Gli impedimenti al matrimonio civile (seconda parte): analisi degli articoli 87-89 c.c.

Gli impedimenti al matrimonio civile (seconda parte): analisi degli articoli 87-89 c.c.

Sommario: 1. L’impedimento di età (art.87) – 1.1. Profili introduttivi – 1.2. Le singole fattispecie dell’impedimento – 1.3. L’iter processuale – 2. L’impedimento di delitto (art.88) – 2.1. Alcuni rilievi critici – 3. Divieto temporaneo di nuove nozze (art.89) – 3.1. Profili processuali – 4. Conclusioni

 

1.  L’impedimento di età (art.87)

Dopo aver esposto – nell’ordine – l’impedimento di età (art.84) , l’interdizione (art.85) e la libertà di stato (art.86), il legislatore descrive – con un’ampia fattispecie – l’ impedimento di parentela intesa, tuttavia, in forma piuttosto estensiva dal momento che, oltre alla cd parentela familiare, la novella del 1942 ha voluto inserire anche i casi di affinità e di adozione al fine di favorire una lettura ed un’analisi completa attorno alle diverse manifestazioni del già menzionato impedimento.

Alla luce di quanto accennato, l’impedimento de quo, richiede alcune cautele interpretative al fine di evidenziarne le caratteristiche principali.

1.1. Profili introduttivi

Come già accennato in precedenza, l’art. 87 contiene una normativa piuttosto articolata frutto – non solo della novella del 1942 – ma anche delle altrettanto significative modifiche al suddetto articolo avvenute con la l. 151 del 19 maggio 1975 la quale – intervenendo radicalmente sulla presente disposizione – modificò la fraseologia in esso contenuta abbandonando le formule imperative a favore di un più rigorosa “non possono contrarre matrimonio” [1].

Al di là degli interventi legislativi – non ultimo quello del 28 dicembre 2013 – è utile soffermarsi, seppur in breve, circa la ratio di riferimento. Secondo autorevole dottrina, l’impedimento in esame non concerne solo ed esclusivamente ragioni di carattere eugenetico [2] quanto piuttosto si basa su motivazioni di carattere sociale ed etico dal momento che si avvertì fin dall’antichità, una naturale repulsione all’unione sponsale tra persone dello stesso sangue come ricordano, per esempio, le incisive disposizioni contenute in Lv. 18-8 nonché l’ampia legislazione romana che fin dalle XII Tavole vietò il matrimonio di coloro legati da un vincolo di parentela tanto naturale o civile tanto in linea retta tanto in linea collaterale fino al sesto o settimo grado [3].

Più dettagliatamente, l’impedimento dell’art.87 intende assolvere a più funzioni facilmente intuibili; da un lato tutela il buon costume garantendo altresì una maggiore solidarietà tra gli individui, dall’altro si noti anche , la sussistenza di ragioni bioetiche dal momento che, come l’esperienza ha più volte dimostrato, il matrimonio tra consanguinei presenta profili degeneratori sotto l’aspetto genetico in relazione a certune forme di malattie o di disturbi derivati da rapporti tra consanguinei. 

1.2 Le singole fattispecie dell’impedimento: 

Entrando all’interno del predetto articolo, è bene notare la prescrizione delle diverse fattispecie ivi presenti tutte contraddistinte dalla medesima formula in termini negativi ovvero “non possono contrarre matrimonio”. Tale inciso risulta, invero, onnicomprensivo potendosi applicare così a casi sì diversi tra di loro ma legati ai rapporti familiari intesi anch’essi in forma piuttosto estensiva.

