Golden Power: storia e disciplina dal Golden Share al Golden Power rafforzato
Sommario: 1. Introduzione – 2. Contesto Storico – 3. Golden Share – 4. Golden Power – 5. Conclusioni
1. Introduzione
Il seguente articolo vuole esaminare l’evoluzione storica di uno dei principali strumenti di protezione degli interessi nazionali ovvero il Golden Power. L’articolo inizierà delineando il contesto storico in cui è nata l’esigenza italiana del Golden Share. L’articolo proseguirà analizzando lo strumento del Golden Share e la sua nascita nel Regno Unito. Dunque si tratterà l’evoluzione normativa del Golden Share in Italia e la sua transizione al Golden Power, spiegandone, sommariamente, le motivazioni. Al paragrafo 4, ci si concentrerà sulla disciplina del Golden Power e la sua evoluzione fino al “Decreto Ucraina”. Infine vi saranno le conclusioni nelle quali si rifletterà sui vantaggi e svantaggi nonché sui casi in cui il governo ha applicato l’istituto.
2. Contesto Storico
Nel 1981 l’inflazione in Italia era del 21,2 %[1]. Il tasso inflativo più alto mai toccato nella storia italiana. La causa era da ricercare in un clima economico instabile provocato in buona parte dalla crisi del petrolio del 1979. La fiammata mise a nudo alcune scelte di policy che si rivelarono controproducenti al contrasto dell’inflazione come l’accordo sull’indicizzazione dei salari tra Confindustria e sindacati confederali. Ad essi si aggiunsero gli squilibri di fondo della finanza pubblica accumulati nel decennio precedente e continuò ad aggravarsi: il fabbisogno del settore statale raggiunse l’11 per cento del prodotto[2]. In tal contesto di crisi economica non solo italiana ma mondiale, le banche centrali, specialmente la Federal Reserve capitanata da Paul Volcker, misero in atto politiche restrittive mentre la banca centrale italiana, pur godendo di un’autorevolezza importante, era scarsamente autonoma dunque non poteva attuare politiche monetarie antinflattive poiché -in concreto- , si impegnava costantemente a “monetizzare il debito”, favorendo l’inflazione attraverso l’acquisto di titoli pubblici italiani. Inoltre il Tesoro poteva attingere a un’apertura di credito di conto corrente presso l’istituto italiano per il 14 % delle spese iscritte in bilancio. Percentuale che poteva essere modificata solo su proposta del governatore tuttavia quest’ultimo era fortemente soggetto alla politica a causa di una governance connotata da un sistema “ barocco” di nomine e controlli che limitavano fortemente l’indipendenza della figura apicale. Si pensi che in epoca fascista, il governatore era soggetto al Comitato di Ministri e le partecipate erano in maggioranza banche pubbliche poi in epoca repubblicana un forte rilievo lo ebbe il comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR) col D.L.C.P.S. 17 luglio, n. 691[3] sempre un comitato a forte trazione politica. Tuttavia la situazione stava mutando e sia per il Tesoro che per la Banca centrale Italiana iniziò un periodo di riflessione. Già nel 1975, dopo un’altra crisi del petrolio, l’allora governatore Baffi [4] giunse alla conclusione dell’assenza di un chiaro obiettivo di tutela della stabilità dei prezzi come accadeva alle banche centrali di altri paesi occidentali. Nel solco dell’entrata dell’Italia nello SME e una situazione economica sempre più instabile, connotata da un disavanzo pubblico più ampio e da tassi di interessi sempre più alti[5], lo scenario divenne idoneo per ripensare ai rapporti tra il Tesoro e la Banca Centrale Italiana, ovvero avviare il “divorzio” tra i due istituti. La sfida venne raccolta dal Professor Nino Andreatta il quale era stato scelto nell’Ottobre del 1981 da Arnaldo Forlani per ricoprire la carica sensibile del capo del del dicastero delle finanze. Il neo-ministro, pressato da richieste politiche, un sistema economico ingessato e dall’assenza di indipendenza di Bankitalia, non poté attuare una propria azione economica poiché come dirà in una lettera al Sole24 ore circa 10 anni dopo il divorzio[6]
