limiti ad osservare come l’attuale assetto normativo di cui al D.P.R. n. 327/01 prevede oggi una procedura espropriativa puntuale, soggetta conformemente al precetto di cui all’art.42 comma 2 Cost., al principio di legalità.

Una procedura dunque che, concependo il diritto di proprietà come diritto personale e fondamentale dell’individuo, tiene in debito conto la tutela del diritto di proprietà e il criterio della giusta quantificazione dell’indennizzo in favore dell’ablato.

La positivizzazione di una procedura puntuale che impone l’esistenza imprescindibile di un valido titolo di esproprio da parte della p.a. è stata oggetto di una copiosa corrispondenza giurisprudenziale tra la Corte EDU e la Corte costituzionale, poi sfociata nel compromesso del nuovo art.42 bis DPR 327/01.

La corrispondenza dialettica tra le due Corti su questo tema si sviluppa con riguardo all’istituto pretorio dell’occupazione acquisitiva e usurpativa, caratterizzato da un difetto del titolo ablatorio, sopperito grazie meccanismo dell’accesso invertito del suolo in favore della p.a. occupante, tutte le volte in cui il bene era stato modificato in maniera irreversibile.

La Corte EDU, partendo da una concezione della proprietà quale diritto fondamentale dell’uomo, ha messo in evidenza la lesività di quelle modalità d’acquisizione sine titulo al patrimonio della p.a., legate al mero presupposto della trasformazione irreversibile del bene.

È interessante rilevare come, nel caso di specie, la Corte EDU abbia voluto imporre un modello di proprietà privata di tipo soggettivo e dagli effetti ampi, estraneo alla nostra tradizione costituzionale e civilistica, ove ciò che prevale è la funzione socialmente utile del bene e la sua accessibilità nell’ottica di una cornice solidaristica.

Si osservi che il compromesso normativo raggiunto con l’art.42 bis, per quanto tutt’ora non esente da critica, è nel senso di sanare uno stato dei fatti viziato nel titolo, mediante un provvedimento postumo ove si provvede a motivare lo scopo di pubblica utilità sottesa all’acquisizione.

Eguale discorso si è fatto con riferimento all’indennizzo che la p.a. espropriante deve corrispondere al privato nella misura corrispondente al “valore venale del bene”; criterio, questo, di matrice storica già previsto nella Legge sul risanamento della città di Napoli del 1889 e oggi riaffermato per le aree edificabili dall’art.37 DPR 327/01, così come modificato in conformità alle direttive della corte edu.

Un altro ambito particolarmente significativo di intervento attiene ai procedimenti sanzionatori dinnanzi alle Autorità indipendenti, in particolare CONSOB.

Nel caso di specie la Corte EDU è intervenuta su un duplice aspetto ovvero con riferimento alla sanzione amministrativa in chiave penalistica, nonché sulle garanzie procedimentali in favore del cittadino sanzionato.

È d’obbligo una breve panoramica introduttiva sul ruolo delle A.I.

Le Authorities sono organi indipendenti dal potere esecutivo e da qualunque altro potere statale, istituite con legge ordinaria proprio al fine di tutelare interessi collettivi particolarmente sensibili quali il mercato, la concorrenza, la privacy, le comunicazioni, l’energia, gli appalti eccetera.

La loro controversa natura ha indotto la dottrina a ricercarne una specifica qualificazione giuridica, prevalentemente individuata nel carattere sostanzialmente “amministrativo” delle A.I., accompagnato da una peculiare funzione para-giurisdizionale, terza e neutrale, corredata di poteri sanzionatori.

La neutralità dimostra come i procedimenti dinnanzi alle A.I. non possano trovare un loro omologo nel procedimento sull’attività amministrativa di cui alla L.241/90, in seno al quale la p.a. è sì imparziale ma non anche neutrale, dovendo essa agire sempre in vista del pubblico interesse.

