Gli sviluppi del commercio elettronico trans-pacifico negli accordi internazionali di libero scambio

Gli sviluppi del commercio elettronico trans-pacifico negli accordi internazionali di libero scambio

Abstract. L’e-commerce cresce esponenzialmente nell’area di libero scambio più grande al mondo, quella trans-pacifica, ma sono necessari ancora molti passi in avanti per mantenere il primato sulle economie avverse.

I membri del CPTPP, forti del loro PIL, devono affrontare oggi una prova difficile, sostenendo la competizione con i Paesi Asean e allontanando lo spettro della superpotenza commerciale cinese all’orizzonte.  

Sommario: Premessa – 1. L’America del Nord alla prova dei fatti – 2. Un gigante commerciale per il trans-pacifico – 3. Pechino preme sull’accordo

 

Premessa

Negli ultimi anni il commercio elettronico ha conosciuto un rapido sviluppo in forza di un incremento significativo dei flussi digitali.

Le economie dell’area trans-pacifica hanno sottoscritto numerosi accordi di libero scambio con l’obiettivo di favorire il trend economico positivo prodotto dall’e-commerce.

Questi “agreements” disciplinano trasversalmente molteplici settori produttivi, ma tra questi alcuni capitoli sono dedicati al commercio elettronico.

1. L’America del Nord alla prova dei fatti

Lo scenario nordamericano suggerisce di guardare all’USMCA (United States-Mexico-Canada Agreement), importante accordo di libero scambio firmato dai tre partners dell’America del nord (Stati Uniti, Messico e Canada) nato dall’esigenza di rinegoziare i parametri del NAFTA (North American Free Trade Agreement, 1994) che regolava i rapporti commerciali tra questi tre Paesi.

Il testo dell’accordo è stato firmato il 1° ottobre 2018 dai presidenti Donald Trump (Stati Uniti), Justin Trudeau (Canada) ed Enrique Peña Nieto (Messico).

Il negoziato ha voluto promuovere il digital trade: “the Parties recognize the economic growth and opportunities provided by digital trade and the importance of frameworks that promote consumer confidence in digital trade and of avoiding unnecessary barriers to its use and development”, si legge all’art. 19.2 nella definizione degli obiettivi generali.

Una delle misure più incisive riguarda l’introduzione del divieto di applicazione di dazi doganali, o strumenti analoghi, che frenano o impediscono la crescita del commercio digitale, vigilando in questo modo sulle tariffe applicate all’e-commerce.

Relativamente alla protezione dei dati personali l’accordo ha conservato i precedenti assetti normativi che tutelavano adeguatamente le informazioni personali degli utenti, “each Party shall adopt or maintain a legal framework that provides for the protection of the personal information of the users of digital trade” (art. 19.8).

Questa previsione, tuttavia, era già contenuta nell’APEC (Asian Pacific Economic Cooperation) e nella raccomandazione del Consiglio dell’OECD (1); la privacy transfrontaliera protetta dall’APEC è riconosciuta dall’USMCA come un meccanismo valido per facilitare i trasferimenti internazionali di dati senza perdere il controllo sulla privacy. Su questo punto, infatti, l’accordo è molto aperto sui possibili benefici: “no Party shall prohibit or restrict the cross-border transfer of information, including personal information, by electronic means if this activity is for the conduct of the business of a covered person” (art. 19.11).

Le parti, però, hanno reso applicativa una deroga sulla possibilità di adottare misure non conformi con il primo paragrafo dell’accordo – “this Article does not prevent a Party from adopting or maintaining a measure inconsistent with paragraph 1 that is necessary to achieve a legitimate public policy objective” – si tratta di una misura di politica pubblica, che però non deve integrare ipotesi di clausole arbitrali di discriminazione o compromettere il flusso transfrontaliero di informazioni.

I firmatari dell’USMCA hanno previsto (art. 19.14) una consistente cooperazione tra Stati nello scambio trasversale di informazioni attraverso la partecipazione ai “regional and multilateral fora to promote the development of digital trade”, spingendo i governi nazionali all’adozione di tecnologie digitali d’avanguardia e rafforzando i sistemi internazionali di protezione dei dati.

