Gli usi civici e il loro nuovo volto

Gli usi civici e il loro nuovo volto

Gli usi civici costituiscono un istituto dai caratteri tanto particolari da far dubitare che agli stessi si possa dare una precisa collocazione nell’ordinamento.

Gli usi civici nascono nel Medioevo, ovvero in un’epoca in cui si assiste allo smembramento del diritto di proprietà.

A seguito dell’influenza dei popoli barbari, comincia a cambiare il concetto di proprietà proprio della tradizione romanistica.

L’attenzione, prima focalizzata sul soggetto titolare del diritto, si sposta ora al bene, quini, alla res; si ha una scomposizione del dominio, poiché può essere ceduto tanto il dominio diretto tanto il dominio utile.

Durante il Medioevo, nasce e si sviluppa il feudo ma, soprattutto si pone la questione della distinzione tra bene della comunità e bene del singolo, per cui a fronte della proprietà individuale si colloca anche la proprietà collettiva, appartenente a una universitas e, quindi, ai cives.

Tuttavia, a seguito della Rivoluzione francese, a partire dalla prima metà dell’Ottocento italiano, verranno emanate le “leggi eversive della feudalità” con cui si assisterà ad un fenomeno nuovo e controtendente che porterà alla soggettivizzazione dei beni collettivi e allo sfavore verso gli usi civici.

Tale avversione raggiungerà il culmine con l’emanazione della legge n. 1766/1927, attualmente in vigore, nata con l’obiettivo di disciplinare in modo esaustivo e unitario tutti gli usi civici.

La normativa in esame considerava gli usi civici come un anacronismo da eliminare, tanto è vero che ne prevedeva la liquidazione da parte di un Commissario ad hoc.

La citata legge, pur non definendo gli usi civici, li considerava come diritti di godimento e li distingueva in due categorie: usi civici in re aliena e usi civici in re propria il cd. demanio civico.

La giurisprudenza di legittimità ha di recente posto l’attenzione sulla categoria degli usi civici in re propria.

Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno puntualizzato l’esatta portata di questa categoria di usi civici.

I diritti di uso civico gravanti su beni collettivi sono assimilabili a quelli demaniali, per cui ne condividono le medesime caratteristiche ai sensi dell’articolo 823 co. 1 c.c.

Dal momento che sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, laddove vi sia stata una procedura espropriativa per pubblica utilità, tali beni non potranno mai essere posti nel nulla, o essere considerati estinti, per effetto del decreto di esproprio.

Trattandosi di beni assimilabili alla categoria dei beni pubblici demaniali, sarà necessario procedere alla sdemanializzazione preventiva di tali beni, altrimenti il decreto espropriativo, emanato a conclusione del procedimento ablatorio, sarà affetto da nullità.

Oggi gli usi civici, più correttamente descritti come demanio collettivo, alla luce della L. n. 168 /2017 hanno assunto una diversa fisionomia.

Il legislatore, infatti, non considera più gli usi civici come un retaggio storico da ripudiare, poiché nel sistema delineato dalla legge in esame si evidenzia come il dominio collettivo sia una forma di proprietà riservata originariamente ad una comunità ex art. 43 Cost. e che oggi deve essere preservata per il futuro.


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