Global warming: dal rapporto dell’IPCC al 2050 attraverso il diritto internazionale, europeo ed italiano
Sommario: 1. Introduzione – 2. Il rapporto dell’IPCC e le critiche – 3. Gli strumenti del diritto internazionale – 4. Gli strumenti dell’UE – 5. Giurisprudenza europea – 6. La prospettiva italiana – 7. Conclusioni
1. Introduzione
Di recente è uscito il rapporto per il 2021 dell’IPCC [1] circa la questione del global warming, ovvero il riscaldamento globale. Il rapporto di quest’anno è particolarmente importante poiché si incastra in uno scenario dominato da eventi ambientali particolarmente forti. Su internet sono facilmente reperibili le immagini delle inondazioni in Cina[2], gli oramai consuetudinari incendi in California[3] dei cicloni sempre più numerosi che si stagliano sugli Stati Uniti oppure nel sud-est asiatico[4]. Tuttavia tale tematica non è estranea anche al nostro paese poiché lo stesso stivale è caratterizzato da eventi come grandinate fuori stagione[5] oppure l’aumento degli incendi[6]. Circa l’ultima questione, il sito “dati alle fiamme” evidenzia come vi sia stato un aumento dal 2009 al 2019 degli incendi che hanno caratterizzato prevalentemente le zone del sud Italia[7] . La tendenza negativa è stata anche evidenziata da Legambiente, il quale ha sottolineato l’aumento del 18% di episodi di incendi boschivi[8].
Ma gli effetti del global warming non si scagliano esclusivamente sulla flora e la fauna, ma hanno ripercussioni molto più importanti sia da un punto di vista sociale, sia da un punto di vista economico. Quest’ultimi due effetti sono stati sintetizzati da uno dei più recenti studi sul tema, ovvero il global climate risk index 2021[9].
“Le persone di tutto il mondo stanno affrontando la realtà del cambiamento climatico, in molte parti nel mondo questo si sta manifestando in una maggiore volatilità degli eventi meteorologici estremi. Tra il 2000 e il 2019, oltre 475 000 persone hanno perso la vita in tutto il mondo e hanno subito perdite di 2,56 trilioni di dollari USA (in PPP) sono stati correlati come un risultato diretto degli oltre 11.000 eventi meteorologici estremi. I processi a insorgenza lenta stanno già aggiungendo un onere aggiuntivo e lo faranno sempre di più in futuro. Secondo l’UNEP Adaptation GapReport 2016, gli impatti crescenti comporteranno un aumento dei costi di adattamento globali :Entro il 2030 si stima che questi costi ammonteranno a tra 140 miliardi di dollari e i 300 miliardi di dollari all’anno ed entro il 2050 tra 280 e 500 miliardi di dollari. I costi derivanti da rischi residui o perdite e danni inevitabili non sono inclusi in questi numeri. Stime attuali delle esigenze di finanziamento del clima per le perdite residuali e i danni nei paesi in via di sviluppo vanno da 290 miliardi di dollari a 580 miliardi di dollari nel 2030”
Dunque il global warming è una questione ben più ampia e profonda di quello che potrebbe sembrare. Di conseguenza si sente l’esigenza di valorizzare il tema al fine di contribuire, almeno in parte, ad una attività di sensibilizzazione nonché conoscitiva. Su tali punti si snoderà l’articolo che vorrà rispondere a domande come : quali sono gli strumenti posti in essere dal diritto internazionale, quali sono gli strumenti adottati dall’UE ed infine la prospettiva italiana. L’articolo si concluderà con le conclusioni.
2. Il rapporto dell’IPCC e le critiche
Il rapporto dell’IPCC, basato sulla sintesi di circa 14.000 fonti ed uscito il 7 Agosto, è abbastanza inquietante poiché le conclusioni alle quali arriva il comitato internazionale evidenziano un nesso diretto tra l’aumento delle temperature e l’azione umana. In particolare il rapporto ha evidenziato che nel 2019, le concentrazioni atmosferiche di CO2 sono state le più alte mai registrare in almeno 2 milioni di anni, non sono da meno le concentrazioni di CH4 e N2O anch’esse le più alte negli scorsi 800.000 anni. Dal 1750, gli aumenti delle concentrazioni di CO2 (47%) e CH4 (156%) hanno superato di gran lunga gli aumenti di N2O (23%) eventi simili sono stati registrati durante le epoche glaciali. La temperatura superficiale globale è aumentata più rapidamente dal 1970 che in qualsiasi altro periodo di 50 anni oltre almeno gli ultimi 2000 anni. Le temperature nell’ultimo decennio (2011-2020) superano quelli del più recente periodo caldo plurisecolare, circa 6500 anni fa [da 0,2°C a 1°C rispetto al 1850–1900]. Prima di ciò, il successivo periodo più caldo di recente risale a circa 125.000 anni fa quando la temperatura plurisecolare [da 0,5°C a 1,5°C rispetto al 1850-1900] si sovrappone alle osservazioni del decennio più recente. Il global warming non ha influenzato solamente le temperature globali, ma come è ben risaputo, ha avuto anche delle ricadute sul sistema degli oceani tantoché nel periodo tra il 2011 ed il 2020, la superficie media annua del ghiaccio marino artico ha raggiunto il livello più basso almeno dal 1850. Il livello medio globale del mare è aumentato più rapidamente dal 1900 rispetto a qualsiasi altro secolo precedente almeno nell’ultimo 3000 anni. L’oceano globale si è riscaldato più velocemente nell’ultimo secolo rispetto alla fine dell’ultima transizione glaciale (circa 11.000 anni fa). Infine delle ricadute vi sono state anche circa l’acidità e la basicità del mare, di conseguenza si è riscontrato un aumento a lungo termine del pH dell’oceano che negli scorsi 50 milioni di anni, tuttavia il pH di superficie dell’oceano è basso come negli ultimi decenni, ciò secondo il comitato, è insolito poiché non capitava da almeno 2 milioni di anni.
Se fin qui le conclusioni riscontrate possano essere allarmanti, le prospettive non lasciato adito a scelta poiché il rapporto prevede che i livelli del mare in tutto il mondo aumenteranno di 2-3 metri nei prossimi 2.000 anni, anche se le temperature saranno tenute sotto controllo a 1,5 °C di riscaldamento e fino a 6 metri con 2 °C di riscaldamento, il che altererebbe l’interno delle coste, attualmente abitate da centinaia di milioni di persone. Sulle pagine di Nature[10] si pone il problema se l’azione dell’essere umano sia o meno inutile e se si possa limitare il riscaldamento globale . A tale questione la risposta è sì, afferma Maisa Rojas, autrice principale coordinatrice del rapporto e direttrice del Centro per la ricerca sul clima e la resilienza dell’Università del Cile a Santiago, tuttavia aggiunge “ a meno che non ci siano riduzioni immediate, rapide e su larga scala di tutti i gas serra, limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C sarà irraggiungibile”.
Il rapporto non è l’apoteosi della felicità tantomeno dell’ottimismo e tale inclinazione catastrofista è stata evidenziata da una parte della comunità scientifica che ha messo parzialmente in dubbio le parole del rapporto. Le principali critiche sono state poste da Roger Pielke Jr, professore di studi ambientali per l’università del Colorado nonché politologo, che sulle pagine di Spiked[11] pur ammettendo l’influenza del comportamento umano circa il clima, ha detto “La pianificazione dello scenario è estremamente importante. Ma a un certo punto, l’IPCC ha intrapreso la strada del favore di scenari estremi. Non scenari climatici estremi, ma scenari sociali estremi . Immagina un futuro, ad esempio, in cui l’unica fonte di energia su cui facciamo affidamento è il carbone. Eliminiamo il solare, l’eolico, il nucleare e il gas naturale. È piuttosto estremo. Ed è piuttosto fuori luogo rispetto a dove si trova attualmente il mondo e a dove è diretto. Tuttavia, questo scenario viene poi inserito nei modelli climatici che producono proiezioni di impatti futuri. C’è un “pregiudizio catastrofico” nell’IPCC. L’IPCC ha finalmente riconosciuto questo problema nel suo nuovo rapporto. Ma non l’ha corretto, il che è un peccato. La dinamica dell’IPPC che favorisce lo scenario estremo è stata sovrapposta ai media, che adottano un approccio catastrofista alla discussione sul clima. È stato anche sovrapposto alla politica climatica, che favorisce anche gli estremi. Ci sono attivisti che dicono che è “codice rosso per l’umanità” e che il mondo finirà domani. E dall’altra parte, ci sono persone che dicono che è tutta una bufala. Entrambi questi endpoint sono lontani dalla scienza. Il discorso favorisce le dichiarazioni estreme e in una certa misura l’IPCC ha la responsabilità di consentirle. Le inondazioni non sono più frequenti. Uragani e cicloni tropicali non sono più frequenti. Le siccità meteorologiche e idrologiche non sono più frequenti. I tornado non sono più frequenti. La grandine non è più frequente. I fulmini non sono più frequenti. I venti forti non sono più frequenti. Le ondate di calore sono più frequenti, così come le precipitazioni estreme (sebbene l’IPCC sia molto esplicito sul fatto che le precipitazioni estreme non devono essere confuse con le inondazioni). E ci sono altri due tipi di siccità, quella agricola e quella ecologica, che sono aumentate. Sono solo quattro i fenomeni per i quali l’IPCC sostiene di aver rilevato un aumento, quindi. Dire che le inondazioni o le tempeste sono diventate più comuni a causa del cambiamento climatico non è al passo con quanto afferma l’IPCC. Il rapporto può essere giusto o sbagliato. Ma se vogliamo riflettere accuratamente il rapporto, mostrare immagini di inondazioni in Belgio, Germania o Cina, o l’immagine di un uragano, è semplicemente fuorviante.”