Emerge quindi una funzione di fatto giurisdizionale, la cui legittimazione risiede nel “regolamento interno” delle singole autorità, che a sua volta deve essere rispettoso della legge statale istitutiva, in conformità al principio di legalità di cui all’art.97 Cost.

In seno a tali regolamenti interni il procedimento sanzionatorio acquisisce un carattere rinforzato dalla presenza di un contraddittorio più incisivo rispetto a quello della L.241/90, che è essenzialmente limitato al riconoscimento di una serie di diritti partecipativi del destinatario del provvedimento.

Sulla questione è intervenuta la Corte di Strasburgo evidenziando l’esigenza di andare oltre l’apparenza delle forme (o etichette) e qualificare come sostanzialmente penali quelle sanzioni amministrative che, in applicazione ai criteri elaborati con la sentenza 8 giugno 1976 caso “Engel”, possiedano un carattere “repressivo-afflittivo”.

Questa concezione atomistica del diritto penale, che porta a considerare penale ciò che è mero illecito amministrativo, ha delle naturali ricadute sul procedimento sanzionatorio, oltre che sul pedissequo rispetto dei principi penali sostanziali di legalità, irretroattività sfavorevole, prevedibilità, colpevolezza e ne bis in idem.

Con riguardo al procedimento dinnanzi a CONSOB avente ad oggetto un caso di market abuse la Corte EDU ha censurato le carenze della disciplina italiana dal punto di vista procedimentale, con riguardo alla mancanza di un’udienza pubblica in tutti i casi in cui la sanzione amministrativa sia sostanzialmente penale e quindi richieda il rispetto del contraddittorio pieno, secondo il principio dell’equo processo.

Detti principi, il cui fondamento è rinvenibile negli artt.6-7 CEDU, sono stati applicati dalla Corte secondo un’interpretazione convenzionale che, secondo la giurisprudenza interna, non è tuttavia necessariamente compatibile con il principio di legalità amministrativa ex art.97 cost. e con quello sancito dall’art.1 L. 689/81.

La normativa de qua, secondo la giurisprudenza italiana, fa riferimento a sanzioni amministrative che, per quanto incisive, non presuppongono la medesima tutela prevista in ambito penale.

Né esse presuppongono che il procedimento sanzionatorio debba specchiarsi in quello penale dal punto di vista delle tutele offerte all’imputato, essendo sufficiente che venga garantito un secondo grado di giudizio mediante l’impugnazione della sanzione dinnanzi a un giudice ordinario e che quindi la paternità della sentenza finale abbia natura giurisdizionale.

La giurisprudenza della Corte EDU ha quindi subito alcune resistenze da parte della Consulta, la quale in più occasioni ha evidenziato la necessità che il formante giurisprudenziale della Corte EDU debba essere “consolidato” affinché il giudice nazionale possa pervenire ad un’interpretazione convenzionalmente orientata della norma interna. Si ricorda ad esempio il caso delle confische urbanistiche.

Il giudizio conclusivo sulla questione dell’efficacia indiretta delle fonti internazionali nei rapporti tra p.a. e cittadino ha consentito di poter concentrare l’attenzione sugli effetti della CEDU, grazie a quelle sue caratteristiche che la rendono del tutto eccezionale nel sistema internazionale delle fonti. Un sistema quest’ultimo estremamente legato ai rapporti diplomatici tra Stati, ove il cittadino e le sue posizioni soggettive restano pressoché estranee.

La CEDU, dotata di un proprio organo giurisdizionale, è quindi un ordinamento che assurge a parametro interposto di legittimità costituzionale, foriero di diritti soggettivi non direttamente efficaci, ma la cui presenza vincola i legislatori degli Stati aderenti ad adottare una legislazione conforme agli stessi.

Il problema tuttavia si pone allorquando l’interpretazione di questi diritti data dalla Corte edu va a produrre effetti ampliativi o restrittivi, che confliggono con una normativa ordinaria parametrata sulla portata degli omologhi diritti nazionali, come ad esempio il diritto di proprietà di cui all’art.42 cost.


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