“ La soluzione classica sarebbe stata quella di una stretta del credito, accompagnata da una stretta fiscale, che, come nel 1975, avesse creato una recessione con una caduta di alcuni punti del prodotto interno lordo; ma l’ esperienza stessa degli anni 70 indicava due ordini di difficoltà:
a) la Banca d’ Italia aveva perduto il controllo dell’ offerta di moneta, fino a quando essa non fosse stata liberata dall’ obbligo di garantire il finanziamento del Tesoro;
b) il demenziale rafforzamento della scala mobile, prodotto dell’ accordo tra Confindustria e sindacati confederali proprio nei primi mesi del 1975, aveva talmente irrigidito la struttura dei prezzi, che, in presenza di un raddoppio del prezzo dell’ energia, anche una forte stretta da sola era impotente a impedire che un nuovo equilibrio potesse essere raggiunto senza un’ inflazione tale da riallineare prezzi e salari ai costi dell’ energia. “
Conscio di una situazione delicata e con un’asta per il collocamento pubblico di titoli BOT vicina, il ministro iniziò uno scambio epistolare con l’allora governatore di Bankitalia Ciampi[7]. L’allora ministro rivolse al governatore le preoccupazioni sopra citate chiedendo un consiglio. La lettera del 12 Febbraio 1982 era l’inizio del divorzio. Ciampi rispose il 6 marzo del medesimo anno proponendo alcune soluzioni che in sintesi possono essere ricavate anche nelle considerazioni finali del medesimo anno[8],ovvero poneva i seguenti obiettivi al fine di raggiungere il target di tassi di interesse più bassi e mitigare l’inflazione: i) indipendenza del potere di creare moneta da chi determina la spesa pubblica, ii) di procedure di spesa rispettose del vincolo di bilancio, iii) di una dinamica salariale coerente con la stabilità dei prezzi.
Le proposte avanzate da Ciampi avevano un unico scopo, ovvero rendere l’istituto più indipendente. Assecondando il nuovo atteggiamento di Bankitalia anche la politica decise di porre freno alla fiammata dell’inflazione con una serie di atti, uno dei quali era il lodo Scotti, con il quale il governo e le parti sociali si impegnarono a una drastica riduzione dell’inflazione da valori prossimi al 20 per cento al 13 per cento nel 1983 e successivamente, nel febbraio 1994, nel decreto di San Valentino si cominciò a mettere in discussione la scala mobile, secondo quanto andavano propugnando da tempo molti economisti fra cui Franco Modigliani e Ezio Tarantelli. Anche il settore delle aziende pubbliche divenne oggetto di riflessione. Seguendo le orme della Gran Bretagna e della Francia anche l’Italia ebbe il suo periodo di privatizzazioni col fine di migliorare l’efficienza delle imprese. In Italia, il fenomeno iniziò nel 1994 attraverso una serie di cessioni di quote societarie. Il fenomeno vide la privatizzazione di una trentina di aziende tuttavia lo stato rimase all’interno di alcune imprese che furono etichettate come strategiche. In questo periodo lo strumento che venne ideato e sviluppato fu il Golden Share di cui si approfondirà meglio dopo. In generale, il fenomeno delle privatizzazioni, secondo il documento di analisi del MEF [9] produsse circa 110 miliardi di utili e vide 30 aziende pubbliche implicate tra cui l’ENEL, dove lo stato cedette il 6 % mentre per l’ENI si raggiunse il 10 %, Poste Italiane vide il 35 % della quota destinata ai privati, un pò più bassa la quota privatizzata di Telecom infine tra le più conosciute SACE e Ente Tabacchi vennero completamente cedute. Non è oggetto dell’articolo dare un giudizio circa l’azione di policy mentre è interessante evidenziare l’importanza strategica che rivestivano molte imprese privatizzate. La perdita completa di tali aziende avrebbe procurato un danno difficilmente stimabile a causa dei settori in cui operavano, in alcuni casi operavano in stato di monopolio naturale, oppure dei brevetti di cui erano proprietarie. A tal fine durante il governo Berlusconi I si ipotizzò di sviluppare uno strumento al fine di evitare la dispersione di Know-How e competenze nonché di filiere. A tal scopo nacque il Golden Share con la legge 30 luglio 1994, n. 474. Tuttavia lo strumento non era autoctono ma un adattamento di uno istituto anglosassone.