Seguendo l’ ordo dell’articolo i primi a non poter trarre matrimonio sono gli ascendenti ei discendenti in linea retta ovvero i fratelli e sorelle germani o uterini e lo zio e la nipote cioè la zia e il nipote. Le prime due fattispecie – tra l’altro oggetto di una novella legislativa del 2013- si  inquadrano nel più ampio genus dei rapporti di parentela in linea retta. Secondo la dottrina [4], tale impedimento opera all’infinito e non già fino al sesto grado poiché  l’art. 87 opera una sostanziale deroga rispetto a quanto previsto dall’art. 77 del Codice civile. Da sottolineare come il legislatore ricomprenda nel suddetto impedimento tutti gli ascendenti e i discendenti sia legittimi sia naturali favorendo così un’interpretazione estensiva capace di non ammettere alcun tipo di eccezioni.

Andando avanti si noti la dovizia con la quale il legislatore distingue tra i fratelli e le sorelle consanguinei aventi cioè lo stesso padre rispetto a quelli uterini in cui è comune la madre. Si tratta di una distinzione piuttosto unica non essendoci, all’interno del Codice, altre disposizioni analoghe [5].

Da un punto di vista più strettamente teorico, le fattispecie di cui ai numeri 1- 2 e 3 assolvono a finalità diverse: il primo intende tutelare il bene pubblico [6] dal momento che il matrimonio contratto tra ascendenti o discendenti in linea retta può integrare quanto previsto dall’art.564 del Codice penale [7] nonché – se contratto sub ignoratia vinculis – costituisce un caso di nullità ai sensi dall’art. 128. Risulta invece essere dispensabile con autorizzazione del tribunale l’ipotesi di cui al n.3 come risulta essere  testimoniata dall’abbondante giurisprudenza in merito [8].

Ciò detto, il legislatore estende – nei numeri 4 e 5 l’impedimento de quo agli affini distinguendo rispettivamente – al numero 4 – l’affinità in linea retta e al numero successivo quella in linea collaterale. Entrando più nel dettaglio, già ad una prima lettura, si nota una differenza piuttosto rilevante poiché solo nel caso dell’affinità in linea retta non è mai ammessa la dispensa a motivo di un’evidente ragione di diritto pubblico vòlta a evitare – come nel caso precedente– scandali di diversa natura che possono ingenerarsi, per esempio, dall’unione tra suocero e nuora e simili [9].Tale impedimento sussiste – come ricorda la disposizione – anche nel caso di matrimonio nullo o sciolto per il quale è stata pronunciata la cessazione dagli effetti civili: la questione risulta, tuttavia, piuttosto articolata, qui basti ricordare che, al di là di una ragione giuridica di per sé non invalidante, la disposizione in esame si spiega in relazione al già più volte citato criterio di ordine pubblico. In altre parole, anche in presenza di un matrimonio invalido o nullo «[…] il rapporto matrimoniale ha di regola un seguito, onde il comune sente resta offeso dall’idea che taluno possa sposare il figlio o il genitore del proprio ex coniuge» [ 10].

Per ciò che attiene ad una possibile dispensa, mentre nel caso previsto dal n.4 ciò viene escluso per le ragioni già richiamate, risulta invece passibile di autorizzazione quanto disposto dal n,5 tramite apposita dichiarazione giudiziale.

Il n.6 dell’art.87 estende l’applicazione dell’impedimento in questione all’adozione provvedendo a descrivere – in maniera piuttosto estesa – le diverse ipotesi di applicazione. Secondo la dottrina [11] occorre distinguere tra l’adozione legittimate introdotta dalla l. 184 del 4 maggio 1983 e quella del maggiorenne dal momento che solo con riguardo alla prima si rendono applicabili le disposizioni previste dai numeri 1 e 2 ovvero vietando – senza possibile dispensa – il matrimonio tra l’adottante e l’adottato ovvero tra quest’ultimo ei discendenti del primo. Si applicheranno invece all’adottato maggiorenne le disposizioni dei numeri 6 -7-8 e 9 del presente articolo.

Più specificatamente, sebbene il punto non sia del tutto pacifico [12], è fatto divieto inderogabile di contrarre matrimonio rispettivamente tra l’adottante e l’adottato (maggiorenne), tra i figli adottivi della stessa persona, l’adottato e il coniuge dell’ adottante , l’adottante e il coniuge dell’adottato.

