La “Gloria di San Pietro”, l’ultima tela del pittore Angelo Mozzillo

La “Gloria di San Pietro”, l’ultima tela del pittore Angelo Mozzillo

a cura di Andrea Romano

La “Gloria di San Pietro”, opera che allo stato attuale della ricerca sembra essere stata l’ultima tela dipinta da Angelo Mozzillo, si configura come il testamento morale del pittore afragolese e come la memoria fotografica di eventi che sconvolsero la vita pubblica nei primi anni dell’Ottocento.

Appare necessario, però, dare uno sguardo retrospettivo agli anni che segnarono l’avanzata napoleonica e che ben documentarono il tormentato rapporto che il Bonaparte ebbe con la Chiesa cattolica, se veramente si vuole comprendere la complessità e la ricchezza di un dipinto che va ben al di là di un pur altissimo dettato artistico.

Correva, dunque, l’anno 1804 quando, all’inizio di maggio, Napoleone venne incoronato imperatore dei francesi da papa Pio VII, nella cattedrale di Notre Dame.

Il pontefice non aveva esitato a recarsi a Parigi per l’incoronazione del Bonaparte ed aveva sperato, con questo gesto nuovo ed inusitato, di rinsaldare il rapporto tra Stato e Chiesa.

Ben presto, tuttavia, la speranza del papa apparve vana; ben presto il pontefice si rese amaramente conto che intendeva il corso trattare il Vaticano alla stregua dei suoi vescovi a Parigi.

Nessuno ignora che, considerato vano ogni tentativo di persuasione, l’imperatore francese non esitò ad ordinare l’arresto del papa nel 1809, dando vita al maldestro e goffo tentativo di trasformare la capitale della Francia nella capitale spirituale, oltre che temporale, dell’impero.

In questa concitata dinamica storica bisogna inserire la lettura critica della nostra tela, eseguita per la chiesa di Monticchio nel 1807, in quello stesso anno, cioè, in cui le intimidazioni imperiali verso il papa divennero inequivocabili, fino a sfociare nell’occupazione di tutto il territorio napoletano.

La debolezza politica del papato, però, contrastava fortemente con l’immensa autorità della Santa Sede e ciò che in Francia appariva deplorevole in Italia sembrò intollerabile.

Non fu estraneo il Mozzillo a questo diffuso sentimento, popolare più che nazionale.

Il pittore afragolese, infatti, evidenziò nella tela un dettato artistico ed ideologico di rara potenza espressiva, una sorta di programma teologico non estraneo ai posteri, che trovò la sua più alta espressione concettuale nelle teorie del Gioberti.

Abbandonato da tempo lo schema piramidale a lui tanto caro nella fase del manierismo, il Mozzillo si concentra sulla figura di S. Pietro, che occupa gran parte dello spazio centrale della tela.

Il Santo, colto nell’istante in cui sta per incamminarsi verso un’ideale strada, esprime la potenzialità del movimento più che il movimento stesso; la testa leggermente inclinata e il volto sereno riflettono un senso di equilibrio, che trova la sua più naturale espansione nella disposizione simmetrica delle figure dei fedeli oranti.

Pietro ha nella mano sinistra le chiavi del Regno dei cieli, mentre l’indice della mano destra, leggermente ricurvo indica lo Spirito Santo, perfettamente in asse sulla testa dell’apostolo.

Ai lati del vicario di Cristo, ad accentuare il dinamismo prospettico, due putti, recanti l’uno la tiara papale, l’altro la ferula.

In alto, ai lati della tela, Cristo e la Madonna, che tende le braccia verso il basso, mostrandosi madre di misericordia.

Particolare non ultimo: Pietro è ritratto dall’artista a piedi nudi, vestito con semplicità, forte soltanto della fede in Cristo.

Al di là del soggetto e delle varie figure che compongono la tela, ciò che conferisce all’opera una particolare valenza critica, che induce ad una ulteriore riflessione e che svela, nel contempo, il drammatico momento storico in atto, è senza dubbio la vasta gamma simbolica, capace di svelare il muro d’ombra dietro le mutevoli forme del reale.