3. Golden Share
Il 3 Maggio del 1979, l’esordiente leader dell’opposizione conservatrice Margaret Thatcher risucì a sconfiggere alle elezioni il laburista uscente James Callaghan e il liberale David Steel. La situazione economica del Regno Unito era preoccupante tuttavia la Thatcher era fiduciosa circa le sue ipotesi di riforme pro-market. Nella sua lunga premiership è difficile, come afferma anche l’economista Francesco Daveri[10], comprendere realmente se le scelte di policy adottate abbiano avuto un reale beneficio sull’ economia oppure la fortuna anglosassone è legata a fattori esogeni e improvvisi. Benché la comunità degli economisti discuti ancora sull’efficacia delle riforme della “Iron Lady”, è unanime l’enorme eredità lasciata tra cui le privatizzazioni che si posero in netto contrasto con le politiche laburiste di Callaghan rivolte verso una maggiore nazionalizzazione delle imprese e creazione di aziende pubbliche. Dunque il Governo conservatore diede inizio alle privatizzazioni, anche se una prima cessione, relativa ad una quota della British Petroleum era già stata effettuata in precedenza[11]. Il processo divenne sempre più ampio e occupò tutti gli anni 80 e metà degli anni 90. Con una invadente propaganda chiamata “Tell Sid”[12], il governo inglese invitava i suoi cittadini, specialmente gli operai e impiegati, a comprare le azioni di aziende pubbliche, volendo favorire un’azionariato popolare. Si iniziò con la British Telecom ma le privatizzazioni toccarono pressoché circa 50 aziende pubbliche e 1,5 milioni di lavoratori da parte di tutti i settori dell’economia. Vennero privatizzati alcuni porti con l’ Associated British Ports nel 1983, nel settore delle telecomunicazioni vi fu la privatizzazione di British Telecom, l’industria automobilistica venne toccata dalla privatizzazione di Rolls Royce, il settore aereo con British Airways, il metallurgico con British Steel, vennero privatizzati anche alcune società pubbliche che si occupavano delle risorse idriche e alcuni settori del sistema sanitario inglese. Il totale fu una privatizzazione dal valore di circa 60 miliardi di sterline[13].
L’onda delle privatizzazioni toccarono anche altri paesi generalmente favoriti da governi di centro-destra come in Francia col governo del Primo Ministro Chirac, nominato in seguito alla vittoria elettorale del marzo 1986 che segnò la sconfitta dei socialisti del Presidente Mitterand. Oppure in altri paesi, come la Germania, il processo molto più graduale, iniziando già nel secondo dopoguerra con la richiesta da parte dell’Angestellten-Gewerkschaft (DAG)[14], la Confindustria tedesca, la quale chiese incentivare le privatizzazioni. Il processo fu più omogeneo, toccando sia l’amministrazione federale che locale e non solo aziende grande ma anche di piccole e medie dimensioni[15]. Tra i casi di privatizzazioni più importanti si possono ricordare Deutscher Telekom AG, Deutscher Post AG,VW, VEBA, Salzgitter o Lufthansa.