1.3 L’ iter processuale

Per ciò che attiene alla dimensione più marcatamente processuale, occorre distinguere tra gli impedimenti derogabili e quelli inderogabili dal momento che, come si può intuire facilmente, solo per i primi è ammesso il procedimento per l’autorizzazione il quale è del tutto analogo a quello relativo alla minore età [13]. Competente è il tribunale del luogo di residenza degli sposi o di uno di essi su istanza di entrambi o di uno solo.

Dal punto di vista dell’autorizzazione va altresì ricordato che fino al 1975, l’autorità competente era unicamente il Presidente della Repubblica ovvero in precedenza il Re; è solo con la già ricordata l. 151 del 1975 che tale processo è stato attribuito alla competenza giurisdizionale secondo quanto previsto dall’art.737 cpc.

Come accennato – è solo su istanza della parte interessata che il tribunale può concedere la suddetta autorizzazione; a tal proposito – dal momento che l’art.87  non prevede alcun criterio di giudizio per la valutazione – è di pertinenza esclusiva delle parti fornire al giudice tutto ciò che possa portare alla decisione positiva come per esempio l’assenza di pubblico scandalo, la necessità di proteggere soggetti terzi o di interessi meritevoli di altrettanta tutela [14].

Il tribunale decide tramite decreto da notificare al pubblico ministero e ai nubendi i quali – entro dieci giorni – possono presentare reclamo tanto per vizi di legittimità tanto sul merito [15]. Va precisato altresì che – in caso di diniego da parte della Corte d’Appello – non è possibile ricorrere in Cassazione dovendo presentare – gli interessati – nuova richiesta sulla base di motivazioni sopravvenute o differenti motivi [16].

2. L’impedimento di delitto (art.88)

L’art. 88 dispone – in forma piuttosto chiara che non possono contrarre matrimonio le persone di cui una è stata condannata per l’omicidio consumato o tentato del coniuge dell’altra.

Come si può osservare facilmente dalla lettura del dispositivo normativo, tale impedimento rientra all’interno di una precisa logica giuridica fatta propria dall’ordinamento italiano ovvero quella di proteggere la vita umana evitando – in tal senso – che, attraverso l’omicidio del coniuge – si possa far riacquistare lo stato libero della persona che si vuole sposare [17]. In verità tale impedimento risulta – oggi – piuttosto residuale anche a motivo dell’introduzione del divorzio il quale, permettendo lo scioglimento del vincolo – evita di ricorrere ad un mezzo così incisivo – come la morte del coniuge – per poter ottenere la libertà di poter contrarre matrimonio. Dal punto di vista della derogabilità tale impedimento non può essere in nessun modo dispensato: un eventuale matrimonio è nullo risultando pure impugnabile ai sensi dell’art.117 da parte dei coniugi, dagli ascendenti prossimi ovvero da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo ed attuale posto in relazione al matrimonio stesso.

2.1 Alcuni rilievi critici

Nonostante il preciso tenore della disposizione, dall’analisi dell’art. 88 si rinvengono alcuni elementi critici su cui è necessario soffermarsi in breve. In primis, occorre sottolineare che il suddetto impedimento sorge solo in pendenza di un delitto consumato o almeno tentato purché volontario e in assenza di qualsiasi esimente [18]. Per tale ragione si ritiene che tanto l’omicidio preterintenzionale tanto quello colposo non possono integrare la fattispecie predetta [19].

In secundis va altresì precisato che non sussiste impedimento se la condanna penale non è ancora passata in giudicato ma nel caso in cui il giudizio è in corso non potrà celebrare matrimonio fino alla sentenza definitiva di proscioglimento: va da sé che l’impedimento viene meno nel caso in cui sia intervenuta una causa estintiva del processo come per esempio la prescrizione [20].

3. Divieto temporaneo di nuove nozze (art. 89)

L’ultimo impedimento ad essere normato attualmente dal Codice Civile riguarda il divieto temporaneo da parte della donna di contrarre matrimonio se non dopo trecento giorni dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio.