Altra critica dello stesso spessore viene Bjorn Lomborg,autore di False Alarm[12] il quale, pur seguendo la logica del professore del Colorado, ha evidenziato che “Un nuovo studio mostra che circa mezzo milione di persone muoiono di caldo, ma 4,5 milioni muoiono di freddo. L’aumento delle temperature negli ultimi due decenni ha causato 116.000 morti per calore in più ogni anno. Ma si scopre che, poiché il riscaldamento globale ha anche ridotto le ondate di freddo, ora ci sono 283.000 morti in meno per il freddo. Questo non si sente, ma, ad oggi, il cambiamento climatico salva 166.000 vite all’anno.”
In via del conclusione del punto, i due interventi evidenziano una crepa nella comunità scientifica circa il global warming tuttavia i vari critici non marginalizzano l’effetto dell’uomo circa il clima oppure il problema stesso ma tendono a ridimensionarlo, cercando di essere meno estremisti del rapporto. In effetti anche il famoso sito “Our world in data ” evidenzia una “certa” normalità dei natural disaster nonché la diminuzione del tasso di mortalità dovuta ai disastri naturali, ciò molto probabilmente legato allo sviluppo di nuove tecnologie e materiali[13]. Dunque è una questione di approccio al problema od in altre parole di scelta di modello. In effetti il rapporto trasuda di preoccupazione e certamente il comitato è in buona fede e avrà scelto un modello estremista sia a causa delle conclusioni alle quali sono arrivati i numerosi studi sia per porre l’accento sulla problematica nonché incentivare un’azione politica coordinata che possa arginare il problema. Tuttavia essere apocalittici potrebbe avere costi sociali ben superiori, specialmente in relazione alla transizione ecologica delle supply chains. Ciò non toglie che la risposta dovrà essere immediata e collettiva.
3. Gli strumenti del diritto internazionale
Per fronteggiare il problema, la comunità internazionale ha adottato negli scorsi anni un serie di protocolli o trattati atti ad incentivare l’azione dei governi verso una diminuzione dei gas serra nonché della Co2, i più importanti sono i seguenti:
– Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici
Un primo atto rilevante è certamente la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici[14]. Essa è stata ratificata nel 1992 . L’accordo ha come obiettivo la stabilizzazione delle concentrazioni atmosferiche dei gas serra, ad un livello tale da prevenire interferenze antropogeniche pericolose con il sistema climatico terrestre. L’accordo non pone limiti obbligatori per le emissioni di gas serra alle nazioni individuali; si tratta quindi di un accordo legalmente non vincolante.
L’accordo si basa sull’acquisita consapevolezza dei cambiamenti climatici e dell’influenza delle attività antropiche su tali cambiamenti e sul riscaldamento globale in atto. Tra i principi cardine della convenzione (elencati nell’articolo 3), ci sono:
la protezione del sistema climatico, e quindi la lotta ai cambiamenti climatici ed ai loro effetti avversi;
la consapevolezza dei particolari bisogni e condizioni dei paesi in via di sviluppo, particolarmente vulnerabili nei confronti dei cambiamenti climatici;
il fatto che la mancanza di una piena certezza scientifica non è una ragione per posporre misure di prevenzione e mitigazione.
Nell’articolo 4 sono invece elencati gli obblighi derivanti dall’adesione alla convenzione quadro sui cambiamenti climatici per i diversi paesi, come l’implementazione di misure di mitigazione e misure che possano facilitare l’adattamento ai cambiamenti climatici, attraverso l’adozione di politiche nazionali, e l’obbligo di gestione sostenibile dei sink e dei reservoir (intesi come biomassa, foreste, oceani ed in generale ecosistemi marini, terrestri e costieri). Dunque l’accordo di Rio aveva un valore maggiormente simbolico che politico. Tale declinazione può essere vista anche grazie all’art.12 dove vi era appunto l’obbligo di redigere un report conoscitivo circa il tema.
La convenzione rimane un gesto importante intesa come acquisizione della consapevolezza derivante da un problematica che si è scoperta essere di difficile risoluzione.
– Protocollo di Kyoto
il protocollo di Kyoto è stato il primo accordo internazionale per contrastare i cambiamenti climatici con l’obbligo di ridurre le emissioni fin in un dato periodo. È stato sottoscritto l’11 dicembre 1997 durante la Conferenza delle parti di Kyoto (COP3) da oltre 180 Paesi.[15] Tecnicamente, si trattava dello strumento con cui doveva essere attuata la Convenzione quadro delle nazioni unite sui cambiamenti climatici. Dal protocollo di Kyoto erano esclusi i paesi in via di sviluppo per evitare di frapporre ulteriori barriere alla loro crescita economica. Tuttavia quest’ultimo punto è stato particolarmente oggetto di discussione poiché tra i paesi emergenti esclusi vi erano la Cina e l’India ovvero due paesi estremamente inquinanti. Malgrado l’alto numero di sottoscrittori, la vita del protocollo non fu facile poiché la sua entrata in vigore avvenne ben otto anni dopo, il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica da parte della Russia avvenuta nel novembre 2004, che permise di raggiungere il requisito minimo per la sua applicazione. Questo perché il trattato poteva entrare in vigore soltanto se ratificato da almeno 55 Paesi industrializzati firmatari della Convenzione quadro, ma questo non era l’unico requisito. La somma delle emissioni dei Paesi aderenti doveva corrispondere ad almeno il 55% delle emissioni serra globali, e la ratificazione da parte della Russia permise di raggiungere questo obiettivo (l’Italia lo aveva ratificato il primo giugno del 2002).
Storicamente il protocollo di Kyoto ha avuto complessivamente due fasi. La prima è durata dal 2008 al 2012. Mentre la seconda fase avvenne con l’adozione dell’emendamento di Doha sul protocollo di Kyoto, che estese la sua applicazione fino al 31 dicembre 2020. Tuttavia la seconda fase del protocollo è stata molto sotto luce poiché nel frattempo venne firmato l’accordo di Parigi che implementava e sostituiva in parte il protocollo.
Dunque nella sua prima fase, quella che ha coperto il periodo dal 2008 al 2012, ai Paesi firmatari fu richiesto di ridurre le emissioni dei principali gas serra inquinanti (biossido di carbonio, metano, protossido di azoto, idrofluorocarbuti, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo) di almeno il 5,2% rispetto ai livelli del 1990. Tuttavia la percentuale non era uguale per tutti i Paesi, ma cambiava sulla base della quantità di emissioni di ciascuno. Questi paesi erano tenuti, poi, a incentivare pratiche positive per la lotta ai cambiamenti climatici come protezione di zone boschive, esportare tecnologie per generare energia pulita nei paesi in via di sviluppo. Inoltre con i seguenti strumenti[16] le nazioni potevano cooperare attraverso lo scambio dei crediti per la Co2.