Come in Italia anche in Francia e in Germania si svilupparono strumenti basati sulla forma del Golden Share anglosassone. Strumenti adattati al contesto nazionale o alla modalità di protezione che si voleva perseguire e non era raro che il medesimo paese adottasse più forme di Golden Share. Anzi già nel Regno Unito furono utilizzati due tipi di Golden Share[16]. Con il primo, all’azionista speciale pubblico era riconosciuto un diritto di voto in più rispetto alla totalità delle azioni con diritto di voto non in mano pubblica nei confronti di qualsiasi decisione presa nell’assemblea ordinaria, in modo da garantire sempre la maggioranza e il diritto di convocare l’assemblea straordinaria. Un secondo tipo era diretto ad assicurare il rispetto di eventuali limiti al possesso di pacchetti azionari nelle società; in quest’ultimo caso, in realtà, non si sarebbe trattato di una vero e proprio Golden Share poiché per la realizzazione dell’obiettivo perseguito non era necessariamente richiesta la presenza di azioni speciali. Anche in Francia, con l’ action spécifique, si possono notare differenti sfumature del Golden Share. Quest’ultime erano dovute ai differenti spunti dottrinali giuridici che qualificavano ad esempio la concezione di controllo o del dominio.
Oltre le differenze concettuali, in genere tutte le forme di Golden share ambivano e ambiscono a perseguire i seguenti obiettivi: proteggere i settori strategici, garantire i servizi minimi essenziali, marginalizzare il rischio per l’ interesse collettivo, proteggere la libera concorrenza e l’apertura dei mercati, evitare il coinvolgimento delle aziende in attività illecite, evitare la lesioni dei poteri speciali, od infine evitare di recare un grave pregiudizio agli interessi pubblici che il golden share mira a tutelare.
Sulla base di tali considerazione anche l’Italia adottò il suo Golden Share, il quale a) riservava allo Stato un certo quantitativo di capitale sociale; b) il potere di nominare un membro del Governo all’interno del Consiglio di amministrazione della società; c) il potere di attribuire, a tale membro, poteri più ampi rispetto ad altri componenti dell’organo di governo dell’impresa. Invece l’istituto non prevedeva la percentuale minima di azioni che lo Stato doveva detenere all’interno della società per poterla esercitare, con la conseguenza che potrebbe ritenersi sufficiente anche solo il possesso di un’unica azione (ovviamente simbolica) per conferire allo Stato il potere di intervenire nel novero delle strategie dell’impresa, indipendentemente dal fatto che l’opera di privatizzazione sia completata.. In generale dallo studio della dottoressa D’Alpa[17] si può comprendere che l’istituto è stato usato solo raramente fino alla sua evoluzione a Golden Power. In parte l’istituto nacque già instabile tanto ché il governo intervenne sulla disciplina nel 2000 dopo che una sentenza di condanna da parte della Corte di Giustizia Europea(CGUE)[18], la quale dichiarò la disciplina in contrasto con la materia di diritto di stabilimento (art. 43 Trattato CE), libera prestazione dei servizi (art. 49) e libera circolazione dei capitali (art. 56). Di conseguenza una prima modifica avvenne nel 2004 con la legge finanziaria (legge n. 350/2003) la quale riformulò la disciplina in ottica restrittiva come la cancellazione della previsione in base alla quale l’esercizio dei poteri speciali avrebbe dovuto tener conto degli obiettivi nazionali di politica economica e industriale oppure limita i poteri di nomina del Ministro dell’economia e delle finanze alla nomina di un amministratore senza diritto di voto. Successiva alla finanziaria venne emanato il D.P.C.M. 10 giugno 2004 con il quale vennero individuati i criteri per l’esercizio dei poteri speciali tuttavia anche in tal caso la CGUE richiamò l’Italia con la sentenza C-326/07 del 26 marzo 