La norma, come si può osservare, fa riferimento alla sola donna trovando la sua giustificazione nell’evitare la cd commixio sanguinis ovvero nello scongiurare un conflitto di presunzioni sulla paternità del figlio generato nel suddetto periodo da parte della donna [21].Se ciò appare corretto è altrettanto vero che la suddetta norma trova una certa difficoltà nel coordinarsi con altre disposizioni del vigente Codice relativo al decorso dei tempi nel caso di separazione tanto giudiziale o di omologazione da parte del tribunale competente di quella consensuale [22].

Senza entrare nel dettaglio basti qui richiamare semplicemente come tale impedimento non è requisito di validità del matrimonio quanto una condizione per la sua regolarità; pertanto – nel caso di una sua violazione – il vincolo nunziale rimane comunque valido con la mera comminazione di una multa [23].

tuttavia il divieto suddetto non sorge se lo scioglimento del precedente vincolo sia stato dichiarato dal giudice o in caso di separazione precedente (per almeno tre anni) o per mancata consumazione o annullamento dell’unione steso per errore sull’impotenza del marito

3.1 Profili processuali

Per ciò che riguarda la rimozione del divieto, il secondo comma dell’art. 89 dichiara come quest’ultimo possa essere rimosso tramite decreto giudiziale emesso in camera di consiglio a seguito di istanza presentata dalla donna. Tale decreto potrà essere emanato a seguito di apposito procedimento che dovrà attestare o lo stato di gravidanza della donna [24], o che, a seguito di sentenza passata in giudicato, i coniugi non hanno convissuto nei trecento giorni antecedenti allo scioglimento o all’annullamento del vincolo.

Dal punto di vista – infine – dei motivi sopracitati si ritengono – con qualche parere discordante [25] tassativi escludendo pertanto un’interpretazione estensiva della suddetta disposizione.

4. Conclusioni

Alla luce di quanto fino ad ora sottolineato accennato opportune alcune linee conclusive circa l’argomento trattato.

Gli impedimenti al matrimonio assolvono – come già ampiamente ricordato – una funzione strettamente “protettiva” del vincolo nunziale manifestando da un lato un peculiare interesse da parte dell’ordinamento verso tale realtà e dall’altro evitando problemi di ordine tanto giuridico tanto sociale che possono nascere da situazioni di per sé problematiche sia dal punto di vista giuridico che collettivo.

L’ampia “geografia” degli impedimenti matrimoniali può essere vista come l’espressione giuridicamente vincolante di principi o regole già presenti nel costume sociale e oggetto di una esplicita concretizzazione normativa accompagnata da conseguenze abbastanza significative come la nullità della stessa unione.

Nonostante la chiarezza – anche linguistica – dei sopracitati articoli – non mancano – per ciascuno di essi elementi di problematicità soprattutto in relazione al mutato costume sociale che mostrano l’urgenza di alcuni interventi correttivi come nel caso, poc’anzi ricordato, dell’art. 89 relativo al divieto (temporaneo) di contrarre matrimonio nei confronti della sola donna.

In altre parole, se la ratio soggiacente ad ognuno degli impedimenti risulta essere assolutamente condivisibile e da tutelare, ciò non toglie la necessità di una maggiore puntualizzazione degli aspetti tanto sostanziali tanto procedurali i quali permetterebbero una più precisa “trasparenza” loro funzione nonché fugherebbero diversi dubbi interpretativi ancora oggi particolarmente intensi nella dottrina e nella giurisprudenza italiana.