Un esponenziale aumento delle minacce alla sicurezza informatica ha inoltre instradato i partners (art. 19.15) ad indire bureaux di scambio comune sul tema della cybersicurezza nel commercio digitale, lasciando però ai governi una certa discrezionalità nella redazione degli standard di rischio a vantaggio delle imprese controllate.

2. Un gigante commerciale per il trans-pacifico

L’area in questione è dominata dal Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (CPTPP), sottoscritto da dodici Paesi dell’area pacifica (Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Regno Unito, Singapore e Vietnam) l’8 marzo 2018, con l’intenzione di costruire un polo mondiale di libero scambio di beni e servizi.

L’accordo deriva dal Trans-Pacific Partnership, siglato ad Auckland il 4 febbraio 2016 e mai entrato in vigore a causa del ritiro degli Stati Uniti, leaders della carta e partners di riferimento regionale.

Composto da ventisei capitoli e ulteriori documenti allegati, disciplina il fenomeno dell’e-commerce al capitolo quattordici.

Il commercio digitale è un asse importante del documento in analisi, che mira a svincolare acquisti e transazioni digitali da imposizioni governative individuali che frenano i flussi di libero scambio dei big data.

Un grande numero di imprese nelle regioni dei Paesi di applicazione del CPTPP è coinvolto nella catalogazione digitale di massive quantità di dati che trasferiscono oltre confine.

Garantire una esportazione facile e lineare di beni e servizi digitali grazie all’e-commerce transfrontaliero è un elemento primario per scongiurare situazioni di stallo dell’economia trans-pacifica dopo la pandemia; i social network utilizzati per scopi commerciali (es. Meta nella funzione “Marketplace”) rispondono ottimamente a quest’esigenza.

Il fenomeno però genera contrasti: il primo di questi riguarda le regole sulla privacy dei consumatori.

Kati Suominen [2] osserva nel suo studio che “some 43% of the surveyed firms that export is especially concerned about data privacy rules in foreign countries, and 32% worry about data localization and complex online consumer protection rules as key challenges for growing their exports”. La maggior parte delle imprese dei Paesi membri del CPTPP, quindi, sono preoccupate dalla movimentazione di dati non soggetti a vigilanza pubblica.

In secondo luogo, è necessario lavorare sulla cybersicurezza, consentendo ad ogni Paese partner di uniformare le proprie regole sulla privacy al CPTPP.

Ma per l’elevato grado di autonomia discrezionale, è difficile verificare il modo in cui un governo applichi le direttive dell’accordo. Tuttavia, è possibile inquadrare modelli positivi di economie emergenti che si autoregolano bene in ottemperanza alla carta (Vietnam), mentre altre faticano a prevedere politiche governative di controllo sui dati personali (Cile e Perù).

Infine, l’esportazione dei dati, causa problemi significativi sulla gestione dei flussi.

Nonostante questo, però, da quando il documento è entrato in vigore, si è registrato un aumento netto dell’esportazione di dati (art.14.11) e di vendita di altri servizi online (es. commercializzazione di consulenze professionali a distanza).

Kati Suominen identificava prima del CPTPP (periodo 2011-2018) le esportazioni digitali di area pacifica in una crescita media annua del 7%, che è invece salita al 10% con il CPTPP.

Tuttavia, va riconosciuto che anche gli Stati Uniti, ritiratisi dal partenariato trans-pacifico, hanno aumentato dal 2018 ad oggi le esportazioni digitali verso l’area CPTPP.

In area Asean invece le imprese di Filippine e Indonesia hanno riscontrato un aumento del 5% grazie al trasferimento di dati e servizi in area CPTPP. Le Filippine e la Corea del Sud hanno ottenuto vantaggi economici significativi dalla libera circolazione in entrata e in uscita dei dati nei Paesi CPTPP, soprattutto nei settori della cybersicurezza, sanità e videogiochi, sfruttando le opportunità garantite dal divieto di localizzazione dei server (art. 14.10), dalle regole stringenti sulla privacy e dalla protezione dallo spam.

