Gli obblighi di informazione precontrattuale
Uno degli elementi portanti su cui si fonda la tutela degli interessi dei consumatori è il diritto all’informazione; infatti un’informazione carente è una delle principali cause degli squilibri e delle asimmetrie negoziali.
Gli obblighi di informazione si estrinsecano quali doveri di condotta dal principio generale della buona fede nella fase precontrattuale, divenendo particolarmente marcati quando fra le parti vi siano -per usare il linguaggio microeconomico- “asimmetrie informative”. Le parti sono tenute ad informarsi vicendevolmente sulle circostanze rilevanti e gli elementi essenziali dell’affare negoziale, coerentemente al dovere di correttezza ex art. 1375 c.c., positivamente riferito sia alla fase precontrattuale sia all’esecuzione dell’accordo; infatti il mancato adempimento di tale obbligo può essere ritenuta reticenza
Un esempio comune tratto dalla giurisprudenza è quello in cui uno dei contraenti sia stato reticente, tacendo all’altro informazioni rilevanti ai fini della contrattazione: l’agente di viaggio, che non illustri le caratteristiche dei luoghi di villeggiatura o, più in generale, chi sia cosciente che la controparte viene indotta a contrarre da un motivo erroneo o comunque crei le ragioni di una sua debolezza negoziale, approfittandone per ottenere condizioni contrattuali più favorevoli.
Anche i terzi non sono esenti dal suddetto dovere di informazione, qualora possa influire sulla contrattazione tra le parti, un’ipotesi può essere quella della banca che collochi obbligazioni di una società presso i propri clienti, dando informazioni non sufficientemente vagliate e risultate in un ultimo momento erronee, è inevitabile che essa ne risponderà a titolo di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.
E’ tuttavia importante delimitare ragionevolmente questo dovere, perché non ogni reticenza fra le parti è illecita; infatti anche irrigidire aprioristicamente la selezione tra reticenze lecite ed illecite nella categoria della validità e invalidità contrattuale non sarebbe conforme alla “duttilità del principio di buona fede, da calibrare sulle particolarità del singolo caso”.
È preponderante l’idea secondo la quale i doveri di informazione debbano riguardare solo gli elementi capaci d’incidere sulla validità e\o sull’efficacia del contratto; risponderebbe, ad esempio, il venditore che tace i difetti della cosa, se questi sono tali da fondare la garanzia per vizi e la conseguente risoluzione della vendita (art. 1491 c.c.), non, invece, se non hanno questo livello di gravità.
Però il suddetto criterio risulta poco flessibile alla molteplicità dei casi concreti, rischiando di “lasciare impunite condotte censurabili”. Facciamo l’ipotesi di Caio che compra da Tizio, suo abituale fornitore, la lavatrice nuova per esigenze familiari, senza essere a conoscenza del fatto che la moglie l’abbia già acquistata poche ore prima – dallo stesso venditore, che pur sapendolo non lo dice a Caio- : in tal caso, seppure l’errore non sia essenziale, appare ingiusto che Caio non possa né annullare il suo acquisto inutile, né domandare a Tizio il motivo della scorrettezza professionale.
La reticenza può aggravarsi quando è la conseguenza diretta di una esplicita richiesta di informazioni. Può inoltre diventare ancora più intollerabile quando la parte reticente sia un operatore professionale, e la condotta negligente riguardi la sfera della sua attività economica, rilevante per il contratto: la giurisprudenza utilizza, appunto, questo criterio come scriminante tra una condotta lesiva degli obblighi informativi della banca rispetto alla propria clientela e una condotta legittima.
In alcuni casi, i doveri di informazione precontrattuale a carico degli operatori professionali sono legalmente codificati, in virtù del principio di trasparenza (le banche sono tenute a pubblicizzare le condizioni economiche dei servizi offerti, ed anche gli operatori finanziari, in vista dei possibili contratti con i clienti, sono obbligati a pubblicare il c.d. prospetto informativo): e allora la reticenza è senza dubbio illecita (ma la legge può comminare per essa anche sanzioni differenti rispetto alla sola responsabilità precontrattuale ex art. 1337).
Il contenuto del dovere di informazione non concerne la convenienza o meno dell’affare negoziale, ma ha ad oggetto le circostanze attinenti all’inefficacia e\o invalidità del contratto, che le parti si accingono a concludere. Infatti una mancanza di informazione può determinare l’annullamento del contratto, se a causa dell’omissione il contraente viene indotto in errore (art. 1338 c.c.) o, nella previsione più grave, se essa derivi da un comportamento doloso.
Ora è conseguenza naturale domandarsi se accanto al dovere precontrattuale di informare, sussiste a maggior ragione un dovere di informare secondo verità: la dottrina e la giurisprudenza concordano che informare secondo verità, ossia in modo chiaro e precisa, sia un corollario del suddetto obbligo (dare al cliente una brochure non è un dovere del tour operator o dell’agenzia di viaggi, ma se viene dato esso non può contenere un’informazione ambigua o incomprensibile).
Un dovere precontrattuale di trasparenza – informare secondo verità, e con chiarezza – è di regola previsto a carico della parte contrattualmente più forte, ad esempio il contratto di vendita di pacchetti turistici “è redatto…in termini chiari e precisi”, ma anche le clausole contrattuali fra professionista e consumatore, predisposte dal professionista sono da redigersi in modo chiaro e comprensibile.
Occorre anche dire che solo in casi residuali la violazione di questo dovere dà luogo effettivamente a responsabilità precontrattuale; sono invece maggiormente utilizzabili rimedi contrattuali come la possibilità di dichiarare la vessatorietà della clausola predisposta dalla parte negozialmente più forte o l’interpretazione della clausola oscura e\o ambigua a svantaggio del predisponente.
All’obbligo di informare in maniera diligente e corretta occorre affiancare un dovere specularmente opposto, ossia di segreto: non divulgare notizie apprese durante le trattative sulla controparte. Nonostante il dovere sussista, la sua violazione non dà luogo a responsabilità precontrattuale. Se l’obbligo di riserbo è un’obbligazione specificatamente assunta ( come nei secrecy agreements), la sua inadempienza è fonte di responsabilità contrattuale; nel caso contrario, la sua trasgressione è una mera scorrettezza, “che pur traendo origine dalla trattativa, non è finalizzata alla trattativa”, per la quale l’ordinamento prevede una responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.
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Tatiana Rosca
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