 

 

 

 

Gli impedimenti al matrimonio civile (prima parte): analisi degli articoli 84-86 c.c. | Salvis Juribus

Riferimenti bibliografici
[1] Si veda sul punto la normativa vigente nel Codice del 1865 che declinava il suddetto impedimento in tre disposizioni distinte e più precisamente nei numeri 58, 59 e 60.
[2] Cfr. G. BONILINI, Divorzio e cessazione del vincolo di affinità, in I cinquant’anni del Codice Civile, vol. I, Milano, 1993, 62.
[3] Per quanto attiene alla prescrizione del Levitico cfr. L. SABBARESE,  Il Codice di Diritto Canonico: commento giuridico – pastorale, Bologna, 2011, 339.  Ampia la letteratura per il diritto romano; fra tutti si segnala M. TALAMANCA, Istituzioni di Diritto Romano, Milano, 1990, 138-139.
[4] Cfr. P. MATERA – G. SALITO, Dei singoli impedimenti matrimoniali, in  G. AUTORINO STANZIONE (a cura di), Il matrimonio, Le unioni di fatto, I rapporti personali, Vol. I, Torino, 2011,  135.
[5] Ibidem, 136.
[6] Il riferimento al bene pubblico consente altresì l’estensione della suddetta previsione legislativa anche agli stranieri.
[7] Cfr. P. MATERA – G. SALITO, Dei singoli impedimenti matrimoniali, 139.
[8] Cfr. CASSAZIONE CIVILE, Sentenza n.12671, 27 novembre 1991, in Giurisprudenza costituzionale e civile, 1992, I, 961 e ss. Si veda anche CASSAZIONE CIVILE, Sentenza n.12144, 9 dicembre 1993, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 1994, I, 796 e ss.
[9] Cfr. P. MATERA – G. SALITO, Dei singoli impedimenti matrimoniali, 139.
[10] Così F. FINOCCHIARO, Il matrimonio civile, Milano, 1997, 39.
[11] Ibidem, 42. Cfr. P. MATERA – G. SALITO, Dei singoli impedimenti matrimoniali, 143.
[12] La dottrina maggioritaria è propensa per l’applicazione dell’impedimento: contra , per tutti, M.R. SPALLAROSSA, Le condizioni per contrarre matrimonio, in P. ZATTI (a cura di), Trattato di diritto di famiglia, Vol. I, Famiglia e matrimonio, Torino, 2011, 537.
[13] Cfr. A. IANNUZZI -P. LOREFICE, Manuale di volontaria giurisdizione, Milano, 2004, 242 e ss.
[14] Sul punto  M.R. SPALLAROSSA, Le condizioni per contrarre matrimonio, 538. Cfr. T. AULETTA, Diritto di famiglia, Torino, 2014, 31.
[15] Cfr. F. FINOCCHIARO, Il matrimonio civile, 43.
[16] Cfr. P. MATERA – G. SALITO, Dei singoli impedimenti matrimoniali, 146.
[17] Ibidem, 153 -155.
[18] Il punto è pacifico. Tuttavia si esclude un’interpretazione analogica o estensiva a motivo dell’eccezionalità della fattispecie suddetta.
[19] Cfr. P. MATERA – G. SALITO, Dei singoli impedimenti matrimoniali, 149. Cfr. T. AULETTA,  Diritto di famiglia, 31.
[20] Cfr. C. GANGI,  Il matrimonio, Milano, 1969, 133.
[21] Sul punto G. FERRANDO,  Il matrimonio , Milano, 2015, 316.
[22] Ibidem, 316. Si veda altresì P. MATERA – G. SALITO, Dei singoli impedimenti matrimoniali, 151.
[23] Si rimanda all’art. 140 del codice civile.
[24] Cfr. P. MATERA – G. SALITO, Dei singoli impedimenti matrimoniali, 153 -155.
[25] Si veda in merito G. FERRANDO,  Profili del matrimonio civile , Napoli, 1992, 55.

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Giancarlo Ruggiero

Nato a Ceccano (Fr) il 9 febbraio 1993, ho conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza il 21 aprile 2017 presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Il 17 giugno 2020 ho terminato gli studi presso la Pontificia Università Lateranense Summa cum Laude: attualmente sono dottorando in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana, studente dello Studio Rotale. Difensore del Vincolo ad acta presso il Tribunale diocesano di Frosinone

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