International emissions trading
Si tratta della possibilità di vendere e acquistare diritti di emissioni tra Paesi. In pratica, se un Paese riduce le proprie emissioni e lascia un “avanzo” di emissioni da poter emettere, può vendere questo avanzo a un altro Paese che non riesce a stare sotto la quota definita. Un vero e proprio interscambio di emissioni
Clean Development Mechanism
Consiste nella possibilità dei Paesi industrializzati di compensare le proprie emissioni con l’avvio, in altri Paesi in via di sviluppo, di progetti finalizzati alla riduzione di emissioni in quelle aree. Ciò può avvenire tramite l’esportazione di tecnologie per generare energia pulita o efficientamento energetico delle abitazioni, o ancora progetti di riforestazione e implementazione di zone verdi.
Joint implementation
Disciplinato dall’articolo 6 del protocollo di Kyoto, questo meccanismo prevede la possibilità, per le imprese appartenenti a Paesi con vincoli di emissioni, di realizzare progetti di riduzione di emissione in altri Paesi ugualmente soggetti a vincoli, in modo tale da generare zero emissioni in entrambi i Paesi. In questo modo è possibile abbattere le emissioni in situazioni in cui può essere più conveniente anche a livello economico, guadagnando delle specie di “crediti emissioni”, chiamati Emissions Reductions Unit, generati dall’inquinamento evitato grazie a questi progetti.
Malgrado l’assetto costituito i risultati furono mediocri. La seconda fase del protocollo, come già detto, risulta marginale anche se proprio nel secondo periodo si sono registrati i risultati migliori ciò a causa di una sempre più pregnante esigenza di combattere il cambiamento climatico. Dunque il protocollo in una prima fase non espresse tutto il suo potenziale non riuscendo a raggiungere le quote di riduzione del 5% o dell’8% per i paesi europei. Tuttavia nella seconda fase[17] si sono registrate le maggiori soddisfazioni, intatti l’UE è riuscita a surclassare l’obiettivo del protocollo con un sostanzioso – 21,66 % nel 2017. Malgrado il risultato promettente vedendo i singoli paesi europei, alcuni di essi hanno visto aumentare l’emissioni come Cipro, Portogallo, Spagna, Irlanda e Portogallo.
– Gli Accordi di Parigi
L’Accordo di Parig[18] è uno strumento giuridicamente vincolante nel quadro della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Convenzione sul clima, UNFCCC), comprende elementi per una riduzione progressiva delle emissioni globali di gas serra e si basa per la prima volta su principi comuni validi per tutti i Paesi: l’Accordo persegue l’obiettivo di limitare ben al di sotto dei 2 gradi Celsius il riscaldamento medio globale rispetto al periodo preindustriale, puntando a un aumento massimo della temperatura pari a 1,5 gradi Celsius. Inoltre mira a orientare i flussi finanziari privati e statali verso uno sviluppo a basse emissioni di gas serra e a migliorare la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici. L’Accordo impegna tutti i Paesi, in forma giuridicamente vincolante, a presentare e commentare ogni cinque anni a livello internazionale un obiettivo nazionale di riduzione delle emissioni (Nationally Determined Contribution, NDC). Il raggiungimento dell’obiettivo è vincolante solo dal punto di vista politico, mentre sono giuridicamente vincolanti l’attuazione delle misure nazionali e la rendicontazione sul grado di raggiungimento degli obiettivi. L’Accordo stabilisce inoltre prime regole per definire gli obiettivi di riduzione dei singoli Paesi. Tali obiettivi devono essere chiari e quantificabili. Inoltre, ogni obiettivo successivo deve dipendere da quello precedente ed essere il più ambizioso possibile. L’Accordo basato sul principio delle regole dovrà poter essere ampliato per i prossimi anni. Le nuove regole saranno tuttavia vincolanti solo per gli obiettivi di riduzione successivi. Per il raggiungimento degli obiettivi ai sensi dell’Accordo le emissioni ottenute all’estero sono ammesse per il raggiungimento degli obiettivi ai sensi dell’Accordo, purché siano rispettose dell’ambiente, contribuiscano allo sviluppo sostenibile e non causino doppi conteggi. In questo contesto, l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi ammette due tipi di riduzioni delle emissioni conseguite all’estero (Internationally transferred mitigation outcomes, ITMOS): quelle che risultano da un meccanismo regolato dall’Accordo di Parigi e quelle che risultano da accordi bilaterali e multilaterali. L’Accordo mette praticamente fine alla severa distinzione di principio fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Ai Paesi più poveri viene concesso un certo margine di discrezionalità per l’attuazione. I Paesi industrializzati sono inoltre esortati, ma non obbligati, a rispettare il loro ruolo di pionieri, continuando a fissare obiettivi assoluti sull’insieme dell’economia. In cambio, i Paesi in via di sviluppo sono invitati a perseguire anche obiettivi sull’insieme dell’economia. La distinzione fra i Paesi è dinamica poiché gli obiettivi di riduzione sono fissati a livello nazionale e devono rappresentare la maggiore ambizione possibile di un Paese. L’obiettivo di riduzione di ogni Paese è quindi misurato in base alla propria responsabilità e alle capacità mutevoli in ambito climatico. Per l’adattamento ai cambiamenti climatici, tutti i Paesi devono elaborare, presentare e aggiornare a scadenze regolari piani e misure di adattamento. Ogni Paese può definire autonomamente il momento e la forma della presentazione a livello internazionale. I Paesi devono inoltre stilare un rapporto periodico sulle misure di adattamento. L’accordo rafforza i meccanismi esistenti di prevenzione e riduzione di perdite e danni (Loss and Damage), escludendo esplicitamente la responsabilità e la compensazione.
Da un lato finanziario, l’Accordo di Parigi non stabilisce nuovi obblighi in merito. I Paesi industrializzati sono come finora tenuti, dal punto di vista giuridico, a sostenere i Paesi in via di sviluppo nell’adozione delle loro misure di adattamento e di riduzione delle emissioni. Per la prima volta, anche i Paesi non industrializzati sono invitati a sostenere i Paesi in via di sviluppo e a promuovere investimenti rispettosi del clima. Nell’ambito del finanziamento climatico la distinzione a livello di regime climatico internazionale fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo non è quindi stata abrogata, ma sensibilmente indebolita. La mobilizzazione di investimenti da fonti pubbliche e private è ora un compito generale. I Paesi industrializzati devono tuttavia continuare a svolgere un ruolo di pioniere. L’obiettivo comune di mobilizzare ogni anno, a partire dal 2020, 100 miliardi di dollari USA di fondi finanziari privati e pubblici è stato confermato fino al 2025 mentre per il periodo successivo è stato delineato un nuovo obiettivo analogo. I Paesi industrializzati sono di conseguenza obbligati a presentare ogni due anni un rapporto relativo ai fondi mobilizzati e, nella misura del possibile, fornire indicazioni sulla qualità e la quantità di fondi previsti per gli anni successivi. Le regole per tale rendicontazione dovranno essere ulteriormente approfondite. Analogamente, i Paesi in via di sviluppo sono tenuti a presentare ogni due anni un rapporto sui fondi necessari e ricevuti come pure sugli investimenti rispettosi del clima mobilizzati da parte loro e il finanziamento climatico internazionale. Infine l’Accordo prevedeva che per l’entrata in vigore occorreva la ratifica dei 55 Paesi che generavano il 55 per cento delle emissioni globali. Tale quorum è già stato raggiunto il 5 ottobre 2016; di conseguenza, nel novembre 2016 si è tenuta la prima Conferenza delle parti dell’Accordo di Parigi (CMA).