Nonostante l’indiscusso aumento del PIL generato dal partenariato trans-pacifico e la definizione di un nuovo parametro per il commercio digitale, i capitoli dell’agreement prevedono regole commerciali ad oggi sorpassate in molti campi. Basta confrontarlo con i regolamenti di nuova generazione sulle procedure unificate di pagamento e con le leggi sul controllo dell’intelligenza artificiale.

Questi ultimi due elementi non mancano nel Digital Economy Partnership Agreement (DEPA), accordo trilaterale tra Cile, Nuova Zelanda e Singapore, concluso il 12 giugno 2020 e con successiva richiesta di adesione da parte della Corea del Sud e della Cina (2021).

Focalizzandosi sul commercio digitale il DEPA ha giocoforza rispetto al CPTPP, che è un accordo di libero scambio multisettoriale; inoltre, il DEPA è stato firmato nel 2020, due anni dopo il CPTPP, periodo in cui l’IA ha fatto progressi decisivi.

Il 47% dei rivenditori ed esportatori extra CPTPP accoglierebbero positivamente il riconoscimento da parte del CPTPP delle piattaforme digitali dei settori d’impresa per riconoscersi tra competitors internazionali, allontanando le numerose infiltrazioni criminali nelle piattaforme, come prevede il DEPA.

Anche l’USMCA è un modello positivo relativamente alla responsabilità civile telematica verso terzi, ipotesi che il CPTPP non ha e che Filippine e Corea del Sud, impegnate a salvare le loro imprese dai reati informatici, richiedono.

 Tuttavia, le economie in via di sviluppo dell’area trans-pacifica e non che beneficerebbero di queste integrazioni, potrebbero in alternativa stipulare agreements bilaterali con l’area CPTPP, strada che vogliono percorrere le Filippine sulla scia dell’Indonesia che ha firmato un accordo bilaterale con il Cile.

Un’altra soluzione convincente potrebbe essere l’ingresso nel partenariato di altre economie emergenti Asean.

Con riferimento alle economie occidentali, invece, l’ingresso del Regno Unito nel CPTPP (marzo 2023) comporta delle novità: dopo la Brexit è il primo Stato europeo ad entrare nel partenariato, nonostante il suo impegno pregresso in accordi bilaterali di libero scambio con nove dei Paesi CPTPP.

Non sono previste grandi ipotesi di crescita per il Regno Unito grazie a questa mossa (0,08% del PIL). Con questo negoziato, infatti, il governo britannico ha voluto perlopiù abbassare le tariffe sulle esportazioni di prodotti alimentari (in particolare formaggi e whisky) verso Canada, Cile, Giappone e Messico.

3. Pechino preme sull’accordo

L’eventuale ingresso di Pechino nel partenariato trans-pacifico genera discussioni.

Il TPP era nato nel 2016 come posizionamento economico-strategico anticinese; per questo sulla possibile entrata quasi tutti i Paesi membri hanno espresso preoccupazione: il Messico, ad esempio, indebolirebbe il suo export che in molti settori è analogo al colosso asiatico. L’entrata di un Paese terzo è inoltre subordinata ad una clausola di gradimento dei firmatari, che al momento sembra difficile da ottenere.

Le precarie relazioni diplomatiche in corso tra Washington-Pechino-Taipei infine allontanano questa possibilità per adesso, senza contare i difficili standard democratici e i principi economici di libero scambio del CPTPP, che la Cina deve garantire ma che ad oggi non riuscirebbe a adeguare.

 

 

 

 

 


Note  
[1] OECD, Recommendation of the Council concerning Guidelines Governing the Protection of Privacy and Transborder Flows of Personal Data, 2013
[2]  SUOMINEN K., The CPTPP’s Impacts on Digital Trade and the Path Forward, Centre for Strategic International Studies (CSIS), 2021; cfr. UMEZAKI J., E-Commerce Provisions in the Regional Comprehensive Economic Partnership: a milestone for a Global Rule?, Institute of Developing Economies Japan External Trade Organization, 2022; cfr. Advancing Digital Services Trade in Asia and the Pacific, WTO, 2022; cfr. What does the CPTPP mean for electronic commerce?, Government of Canada, 2018

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