Precisiamo subito: non c’è nella tela alcuna forzatura, non c’è il prevalere della componente simbolica su quello dell’evento rappresentato, ma la luminosità cromatica del colore, l’essenzialità delle linee e l’evento narrativo si fondono armoniosamente.

Lo spazio è unitario e leggermente scorciato secondo un unico punto di fuga.

La vivacità dei colori, la dolcezza dei volti, i dettagli del quotidiano, ravvisabili negli abiti e nelle popolane acconciature, non distraggono dal forte e chiaro messaggio del pittore afragolese, messaggio espresso con forza e chiarezza sia dalla tiara papale che dalla ferula.

Il triregno, infatti, ad una immediata lettura rappresenta la triplice potestà del pontefice, che è padre dei re, rettore del mondo e vicario di Cristo, attributi tutti che porterebbero a leggere subito la “Gloria” in senso temporale.

Una ulteriore e più profonda interpretazione, tuttavia, vede nelle tre corone sovrapposte alla tiara papale un preciso riferimento alla chiesa militante, alla chiesa sofferente e al trionfo della fede.

Ora, se rapportiamo questa seconda interpretazione ai dettagli pittorici esposti (i piedi nudi del Santo, l’indice di Pietro che indica lo Spirito Santo, la croce di Cristo assiso sulle nubi, i fedeli oranti, la Madonna che tende le braccia ai suoi figli), allora il messaggio del Mozzillo non può essere in alcun modo frainteso: la “gloria” di Pietro in null’altro consiste se non nella croce di Cristo e nella ricerca del regno di Dio.

Anche l’attributo della ferula ha un preciso significato: il papa riceve il suo potere da Dio.

C’è da chiedersi: di quale potere si tratta?

Parlare di potere temporale, a questo punto, appare fuorviante e non in linea con quanto finora espresso.

Il potere del papa è quello delle chiavi del Regno di Dio, chiavi che il santo ha nella mano sinistra.

Non possiamo, a questo punto, non fare una rapida considerazione: ancora una volta Angelo Mozzillo ci appare artista fuori tempo.

In un secolo in cui è imperante il trionfo della sola ragione umana, del mondano, dell’apparire sulla sostanza e dell’apparato scenografico come stile e modello di vita, il pittore di Afragola contrappone a questi “valori” un mondo fondato sulla interiorità dell’uomo ed una fede virile, fatta non di sentimentalismi, ma di un’unica certezza: non c’è gloria senza sofferenza per amore di Dio.

La “Gloria di San Pietro” quindi non è solo un capolavoro, ma si sostanzia anche come un punto fermo dell’impegno e delle convinzioni di un uomo fuori dal coro, di un uomo che in maniera appassionante, costante e coerente ha letto la storia del suo tempo alla luce della fede cristiana.

Erra davvero, e in maniera grossolana, chi crede che la vasta opera agiografica del Mozzillo sia priva di contenuti e di messaggi sociali e politici; al contrario, l’umanità espressa dalle tele del vanto di Afragola è umanità viva e palpitante.

Non maschere, non tipi, ma caratteri e solide idee sostanziano la pittura del Mozzillo, sempre alla luce di una visione di vita cristiana.

Non è, forse, il caso di dirlo, ma è bene non dimenticare che <homo naturaliter christianus est>.


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Andrea Romano

Laureato in Lettere classiche, fondatore del disciolto gruppo archeologico di Afragola, Andrea Romano è autore di numerose pubblicazioni a carattere storico, artistico e letterario. Le sue competenze in campo archeologico l’hanno portato a scoprire numerose necropoli e ad individuare l’ubicazione dell’acquedotto augusteo in Afragola, suo paese d’origine. Prossimo alla pensione, attualmente è docente di religione presso la Scuola Secondaria di primo grado “Angelo Mozzillo”, pittore del quale ha scritto l’unica biografia esistente, dopo aver raccolto e analizzato quasi tutte le tele dell’artista afragolese, prima quasi del tutto ignorato. Ricercatore instancabile, ha portato alla luce un manoscritto inedito di Johannes Jørgensen, di prossima pubblicazione.

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