Tuttavia l’accordo di Parigi è stato messo in discussione sotto diversi profili ed una delle voci maggiormente riflessive sul tema è stato Bodansky[19]. Il professore ha posto in essere dei dubbi sulla natura del trattato ovvero se sia qualificabile o meno come trattato di diritto internazionale, da quest’ultima deriva la conseguenza della creazione degli obblighi giuridici, ovvero se può essere applicato dai tribunali, ulteriore conseguenza è la sussistenza degli strumenti nei confronti di altri stati qualora non rispettassero gli obblighi. Inerente alla prima questione, ovvero se l’accordo sia qualificabile o meno come trattato internazionale , Bodansky inizia da una riflessione sulla natura del nomen juris . Sulla materia molte sono le giurisdizioni che emarginano il criterio del nome juris a favore di un criterio sostanziale, nell’ordinamento italiano ad esempio è stato recentemente espresso con la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 11 luglio 2018, n. 18262 dove la suprema corte ha affermato che il nome juris non è assorbente. In tal senso, anche, Bodansky afferma che : il titolo di uno strumento non è legato allo status legale. Inoltre proseguendo nel suo ragionamento, il professore pone l’accento su tre tamatiche ovvero ‘bindingness’ e legal character , ed enforcement. I tre termini possono essere tradotti come l’obbligatorietà, il secondo sta ad indicare il carattere legale, mentre il terzo è la coercibilità . L’obbligatorietà significa la capacità di creare “legami” tra le parti mentre il carattere legale si esprime nella sua concretezza di applicazione, in altre parole, la possibilità da parte del mondo giudiziario di applicare gli obblighi contratti del trattato , infine la coercibilità indica la possibilità da parte degli altri stati di sanzionare lo stato che ha violato le regole. Bodansky sulle tre tematiche conclude che inerente ai legami , quest’ultimo potrebbe non avere una propria forza legale di creare obblighi. Inoltre molti stati criticano la definizione di legal force ‘agreed outcome with legal force’. Ad esempio, il governo indiano non accetta tale formulazione[20] . Altro problema è la presenza di una condizione di effettività, ovvero che l’accordo acquisti una propria forza solo quando il 55% dei partecipanti lo avrà ratificato. In tale ipotesi si presume che venendo a mancare tale quota l’accordo perdi la propria forza , inoltre bisogna valutare la sussidiarietà dell’accordo nei confronti dell’UNFCCC. La tesi del professore invece si pone l’accento sull’asimmetria di obblighi: L’accordo di Parigi è un trattato nell’ambito della definizione della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, ma non tutte le disposizioni dell’accordo creano un obbligo legale. Contiene un mix di disposizioni obbligatorie e non obbligatorie relative ai contributi di mitigazione delle parti, nonché agli altri elementi della piattaforma di Durban, inclusi l’adattamento e il finanziamenti. In effetti , è riscontrabile un solo generale obbligo di non aumentare la temperatura mondiale di altri 2 gradi ma in effetti sono solo mandatory. Inerente all’enforcement, malgrado ripercorre molte volte il termine decisione od altro simile, il significato è sterilizzato dall’art 8 ‘does not involve or provide a basis for any liability or compensation’. Dunque viene meno il carattere di forza legale e dunque di coercibilità sia in ambito internazionale che da parte delle corti nazionali. Tuttavia buona parte della comunità giuridica propende per una interpretazione “obbligativa” dell’accordo.
Tuttavia pare che la critica di Bodansky sia estremamente minoritaria e che la maggioranza delle comunità giuridica tenda verso una “legalizzazione” dell’accordo anche in forza alle regole di interpretazione della conv.di Vienna sui trattati. L’accordo rimane un ulteriore tassello importante per la sfida contro il global warming ed è importante evidenziare come a differenza del protocollo di Kyoto, esso abbia lasciato maggiore indipendenza ai paesi, accantonando il mercato dei crediti del protocollo ed un controllo più stringente.
Convenzione di Aarhus
L’ultimo atto è la “Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l’accesso alla giustizia in materia ambientale” è stata firmata nella cittadina di Aarhus, in Danimarca, nel 1998 ed è entrata in vigore nel 2001. La sua importanza deriva dallo scopo di condividere le informazioni circa le questioni ambientali col pubblico. Infatti il pubblico o chi collabora con esso dovrà condividere o fornire accesso purché abbia diritto alle informazioni. Alla concessione vi sono alcune deroghe come le questioni risultati dalla difesa nazionale. Altro obiettivo importante perseguito è rendere la decisione di progetti condivisi col pubblico. Pensiamo per esempio al débat public introdotto in Francia con la loi Barnier.Terzo ed ultimo scopo è l’utilizzo di strumenti per qualificare la bontà e la sostenibilità di un progetto, alcuni strumenti sono la valutazione impatto ambientale o la valutazione di impatto strategica.
4. Gli strumenti dell’Unione Europea
L’Unione Europea, come organizzazione, si è dimostrata sempre molto sensibile nei confronti del global warming, in effetti complessivamente come si è visto l’organizzazione ha raggiunto gli obiettivi che si era prefissati col protocollo di Kyoto. Un’accelerazione si è avuta con la nomina sul filo della nuova commissione europea a trazione tedesca di Ursula Von Der Leyen[21].
Già l’11 Dicembre del 2019, La Commissione europea presentò il Green Deal europeo – una tabella di marcia per rendere sostenibile l’economia dell’UE, trasformando i problemi ambientali e climatici in opportunità in tutti gli ambiti e rendendo la transizione giusta e inclusiva per tutti.
La Presidente Ursula von der Leyen dichiarò: ” Il Green Deal europeo è la nostra nuova strategia per la crescita – una crescita che restituisce più di quanto prende. Mostra come trasformare il nostro modo di vivere e lavorare, di produrre e consumare, per rendere più sano il nostro stile di vita e più innovative le nostre imprese. Tutti noi possiamo partecipare alla transizione e beneficiare delle opportunità che offre. Muovendoci per primi e rapidamente aiuteremo la nostra economia ad assumere la leadership a livello mondiale. Siamo determinati a fare sì che questa strategia abbia successo per il bene del pianeta e delle sue forme di vita – per il patrimonio naturale europeo, la biodiversità, le nostre foreste e i nostri mari. Mostrando al resto del mondo la nostra capacità di essere sostenibili e competitivi, possiamo convincere altri paesi a muoversi con noi.“
Il Green Deal europeo prevede una tabella di marcia con azioni per stimolare l’uso efficiente delle risorse, grazie al passaggio a un’economia circolare e pulita, arrestare i cambiamenti climatici, mettere fine alla perdita di biodiversità e ridurre l’inquinamento. Esso illustra gli investimenti necessari e gli strumenti di finanziamento disponibili e spiega come garantire una transizione giusta e inclusiva. Il Green Deal europeo riguarda tutti i settori dell’economia, in particolare i trasporti, l’energia, l’agricoltura, l’edilizia e settori industriali quali l’acciaio, il cemento, le TIC, i prodotti tessili e le sostanze chimiche.
Dunque l’atto principale della battaglia contro il cambiamento climatico sarà il pacchetto composito del Green Deal, quest’ultimo fa perno sulla legge europea sul clima, quest’ultima è stata presentata in una prima forma il 4 Marzo 2020[22] come riforma della legge sul clima del 1999 ed è stata adottata ufficialmente il 21 Aprile del 2021 dopo ardue e difficili trattative. Tuttavia la legge sul clima non è l’unico strumento per contrastare il cambiamento climatico anzi la commissione cerca di coinvolgere quanto più possibile la società, ad esempio incastra il proprio agire nell’iniziativa Bauhaus[23], ovvero una iniziativa dalle sfaccettature artistiche per incentivare la partecipazione della società, in particolare, come affermato da Mariya Gabriel, il progetto Bauhaus vedrà partecipi”artisti, studenti, architetti, ingegneri, il mondo accademico, gli innovatori; daremo il via a un cambiamento sistemico”. In altre parole, il progetto avrà l’obiettivo di incentivare una nuova idea di società, utilizzando l’architettura e l’arte .Ciò avrà lo scopo di incentivare una narrativa nonché ammaliare i cittadini verso una società maggiormente più verde ed ecosostenibile. L’azione di coinvolgimento della società non si ferma alla new Bauhaus ma intende coinvolgere attraverso i forum parti della società, prevalentemente giovani col progetto “Patto per il clima”[24]. Un ultimo strumento, più tecnico, è il vetusto EU ETS. Il meccanismo dell’ETS è molto conosciuto ed era utilizzato similarmente nel protocollo di Kyoto. Ovvero funziona come segue: le attività hanno un floor oltre il quale non possono andare, pena sanzioni. Tuttavia le attività possono scambiare i loro diritti di emissione aumentando od abbassando il floor. Nel tempo la quota massimal si abbasserà fin quando non vi sarà il famoso “net zero”.
Allo stato attuale gli ETS sono oggetto di riforma con un apposita direttiva[25] la quale traccia fino al 2030 gli obiettivi di riduzione delle quote massimali a ribasso. Ovvero secondo la direttiva, ogni anno le quote si dovrebbero abbassere minimo del 4,2 % fino a raggiungere una diminuzione complessiva dei crediti di almeno il 61% partendo dalle quote del 2005.