2009 [19], la quale giudicò incompatibili con la normativa comunitaria i poteri speciali detenuti dallo Stato italiano in Telecom Italia, Eni, Enel e Finmeccanica e condannò l’Italia, così accogliendo le conclusioni della Commissione Europea, che a giugno 2006 aveva deferito il nostro Paese alla Corte di Strasburgo per la violazione degli articoli 56 e 43 del Trattato CE. Secondo la giurisprudenza europea la maggior criticità consisteva nella vacuità della definizione “ la grave ed effettivo pericolo” del decreto del 2004. Anche in tal caso il governo rimetterà mano alla disciplina con la legge 25 febbraio 2008 n. 34 e il D.PC.M. del 20 Maggio 2010. Nel primo caso, la legge delega s’impegnava in una serie di modifiche al fine di armonizzarsi con la normativa europea, tra di esse, correlato all’oggetto del seguente contributo, vi è l’articolo 13, il quale modificava l’articolo 2449 del codice civile con ” Se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare un numero di amministratori e sindaci, ovvero componenti del consiglio di sorveglianza, proporzionale alla partecipazione al capitale sociale”. Mentre il D.PC.M del 2010 si limitava all’abrogazione dell’articolo 1, comma 2, del decreto del DPCM del 2004. Malgrado le modifiche, lo strumento non riuscì ad essere mai pienamente operativo, lasciando con una esile difesa gli interessi nazionali, protetti da Cassa Depositi e Presiti alla quale venne dato il potere nel 2011[20] di comprare azioni di imprese strategiche private. Tuttavia molteplici fattori tra cui l’appartenenza al libero mercato europeo e la nascita di competitor importanti come Cina e India richiedevano una maggiore tutela. Gli ultimi atti legislativi citati segnano il “canto del cigno” del Golden share a favore di un nuovo strumento il “Golden Power”.
4. Golden Power
Il Golden Power viene istituito in Italia con col D.L. 15 marzo 2012, n. 21 dopo un’anno di discussione parlamentare sull’atto 5052 sotto il vigile sguardo di Rosy Bindi[21].
La procedura non cambia molto, infatti all’art.1[22] abbiamo- come per il Golden share- la decisione collettiva del governo di individuazione dei settori strategici e le aziende strategiche alle quali possono essere imposte speciali condizioni affinché non si vengano a ledere i diritti della collettiva, l’approvvigionamento di risorse essenziali o il trasferimento tecnologico. Inoltre, sempre sulla scia del Golden Share, vi è l’obbligo di notifica[23], il potere di veto per rami o imprese, opposizione all’acquisto da parte di un diretto competitor sia direttamente sia indirettamente. Mentre le principali differenze tra l’istituto anglosassone e il Golden Power risiedono principalmente in una facoltà di intervento da parte del governo anziché della detenzione di azioni speciali e nella maggior chiarezza di “ minaccia effettiva di grave pregiudizio agli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale”. Infatti la valutazione non è meramente commerciale ma contestuale, ovvero vengono valutate anche le principali implicazioni pro-futuro (si legga accountability) di una possibile vendita in relazione a più fattori o enti.
S’immagini, che un attore X dotato di maggior capitale dell’attore Y voglia acquistare una quota minoritaria ma rilevante dell’ impresa di Y, tuttavia quest’ultima detiene un particolare brevetto che la rende strategica. Nel futuro X potrebbe tentare la scalata classica oppure attraverso società terze acquisire il controllo della società di Y. In tal caso è verosimile che il governo utilizzerà il Golden Power, forse solo sul ramo destinato alla gestione del brevetto. Invece si pensi al medesimo caso con la variante in cui l’azienda X detenga il pacchetto di azioni di Y a scopo speculativo dunque non ha ambizioni di governare l’azienda di Y. In tal caso verosimilmente, il governo non utilizzerà il Golden Power.