Si lascia un attimo la parte degli strumenti per concentrarci invece sull’ambito finanziario. La transizione avverrà con una serie di fondi che saranno progressivamente aumentati. Ad esempio, lo strumento ETS sarà legato ai finanziamenti del Modernisation Fund[26], altro fondo molto importante sarà l’innovation Fund. Il fondo sarà legato ai contratti per differenza di carbonio (CCD), essi sono un elemento importante per innescare le riduzioni delle emissioni nell’industria, offrendo all’UE l’opportunità di garantire agli investitori in tecnologie innovative rispettose del clima ad un prezzo fisso che premi le riduzioni delle emissioni di CO2 al di sopra degli attuali livelli di prezzo nell’EU ETS. Il fondo avrà un budget di 50 milioni, di cui 10 saranno reperiti dal mercato mentre 40 saranno di competenza. Altro fondo particolarmente importante sarà Connecting Europe Facility (CEF)[27] è lo strumento di finanziamento dell’UE per promuovere l’energia, i trasporti e le infrastrutture digitali. Il fondo non è di nuova costituzione ma è stato implementato del 47% portando il budget ad un complessivo di 42,4 miliardi di euro. Ultimo fondo è stato proposto il 14 luglio del 2021 ed è Social Climate Fund[28]. Ancora in forma di proposta, il Fondo sociale per il clima verrà istituito per il periodo 2025-2032 per affrontare gli impatti sociali derivanti dallo scambio di quote di emissioni per i settori dell’edilizia e dei trasporti su strada . Il fondo, il cui budget sarà formato dai contributi dei paesi europei, sarà dunque destinato ad attività per migliorare l’efficacia energetica nonché la sostenibilità degli edifici. La dotazione finanziaria del Fondo sarà di 23,7 miliardi di euro per gli anni 2025-2027 e di 48,5 miliardi di euro per gli anni 2028-2032, che corrisponde in linea di massima al 25% dei ricavi previsti da accumulare dalla vendita all’asta delle quote nell’ambito dello scambio di quote di emissioni(ETS) per gli edifici e il trasporto su strada. Dopo l’avvenuta redazione del piano, la commissione valuterà la pertinenza, l’efficacia, l’efficienza e la coerenza dei piani.
Tornando allo strumento principale ovvero la riforma della legge sul clima[29]. Quest’ultima è stata adottata nel 21 aprile scorso ed ha l’ obiettivo principale di adattarsi agli accordi di Parigi(nello specifico art7 ovvero mira a raggiungere la neutralità climatica(art2). Quest’ultimo concetto si traduce in sostanza nel raggiungimento entro il 2030 della diminuzione di almeno il 55% delle emissioni al netto degli assorbimento partendo dai dati del 1990 e nel 2050 del 100%. L’assetto non è molto differente da altri schemi che si sono visti, ovvero abbiamo la fase di gestione e controllo che trovano nelle figure apicali la commissione nonché le varie agenzie dellUE(come l’agenzia ambientale europea). Una fase di azione che è prevista in capo ai singoli con la redazione di piani. Caratteristica sarà il dialogo multilivello con shareholders e enti intermedi.
In questo punto si sono visti i principali strumenti di cui si è dotata l’UE per contrastare il cambiamento climatico. Il green deal è un grande pacchetto di riforme e fondi che mira essenzialmente a ridisegnare l’economia e la società europea entro il 2050. Un obiettivo abbastanza utopico se preso al netto delle affermazioni tuttavia a ben vedere il concetto intorno al quale gira la battaglia green è la neutralità climatica. Quest’ultimo concetto significa che ad esempio se un’azienda producesse un x di emissioni di gas serra(GHG), dovrebbe essere essa stessa capace di assorbirle. Ovviamente in una visione globale ciò offre una certa flessibilità fra la produzione di gas serra e l’assorbimento. Tuttavia nella legge sul clima, lo sviluppo di nuove tecnologie nonché la compattezza delle tesi circa l’inquinamento hanno ampio rilievo. Ad esempio molte tecnologie o soluzioni sostenibili non sono completamente efficienti. Facendo alcuni esempi si potrebbe annoverare: la soluzione del biochar, ovvero la creazione di energia attraverso la pirolisi di biomasse vegetali. Soluzione,che pur avendo alcuni sostenitori come Johannes Lehmann[30], essa ha un gruppo di critici abbastanza corposo e dotato di basi solide[31]. In particolare al biochar si pongono in discussione l’effettiva capacità di produrre energia nonché la possibilità di avere effetti negativi anche per più anno sul terreno sul quale è stato praticato ed infine quale tipologia di pianta sia più efficace per la pirolisi . Nemmeno la soluzione “evergreen” della piantumazione è accettata unanimemente poiché alcuni scienziati mettono in dubbio non tanto la capacità di assorbimento degli alberi ma gli effetti secondari. il Dott.Nadine Unger[32] nel 2014 scrisse sul New York Times un articolo chiamato to save the planet dont plant trees. Quest’ultimo asseriva che la piantumazione degli alberi non era un metodo efficace per contrastare il cambiamento climatico a causa della generazione di quantità(piccole) di etanolo. Ancora più discussi sono i metodi del blue carbon[33] del climework[34] ed infine dell’energia nucleare[35]. All’assenza di una conoscenza completa, la stessa UE ha deciso di percorrere la via di incentivare la ricerca e l’informazione sulle nuove tecnologie. Non sappiamo se ci riuscirà certamente l’intento della terza area più inquinante con le sue 4.449.851 chilottonnellate di Co2 nel 2017 è un obiettivo importante e prioritario.
5. Giurisprudenza
Un tema che non si è toccato in via diretta è il parere della giurisprudenza circa il diritto ambientale. Un primo passo è partire dal vedere quali norme a livello europeo potrebbero essere ricondotte sotto l’alveo del diritto dell’ambiente. Dunque la base giuridica di rango primario della politica ambientale dell’Unione europea è oggi costituita dall’art 4 (che stabilisce che in materia di ambiente l’UE ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri[37]) e dall’art. 11 del TUE[38], nonché dagli artt. 191[39], 192[40] e 193[41] del TFUE.Per quanto riguarda, invece, la normativa di diritto secondario che disciplina la tutela dell’ambiente, vengono in rilievo la Direttiva 2004/35[42] e il Regolamento (UE) 2018/1999[43], che verrebbe modificato dalla nuova Legge europea sul clima proposta dalla Commissione[44].
L’assetto normativo ha fatto molto discutere la comunità giuridica, sul punto si riprendono le considerazioni della dottoressa Carta che[45] vede nella formulazione dell’art 11 del TUE un debolezza intrinseca poiché l’articolo non presuppone necessariamente una prevalenza tout court delle esigenze ambientali rispetto ad altri interessi tutelati dal diritto dell’UE; esse, infatti, sono piuttosto chiamate ad operare come “parametro-guida” per l’esercizio delle competenze dell’Unione nella materia de qua ex art. 191 TFUE, ma non assumono ex se efficacia vincolante. La stessa comunità giuridica[46] ha molte volte tentato con orientamenti di influenzare l’attività politica atta ad equiparare il diritto all’ambiente agli altri diritti. Tuttavia la stessa dott.Carta, evidenzia come l’ampia discrezionalità politica e la differenza di interpretazioni del tema ambientale nonché degli obiettivi rendano difficile un’azione unificatrice. La Carta trova tale riscontro anche nell’ambito della giurisprudenza dove col caso Cassis de Dijon del 1979[47] e seguenti[48][49] il parametro dell’ambiente assume un valore integrativo ma non assoluto. Una terza ulteriore conferma di un valore integrativo viene dal recente intervento del giudice Tim Eicke[50]. Il giudice non concentra il proprio intervento sulla CJUE ma parte dalla CEDU. Secondo il giudice la convenzione europea dei diritto dell’uomo e dunque la CEDU non è prospettata per la difesa dell’ambiente. Tuttavia evidenzia come la CEDU sia suscettibile di essere influenzata dagli sviluppi,più che altro politici, verso nuove forme di tutela o la nascita di nuove pretese di giustizia .Tuttavia malgrado le nuove esigenze dei vari cittadini, è difficile inquadrare l’ambiente come un diritto a se stante poiché lo spazio del principio sarebbe difficile da limitare poiché sarebbe indiscutibilmente comprimario con altri diritti. Il giudice Eicke pone l’esempio della salute come principale comprimario del diritto ambientale. Dunque il diritto ambientale è per il giudice di strasburgo un diritto importante che tuttavia non può e non potrà trovare una propria dimensione soggettiva. Di conseguenza l’interpretazione data da Eicke evidenzia anche l’assenza di un apparato di protezione giurisdizionale che possa efficacemente perseguire i crimini ambientali nei rapporti PtoP,salvo ovviamente ipotesi risarcitorie per danneggiamento.
In questo punto si è voluto esaminare l’apparato normativo e giurisprudenziale dell’unione europea circa la materia ambientale. Si è visto come il diritto sia contestato e si trovi ad assumere una pretesa di giustizia da parte dei cittadini ed un valore integrativo da un lato legislativo/giurisprudenziale.A seguito si sono esplicate le opinioni della dottoressa Carta e del giudice Eicke. Le opinioni avanzate hanno concluso unanimemente che il diritto dell’ambiente, pur assumendo un’importanza primaria, rimarrà un diritto integrativo, ovvero che sarà da un lato legislativo metro-guida mentre da un lato giurisprudenziale un diritto “circostanziato”. Entrambi, richiamando autorevoli colleghi, hanno evidenziato le difficoltà di un cambio dimensionale del diritto all’ambiente passando ad essere un diritto soggettivo. Infatti l’attuale dimensione “collettiva” del diritto ne inficia la protezione giurisdizionale, lasciando alle normative locali ed alle tendenze politiche la valorizzazione o meno del diritto.
6. Prospettiva italiana
Il diritto dell’ambiente si snoda in Italia partendo dalla considerazione che il paese si incastra nel mondo giuridico multidimensionale, quest’ultimo formato dai vari trattati. L’affastellarsi di carte, trattati e convenzioni permette allo stivale di adombrare l’assenza di un diritto costituzionale dedicato all’ambiente. Tuttavia la comunità giuridica italiana ha individuato nella carta costituzionale alcuni articoli dai quali estrarre un plausibile diritto dedicato all’ambiente. Essi sarebbero l’art 9[52], l’art 32[53] e l’art.44[54]. Quest’ultimi tre articoli sono state più volte oggetto di discussione, anche durante una la fase costituente[55]. L’articolo 9 è quello maggiormente individuato dalla comunità giuridica [56]. In particolare dell’articolo è evidenziato il secondo comma ove si dice ” Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Come è possibile intuire la battaglia interpretativa si è avuta sulla parola “paesaggio”. Sul punto si è espressa anche la corte che con la sentenza storica n. 4 del 1985 ove ha definito il valore statico e dinamico della parola. Dunque secondo la Consulta, il paesaggio assume rilevanza nel senso di intenderlo quale valore estetico – culturale, la cui tutela non può realisticamente essere concepita in termini statici, di assoluta immodificabilità dei valori paesaggistici registrati in un dato momento ma, a contrariis, deve attuarsi dinamicamente e cioè tenendo conto delle esigenze poste dallo sviluppo socio – economico del paese per quanto la soddisfazione di esse possa incidere sul territorio e sull’ambiente . La nozione estensiva di paesaggio come «forma del paese» può costituire, ad avviso della Consulta, un elemento o un momento della tutela ambientale, ma non può esaurirla, né risolvere il problema dello status costituzionale ambientale ut supra accennato. Dopo due anni con la sentenza n. 641 del 1987, si approfondisce il tema volendo enucleare i parametri costituzionali di riferimento, delineando anche la concezione dell’ambiente. La sentenza darà adito al concetto, poi costantemente confermato come “bene unitario” e come “valore primario ed assoluto”. L’ambiente viene estrapolato come concetto polifonico composto da una serialità di elementi atti alla costituzione di un habitat nel quale l’individuo si sviluppa. La sentenza 641 è interessante poiché da inizio alla costante interpretazione dell’articolo 9 e 32(diritto alla salute), dettagliando il diritto all’ambiente come concetto legato alla salute. Anche in questo caso ad esempio si è sviluppata quasi “naturalmente” una interpretazione degli articoli pressoché coordinata atta a porre il diritto all’ambiente come un metro-guida inteso come una diritto circostanziale. L’ultimo articolo, il 44, è stato anch’esso oggetto di ipotesi di interpretazione. L’articolo fu composto prevalentemente per valorizzare l’agricoltura come conferma l’on.Fanfani durante la costituente:
“La cosa sarebbe forse opportuna da un punto di vista strettamente giuridico, ma sarebbe un errore da quello psicologico e politico. Non si tratta di fare della demagogia, ma bisogna tener presente che la Costituzione non va soltanto in mano a dei giuristi, ma alle più svariate categorie dei cittadini. Una buona metà del popolo italiano cercherà nella Costituzione non qualche inciso sibillino che faccia pensare ad una trasformazione agraria, ma almeno un articolo che parli chiaramente della terra”[57]
Altra conferma viene, sempre nella medesima sede dall’on.Noce che ancora più candidamente esplica: La costituzione che si sta elaborando passerà alla storia come la costituzione del 1946 e siccome attualmente il problema agrario è uno dei più sentiti, non è possibile non dedicare ad esso un apposito articolo, senza il quale la Costituzione sarebbe manchevole da un punto di vista politico”[58]
Malgrado sia possibile ricavare un nesso con l’ambiente sia la posizione dell’articolo, situato nei rapporti economici, sia la granitica interpretazione sia del mondo dottrinale che giurisprudenziale hanno sempre posto l’articolo in relazione alla gestione dei fondi agricoli[59] . Tuttavia è ipotizzabile attraverso la parte del comma in cui si dice ” promuove ed impone la bonifica delle terre” un implicito richiamo alle costituzione di un habitat idoneo alla crescita delle piante che di connesso equivale, similarmente a quello umano.
Dei tre articoli visti, buona parte della dottrina evidenzia anche l’art.117 in ottica di competenza di gestione del diritto all’ambiente, tuttavia appare oramai assodato declinare quest’articolo tecnico in una visione esclusivista a favore dello stato[60].
Tuttavia malgrado l’assetto attuale le più recenti sentenze riconoscono, o quantomeno accennano, ad importanti cambiamenti di dimensione del diritto dell’ambiente. Ad esempio è la sentenza n. 179 del 2019 che sancisce un “processo evolutivo diretto a riconoscere una nuova relazione tra la comunità territoriale e l’ambiente che la circonda, all’interno della quale si è consolidata la consapevolezza del suolo [di questo si trattava, in quel giudizio, ndr.] quale risorsa naturale eco-sistemica non rinnovabile, essenziale ai fini dell’equilibrio ambientale, capace di esprimere una funzione sociale e di incorporare una pluralità di interessi e utilità collettive, anche di natura intergenerazionale”. “In questa prospettiva la cura del paesaggio riguarda l’intero territorio, anche quando degradato o apparentemente privo di pregio”, aggiunge la sentenza n. 71 del 2020 – la quale sottolinea altresì che “la tutela paesistico ambientale non è più una disciplina confinata nell’ambito nazionale”, soprattutto in considerazione della Convenzione europea del paesaggio (adottata a Strasburgo dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 19 luglio 2000 e ratificata con legge n. 14 del 2006), secondo la quale “il concetto di tutela collega indissolubilmente la gestione del territorio all’apporto delle popolazioni” (donde “il passaggio da una tutela meramente conservativa alla necessità di valorizzare gli interessi pubblici e delle collettività locali con interventi articolati”, tra i quali, in quel caso, l’acquisizione e il recupero delle terre degradate)[61].
Dunque il diritto dell’ambiente è un diritto vivissimo ed in cerca di dimensione anche da un lato costituzionale, benché il posizionamento granitico predetto. A seguito, è interessante come la tematica ambientale abbia posto in dubbio la questione se la carta non dovesse ospitare un diritto dell’ambiente chiaramente espresso. In parlamento, nel momento in cui si scrive, si paventano possibili soluzioni, ad esempio dal dossier al senato [62] il diritto potrebbe essere ospitato dall’art.9 o dall’articolo 41.
art 9: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.
art41: L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute, all’ambiente. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali
Tale riforma seguirebbe le tendenze europee ad incastrare nelle loro leggi fondamentali il diritto dell’ambiente.