La cornice dell’istituto si chiude con l’apparato delle sanzioni e col CFIUS[24],. Quest’ultimo è il Comitato interdipartimentale competente a svolgere funzioni istruttorie e di controllo sugli investimenti esteri, ma anche prescrittive, di pressione e condizionamento, oltre che di vera e propria raccomandazione al Presidente in merito all’esercizio del potere di veto, in presenza di un pericolo non altrimenti evitabile per la national security mentre circa l’apparato delle sanzioni esse includono sanzioni amministrative e casi di nullità degli atti societari.
Dalla normativa del 2012, l’istituto si è poi evoluto abbastanza velocemente, affinando i meccanismi attraverso vari decreti del Presidente della Repubblica come il D.P.R. 19 febbraio 2014, n. 35 oppure il D.P.R. del 6 giugno 2014, n. 108. Ma un’altra tendenza rilevabile è la netta espansione dell’istituto. Con la legge 4 dicembre 2017, n. 172 vi è stata una prima estensione dell’applicabilità della normativa, includendo i cosiddetti “settori ad alta tecnologia ”, fra cui “le infrastrutture critiche o sensibili ” (es. quelle per l’immagazzinamento e gestione dei dati o quelle finanziarie), “ le tecnologie critiche” (es. l’intelligenza artificiale, la robotica o i semiconduttori), demandando ad uno specifico decreto una puntuale definizione degli ambiti più esposti a pericoli per la sicurezza e l’ordine pubblico. Inoltre, fra i criteri di valutazione delle operazioni di soggetti extraeuropei attivi nel campo delle reti, oltre alla minaccia effettiva di grave pregiudizio per gli interessi pubblici, è stato aggiunto anche il pericolo per la sicurezza e per l’ordine pubblico. Altra estensione si è registrata nel 2019 con la legge n.105 la quale includerà il 5G. Infine ultima estensione si è registrata col cosiddetto “Gold Power rafforzato” sviluppato attraverso il decreto liquidità[25].
In concreto si provvide ad estendere l’applicabilità del D.L. 15 marzo 2012, n. 21 anche al settore finanziario, bancario, assicurativo e alimentare, modificandone i termini fino a quarantacinque giorni e sospendendo l’efficacia delle delibere o altri atti societari fino alla decisone del governo la quale poteva essere anche di silenzio rigetto. Una disciplina rimasta transitoria fino all’adozione del decreto Ucraina[26]. Infatti quest’ultimo atto ha cristallizzato i settori introdotti dalla legge n.105 e buona parte della disciplina nonché ha rafforzato i controlli attraverso la partecipazione bipartisan sia dell’acquirente che del venditore e estendendo le sanzioni a entrambi i soggetti sia italiani, europei o esteri.
5. Conclusioni
Nel seguente articolo si sono viste le motivazioni e il contesto storico in cui si è venuto a formare prima lo strumento del Golden Share poi il Golden Power. Uno strumento affinatosi attraverso contrasti giurisprudenziali e riflessioni sulla funzione dell’istituto.