Ad esempio la Germania ha all’articolo 20 la formulazione: Lo Stato tutela anche in responsabilità verso le generazioni future le fondamentali condizioni naturali di vita [natürlichen Lebensgrundlagen] e gli animali mediante l’esercizio del potere legislativo, nel quadro dell’ordinamento costituzionale, e dei poteri esecutivo e giudiziario, in conformità alla legge e al diritto.
La Spagna ha inserito il diritto all’articolo 45: Tutti hanno il diritto di utilizzare un ambiente idoneo allo sviluppo della persona, così come il dovere di conservarlo.
Infine i Paesi Bassi lo hanno inserito all’art.21: I poteri pubblici provvedono a tutelare l’abitabilità del Paese e a proteggere e a migliorare l’ambiente.
Malgrado la rimessa in discussione dell’assetto del diritto dell’ambiente attuale[63], il diritto non è privo di tutela anzi può vantare a protezione un proprio codice, costantemente riformato, nonché varie ipotesi di reato contenute nel codice penale. Anzi proprio di recente con la legge 22 maggio 2015, n. 68. si è dato seguito alla richiesta della direttiva Direttiva dell’Unione Europea 2008/99/CE del 19 novembre 2008, costituendo nuove ipotesi di reato ambientale come quinamento ambientale (452-bis cp); disastro ambientale (452-quater);traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (452-sexies);impedimento del controllo (452-septies); omessa bonifica (452-terdecies).
In tendenza l’assetto normativo circa il diritto dell’ambiente ha visto un inasprimento delle sanzioni, valorizzando maggiormente un carattere afflittivo. Si pensi che nelle prime formulazioni dei reati ambienti[64] erano preponderanti le sanzioni pecuniarie mentre attualmente le misure limitative della libertà sono maggioritarie .
In via di conclusione, l’Italia, su più livelli ha riformato e sta tentando di aggiornare per quanto possibile il proprio apparato normativo per contrastare le lesioni al diritto dell’ambiente. Tuttavia il diritto in questione rimane in una dimensione collettiva, anzi sempre di più sembra assumere una veste globale, con ciò anche con l’eventuale riforma e con un apparato sanzionatorio reso più aspro, un vero rafforzamento al diritto può venire solo da uno stato più efficiente. Questo poiché il diritto, non potendo assumere una veste soggettiva, è nelle mani dello stato.
7. Conclusioni
In questo articolo si sono voluti mostrare alcuni strumenti che la comunità internazionale, quella europea e l’Italia hanno posto in essere per contrastare il global warming. Tuttavia si è anche compreso di quanto, giuridicamente parlando, il diritto dell’ambiente sia difficile da qualificare come oggettivo, acquisendo nei rapporto person to person una valenza quasi simbolica. Inoltre si è anche visto che come l’agire degli stati sia un continuo richiamo alla scienza. Infatti il diritto all’ambiente è un diritto legato alla scienza e potrà trovare degna soddisfazione solo con una costante educazione civica nonché un costante progresso tecnologico diretto alla sostenibilità. La battaglia per il contrasto al global warming sarà una battaglia collettiva, sarà un sfida nella quale il prezzo sociale potrà essere enorme se l’azione non sarà calibrata attentamente. Pensiamo al mercato delle auto dove le auto elettriche avranno meno componenti di quelle ad endocombustione con l’effetto della diminuzione dei dipendenti, per non parlare delle batterie ionizzate sulla cui efficienza energetica e sostenibilità si discute e si studia. Un altro esempio di mercato danneggiato sarà quello della plastica, il quale con la direttiva europea Sup (Single use plastic) vedrà diminuire i volumi.
Insomma, come dicono gli economisti, non sarà un free lunch; tuttavia, se non direttamente, anche secondariamente, il diritto potrà e dovrà costruire i degni argini al fine di favorire una transizione quanto meno indolore tra una economia basta sui fossili ad una sostenibile poiché, sorvolando sulle scelte dei modelli dell’IPCC, la situazione non è felice.
Riferimenti:
[1]IPCC,Climate Change 2021 The Physical Science Basis,2021.
[2]BBC China floods: 12 dead in Zhengzhou train and thousands evacuated in Henan https://www.bbc.com/news/world-asia-china-57861067
[3] California Fire Map & Tracker. Su tale sito è possibile controllare la situazione degli incendi che stanno caratterizzando lo stato americano.
[4]CNN Two major storms form in East Asia, threatening China, Japan and Taiwan https://edition.cnn.com/2021/07/19/weather/cempaka-typhoon-china/index.html
[5]BresciaToday, Tempeste di grandine, non è ancora finita: “Fate attenzione alle macchine” https://www.bresciatoday.it/meteo/grandine-oggi-27-luglio-2021.html
[6]AdnKronos, Incendi Italia, da inizio anno bruciati 110mila ettari, https://www.adnkronos.com/incendi-italia-da-inizio-anno-bruciati-110mila-ettari_5HtiyKgObBCLBeU299DojP
[7] Dati alle fiamme : Rapporto dal 2009 al 2019 : http://datiallefiamme.it/
[8]Legambiente, incendi nuovi dati ecomafia e dossier Sisef. https://www.legambiente.it/comunicati-stampa/incendi-i-nuovi-dati-ecomafia-di-legambiente-e-il-dossier sisef/?fbclid=IwAR3FWp7ftkqnBrcdXLDc7hy-OC2l45DlXroNZYJgsBZ2MFAACESYXjSzr-w
[9] David Eckstein, Vera Künzel, Laura Schäfer, Global climate risk index 2021,German Watch https://germanwatch.org/sites/default/files/Global%20Climate%20Risk%20Index%202021_1.pdf
[10] Jeff Tollefson, IPCC climate report: Earth is warmer than it’s been in 125,000 years,Nature https://www.nature.com/articles/d41586-021-02179-1
[11] Roger Pielke Jr ‘Climate change is real – but it’s not the apocalypse’,Spyked https://www.spiked-online.com/2021/08/13/climate-change-is-real-but-its-not-the-apocalypse/#.YRZxKsxzwf8.twitter . Il professore è molto attivo nel contrasto ad una narrazione del tema apocalittica e recentemente ha pubblicato uno studio dove tenta di evidenziare l’assenza di causalità tra il global warming ed i disastri ambientali.
Roger Pielke (2021) Economic ‘normalisation’ of disaster losses 1998–2020: a literature review and assessment, Environmental Hazards, 20:2, 93-111, DOI: 10.1080/17477891.2020.1800440
[12] Bjorn Lomborg, Nuevo informe sobre el clima no respalda el relato apocalíptico,Milenio 2021 https://www.milenio.com/opinion/bjorn-lomborg/columna-bjorn-lomborg/nuevo-informe-sobre-el-clima-no-respalda-el-relato-apocaliptico”
[13] Hannah Ritchie and Max Roser, Natural Disasters,OurWorldindata. https://ourworldindata.org/natural-disasters#number-of-deaths-by-type-of-natural-disaster
[14] IsprambienteConvenzione quadro sui cambiamenti climatici e protocollo di Kyoto, https://www.isprambiente.gov.it/it/attivita/cambiamenti-climatici/convenzione-quadro-sui-cambiamenti-climatici-e-protocollo-di-kyoto
[15] Anter ,La storia degli accordi internazionali sul clima 2017
[16] Sara Del Dot, Protocollo di Kyoto: cos’è e cosa prevede il primo accordo internazionale sul clima,Ohga
[17]OpenPolis, Clima e ambiente 2020 https://www.openpolis.it/wp-content/uploads/2019/07/Report-clima-e-ambiente-2020.pdf
[18]Ufficio federale dell’ambiente svizzero L’Accordo di Parigi sul clima https://www.bafu.admin.ch/bafu/it/home/temi/clima/info-specialisti/clima–affari-internazionali/l_accordo-di-parigi-sul-clima.html
[19] Bodansky, Daniel, The Durban Platform Negotiations: Goals and Options (July 10, 2012). Harvard Project on Climate Agreements Viewpoint, 2012. Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=2102994
[20]V.Di Costanzo,Il problema del Global Warming: dal diritto all’energia nucleare : le possibili soluzioni.Academia. 2018.
[21] Il Green Deal europeo illustra le strategie per fare dell’Europa il primo continente al mondo a impatto climatico zero entro il 2050, dando impulso all’economia, migliorando la salute e la qualità della vita delle persone e tutelando la natura e senza che nessuno sia escluso da questo processohttps://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_19_6691
[22]Regolamento europeo che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica e che modifica ilregolamento (UE) 2018/1999 (Legge europea sul clima). https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020PC0080&from=EN
[23]Progetto New European Bauhaus https://europa.eu/new-european-bauhaus/index_en
[24] Il patto europeo per il clima: coinvolgere i cittadini per creare un’Europa più verde https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_20_2323
[25] Direttiva europea Amending Directive 2003/87/EC establishing a system for greenhouse gas emission allowance trading within the Union, Decision (EU) 2015/1814 concerning the establishment and operation of a market stability reserve for the Union greenhouse gas emission trading scheme and Regulation (EU) 2015/757https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:52021PC0551
[26]ibidem
[27] Connecting Europe Facility (CEF) https://ec.europa.eu/energy/funding-and-contracts/eu-funding-possibilities-in-the-energy-sector_en
[28] Social Climate Fund https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:52021PC0568
[29]Legge europea sul clima https://data.consilium.europa.eu/doc/document/PE-27-2021-INIT/it/pdf
[30] Lehmann J. A handful of carbon. Nature. 2007 May 10;447(7141):143-4. doi: 10.1038/447143a. PMID: 17495905.
[31] La tesi del biochar è criticata da diverse parti, le critiche fanno riferimento ai seguenti studi.
-Woolf, D. et al. Sustainable biochar to mitigate global climate change. Nat. Commun. 1:56 doi:10.1038/ncomms1053 (2010).
-Noel P. Gurwick ,Charlene Kelly, Pipa Elias -The Scientific Basis for Biochar as a Climate Change Mitigation Strategy: Does it Measure Up? UCS Biochar report 2012.
[32]Unger Nadine, to save the planet dont plant trees, New York Times, 2014 https://www.nytimes.com/2014/09/20/opinion/to-save-the-planet-dont-plant-trees.html
[33] Il blue carbon è una soluzione che si basa sulla tesi che alcune formazioni naturali catturerebbero la Co2. Secondo lo studio citato di seguito,tali formazioni sarebbero le mangrovie, le paludi di mare nonché le alghe di mare. Macreadie, P.I., Anton, A., Raven, J.A. et al. The future of Blue Carbon science. Nat Commun 10, 3998 (2019). https://doi.org/10.1038/s41467-019-11693-
[34] Una delle soluzioni recentemente emerse dallo sviluppo tecnologico è la possibilità di catturare l’anidride carbonica con giganteschi “condizionatori”.L’idea è nata nel 2009 con Carbon Engineering, ma il progetto acquisi’ rinomanza a causa di un’altra società fondata nel 2017 ovvero la Climeworks, Dal sito si può capire che i due fondatori della sturt-up hanno messo in pratica la loro idea presso l’inceneritore di rifiuti di Hinwil, nel Cantone di Zurigo: hanno installato sul tetto dell’impianto 18 sensori che catturano la CO2 dall’atmosfera Una volta filtrato, il gas viene fatto passare all’interno di tubature collegate a una serra agricola nelle vicinanze. Grazie a questo surplus di CO2 si è notato un aumento del 20% nella crescita delle verdure. Attualmente, a Hinwil, Climeworks assorbe 900 tonnellate di biossido di carbonio l’anno, pari alle emissioni di una trentina di economie domestiche. Tuttavia è una tecnologia utilizzabile solo piccoli enti poiché per stoccare tutta l’anidrite carbonica nell’atmosfera sarebbero necessari miliardi di stabilimenti per non evidenziare il problema delle scorie.
[35]Circa l’energia nucleare si segnalano i seguenti articoli uno pro ed uno contro .Sul boston globe Robert Jay Lifton con “The false promise of nuclear power”, a favore Joshua Goldstein sul NYT con l’articolo Nuclear Power Can Save the World.
[36]Grafica emissioni Co2 nel 2017. https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20180301STO98928/emissioni-di-gas-serra-per-paese-e-settore-infografica
[37]Art. 4, c. 2, lett e) TUE.
[38] Art. 11 TUE. “Le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”.
[39] Art. 191 TFUE: “1. La politica dell’Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi:— salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente,— protezione della salute umana,— utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali,— promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.2. La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”. Omissis.
[40] Art. 192 TFUE: “1. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, decidono in merito alle azioni che devono essere intraprese dall’Unione per realizzare gli obiettivi dell’articolo 191”.Omissis.
[41] Art. 193 TFUE: “I provvedimenti di protezione adottati in virtù dell’articolo 192 non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti per una protezione ancora maggiore. Tali provvedimenti devono essere compatibili con i trattati. Essi sono notificati alla Commissione”. Omissis.
[42] Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale. La direttiva è entrata in vigore il 30 aprile 2004 e doveva essere recepita dalle legislazioni nazionali dei paesi dell’UE entro il 30 aprile 2007.La direttiva è stata modificata nel 2019 dal regolamento (UE) 2019/1010 che armonizza e semplifica gli obblighi di comunicazione in materia di legislazione ambientale.
[43] Regolamento UE 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 sulla Governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima che modifica le direttive CE 663/2009 e CE 715/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 94/22/CE, 98/70/CE, 2009/31/CE, 2009/73/CE, 2010/31/UE, 2012/27/UE e 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive del Consiglio 2009/119/CE e (UE) 2015/652 e che abroga il regolamento UE) 525/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio.
[44] Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica e che modifica il regolamento UE 2018/1999 (Legge europea sul clima), Bruxelles, 4.3.2020 COM(2020) 80 final.
[45] Antonella Galletti,La politica di tutela dell’ambiente nell’UE e la nuova strategia in materia ambientale,Foroeuropa.2020.
[45] Maria Cristina Carta, Considerazioni critiche sulla tutela dell’ambiente e le iniziative di diritto UE,Eurojus Fascicolo n. 4 – 2020 ISSN 2384-9169
[46] P. FOIS, Il diritto ambientale dell’Unione europea, cit., p. 80
[47] Corte giust., 20 febbraio 1979, causa 120/70, Cassis de Dijon, ECLI:EU:C:1979:42
[48] Corte giust., 7 febbraio 1985, causa 240/83, Oli usati, ECLI:EU:C:1985:59.
[49] Corte giust., 20 settembre 1988, causa 302/86, Bottiglie danesi, ECLI:EU:C:1988:421
[50]Tim Eicke, “Human Rights and Climate Change: What role for the European Court of Human Rights”, naugural Annual Human Rights LectureDepartment of Law, Goldsmiths University2 March 2021
[51] Kyrtatos c. Grecia, n. 41666/98, § 52, CEDU 2003 VI (estratti); v., da ultimo,Cordella e altri c. Italia, nn. 54414/13 e 54264/15, § 100, 24 gennaio 2019.
[52] art 9 ” La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [33, 34].Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”
[53] art 32 ” La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettivita`, e garantisce cure gratuite agli indigenti.Nessuno puo` essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non puo` in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
[54] art 44 “Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprieta` terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unita` produttive; aiuta la piccola e la media proprieta` [422, 3]. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.”
[55] Cristian Rovito, L’ambiente nella Costituzione italiana tra presente e futuro dopo la bocciatura del referendum costituzionale,Tuttoambiente.
[56]A. Predieri, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea Costituente, Firenze, 1969, Vol. II, p. 387.
[57]Cfr. Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori, VIII, p. 140.
[58] Teresa Noce era nota anche come Estella. Essa aveva scontato un anno e mezzo di carcere perchè antifascista e venne deportata in un campo di concentramento nazista in Germania dove rimase fino alla fine della guerra. Per indicazioni biografiche sull’on. Noce cfr. NOCE T. (2003), Rivoluzionaria professionale, Milano, Editrice Aurora, ristampa
[59] Renato Briganti, La funzione sociale della terra nell’art. 44 della Costituzione, una nuova lettura. Il fenomeno del Land grabbing vs diritti fondamentali, Dirittifondamentali.it – Fascicolo 2/2019 Data di pubblicazione – 9 settembre 2019
[60]Dossier XVIII legislatura tutela dell’ambiente in costituzione giugno 2021 n. 396 http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01299303.pdf
[61]Ibidem
[62] Codice dell’ambiente https://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2011/02/14/codice-dell-ambiente#parte1
[63] legge 22 maggio 2015, n. 68. Tale legge ha seguito la richiesta della direttiva Direttiva dell’Unione Europea 2008/99/CE del 19 novembre 2008, costituendo nuove ipotesi di reato ambientale.
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