Dalla nascita del Golden Share in Italia sono passati molti anni ed è lecito chiedersi se sia stato o sia uno strumento effettivo ed efficace. Sul punto viene in aiuto la relazione al parlamento della presidenza del consiglio[27]. L’ultima del 2020 ha registrato un incremento esponenziale delle operazioni sottoposte a vaglio governativo, aumentate del 412% rispetto all’anno precedente (dalle 83 notifiche nel 2019, si è giunti, nel 2020, a 342). Delle 342 notifiche pervenute, solo in 42 casi il Governo ha esercitato i poteri speciali; peraltro, solo 24 notifiche hanno riguardato operazioni societarie (prevalentemente M&A), mentre 18 hanno avuto a oggetto la stipula di contratti circa prodotti e servizi relativi alla tecnologia “5G”. Tutte le 18 notifiche relative a quest’ultimo ambito sono state oggetto di esercizio dei poteri con condizioni e prescrizioni e solo in un caso è stato posto il veto. Complessivamente, dal 2012 al 31 dicembre 2020, su circa 800 operazioni sottoposte al vaglio del Golden Power, il potere di veto è stato esercitato solo in tre casi. In generale, il golden power è stato attivato nei settori delle comunicazioni e del 5G e ha visto il ministero dello sviluppo economico come importante attore nelle varie dinamiche. A seguire, con 58 interventi, il ministero delle finanze e infine il ministero della difesa con 39 interventi. Quest’ultimi si traducono nel controllo di contratti oppure gestione di licenze d’uso. Ad esempio, il governo ha disposto alcune limitazioni alla LEONARDO S.p.a, per la potenziale concessione di licenze d’uso dei diritti di proprietà intellettuale del modulo Sicuro PRS in favore dell’Unione Europea, dell’Agenzia Spaziale Europea e della European Global Navigation Satellite Systems Agency nell’ambito del programma “PRS Galileo” oppure in un altro caso vi è stato l’utilizzo dei poteri per il potenziale trasferimento di know-how e concessione di licenze d’uso di tecnologia in favore del Governo della Repubblica di Singapore nell’ambito del programma “Multi-Role Combat Vessel”. In altri casi le limitazioni sono state imposte al fine della gestione dei dati e supporto tecnico come nel caso di FASTWEB S.p.a. Accordi con ZTE Italia S.r.l. per l’acquisto di site router e la relativa componente di servizio di supporto tecnico tramite TAC (Technical Assistance Center) di III Livello, oltre al supporto per la validazione dell’apparato oppure nel caso di ILIAD ITALIA S.p.a. Stipulazione di contratti per l’acquisto di apparati dalle società Amphenol, Commscope, Cisco, Huawei e Ciena, da installare sulla rete 3G/4G di Iliad. Ad oggi lo strumento del Golden Power è diventato uno strumento importante e attivo anche grazie all’ampliamento in campi molto complessi come il 5G. Tuttavia l’eccessivo ampliamento potrebbe produrre un effetto deleterio, disincentivando gli investimenti nonché il fenomeno delle fusioni e trasferimenti nonché porre in essere lo stato in un’ottica dirigistica circa l’economia dunque in netto contrasto con l’Unione Europea. Tale dinamica per adesso sembra non essere oggetto di attriti.
Note
[1] Storico dell’inflazione, https://www.rivaluta.it/datifileinflazionemediaitalia.asp
[2] Banca di Italia,L’autonomia della politica monetaria Una riflessione a trent’anni dalla lettera del Ministro Andreatta al Governatore Ciampi che avviò il “divorzio” tra il Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia 15 febbraio 2011 https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2011/AREL_150211.pdf
[3] G. Puccini, L’indipendenza della Banca d’Italia dalla legge istitutiva del 1893 alla riforma del 2005. Quaderni dell’Associazione per gli Studi e le Ricerche Parlamentari, n. 17, ed Giappicchelli) https://www.astrid-online.it/static/upload/protected/Indi/Indipendenza-della-Banca-d-Italia2.pdf
[4] P. Baffi, Considerazioni finali sul 1975, Banca d’Italia, p. 441.
[5] G.Galli,Il divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro: teorie sovraniste e realtà, Osservatorio CPI, 25 novembre 2018 https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-il-divorzio-fra-banca-d-italia-e-tesoro-teorie-sovraniste-e-realta
[6] N.Andreatta, Il divorzio tra Tesoro e Bankitalia e la lite delle comari 26 Luglio 1991, https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2007/03/andreatta-articolo-Sole.shtml
[7] Scambio epistolare reperibile nell’ articolo: Il divorzio Banca d’Italia Tesoro: lo scambio di lettere fra Ciampi e Andreatta pubblicato dal canale sovranista https://canalesovranista.altervista.org/il-divorzio-banca-ditalia-tesoro-lo-scambio-di-lettere-fra-ciampi-e-andreatta/
[8]Banca di Italia,L’autonomia della politica monetaria Una riflessione a trent’anni dalla lettera del Ministro Andreatta al Governatore Ciampi che avviò il “divorzio” tra il Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia 15 febbraio 2011 https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2011/AREL_150211.pdf
[9] Tabelle del MEF sulle privatizzazioni https://www.dt.mef.gov.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/finanza_privatizzazioni/finanza_privatizzazioni/Riepilogo_delle_privatizzazioni_del_Ministero_dal_01-01-1994_al_30-09-2016_xEuro_milionix.pdf
[10] F. Daveri,Le conseguenze della signora Thatcher, La voce 2013 https://www.lavoce.info/archives/8625/le-conseguenze-economiche-della-signora-thatcher/
[11]Graveson e Thompson, Il problema giuridico della nazionalizzazione e delle imprese pubbliche nel Regno Unito, in Riv. soc., 1958, pp. 1007 ss
[12] Richard Seymour,A short history of privatisation in the UK: 1979-2012, The Guardian, 29 Mar 2012 https://www.theguardian.com/commentisfree/2012/mar/29/short-history-of-privatisation
[13]S.Holder,Twelfth Plenary Session of the OECD Advisory Group on Privatisation (AGP)Organisation for Economic Co-operation and Development 1998, https://www.oecd.org/unitedkingdom/1929658.pdf
[14] Angestellten-Gewerkschaft (DAG) pubblico il seguente documento Das Eigentum an der Volks- wagenwerk: GmbH Privatisierung, Staatsbetrieb oder Stiftung? (Ein Vorschlag der DAG) per incentivare maggiori privatizzazioni.
[15] Jörn Axel Kämmerer, Privatizzazione: Typologie – Determinanti – Pratica giuridica – Conseguenze, Mohr Siebeck Verlag, 2001
[16] T. Fenucci,I poteri speciali dopo la privatizzazione delle imprese statali: una storia infinita, Comparazione Diritto Civile. Pag.1-46 ISSN:2037-5662. https://docenti.unimc.it/raffaella.niro/teaching/2019/20481/files/materiali-articoli-saggi-etc.-a-supporto-dei-temi-trattati-a-lezione/privatizzazioni-e-poteri-speciali-2
[17] G.D’Alpa, La golden share e i golden powers nel diritto europeo, il mondo dell’intelligence,1 dicembre 2017 https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/wp-content/uploads/2017/12/golden-share-e-golden-powers-DAlpa.pdf
[18] Sentenza della Corte di Giustizia del 23 maggio 2000 nella causa C-58/99, Commissione contro Italia.
[19] C.San Mauro, Disciplina della Golden Share dopo la sentenza della Corte di Giustizia C-326/07.
[20] Si veda l’ art.7 del D.L. 31Marzo 2011, n.34
[21]Resoconto stenografico dell’Assemblea Seduta n. 619 di mercoledì 11 aprile 2012 https://leg16.camera.it/410. idSeduta=0619&tipo=stenografico#sed0619.stenografico.tit00060.sub00020
[22]Decreto-Legge 15 marzo 2012, n. 21
[23] Col DPCM 133/2022, L’investitore/azienda interessato/a può anticipare il giudizio del Governo trasmettendo a quest’ultimo una prenotifica consistente in un’informativa sulla/e prospettata/e operazione/i rilevante/i ai sensi della Normativa Golden Power, fornendo documenti ed informazioni equivalenti a quelli previsti per la formale notifica “in quanto disponibili”. Il governo avrà 30 giorni al fine di valutare la possibile applicazione del Golden power o meno.
[24]R. Garofoli, Golden power e controllo degli investimenti esteri: natura dei poteri e adeguatezza delle strutture amministrative, federalismi.it, 19 Settembre 2019,
[25] Decreto-Legge 8 aprile 2020, n. 23
[26] Decreto.Legge 21 marzo 2022, n. 21
[27]Relazione al Parlamento 2020, https://www.governo.it/sites/governo.it/files/GP_RelazioneParlamento_2020.pdf
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